21 settembre 2007

La scienza può essere un idolo

Ci può essere un'idolatria della scienza quando essa avanza pretese di infallibilità e di verità ultime, e i suoi sacerdoti officiano, con alterigia, i riti dell'onnipotenza, sotto gli occhi della gente sbalordita e ammirata.
La scienza diventa un idolo allorché non riconosce i propri limiti. Quando si libera, con evidente fastidio, di quelle che essa chiama anacronistiche “pastoie” della saggezza, dell'etica, della prudenza e della coscienza. Quando non è a servizio dell'uomo, ma va contro l'uomo e la sua dignità. Quando si pone come capacità assoluta di intelligere (letteralmente, leggere dentro) e interpretare la realtà delle cose e delle persone. Quando proclama con sussiego le proprie certezze, tenendo lontano da esse il dubbio salutare.
È idolo la scienza che non è accompagnata dalla modestia e cede alla tentazione della spettacolarità. Che rivendica per sé statuti di libertà assoluta, al di fuori di ogni regola e controllo, per cui tutto le sembra lecito, e non ammette che ciò che si può fare non diventa automaticamente ciò che si deve fare. Confonde il diritto legittimo a conoscere, ricercare, con l'applicazione - qualche volta inopportuna e perfino dannosa - delle conoscenze e delle ricerche. Basti pensare alla bomba atomica, alle armi batteriologiche, ai disastri ambientali provocati dalle sostanze chimiche. E si pensi anche ai pericoli rappresentati dagli organismi geneticamente modificati, ai cosiddetti “cibi transgenici”, alle “mucche pazze” (o allevatori stupidi e criminali?).
Diventa idolo la scienza che formula l'equazione tra “vero” e “scientificamente dimostrabile”, e quindi, in ultima analisi, tra “verità” e “quantificabilità”. Si propone come depositaria assoluta della verità. Invade campi (compreso quello religioso) che non sono di sua competenza.
Accanto all'idolo rappresentato dalla scienza va collocato il tecnicismo esasperato. Per cui, in nome della comodità, si lascia intendere che tutti i problemi della vita sono risolti, e invece si creano sempre nuove schiavitù e dipendenze.
La scienza si fa idolo «dove non riconosce il suo fondante statuto di approssimazione come avvicinamento descrittivo-quantitativo al fenomeno, e ove non riconosca la possibilità che un’altra teoria (o più altre) possa soppiantare quella che al momento è ritenuta la migliore, più completa e più semplice» (Gianluca Poldi, "Idola scientiae, idolum temporis", nel numero 134 di «Servitium», marzo-aprile 2001).
La scienza è idolo quando non ammette che i suoi, spesso, sono tentativi, non teoremi definitivi, e soprattutto non sa confessare i propri errori (e i propri guasti!).
Per non diventare idolo, la scienza deve dimostrare di essere a servizio dell'uomo. E, soprattutto, non deve pregiudicare l'avvenire, porre una ipoteca sul tempo. Quel tempo che potrebbe produrre un evento imprevedibile, non programmabile, fuori programma, fuori teoria, fuori paradigma, fuori schema. Un evento, una nuova scoperta che smentiranno clamorosamente le certezze attuali e sfasceranno miseramente certe montagne di supponenza (lasciando intatto, però, il gruzzolo accumulato attraverso lo spaccio di false sicurezze).
L’idolo della scienza, allorché si guarda allo specchio con evidente compiacimento e smodata auto-esaltazione, dovrebbe sospettare che, appena dietro l'angolo... c'è il ridicolo.

Tratto da: A. Pronzato – “Ritorno ai dieci comandamenti” vol 1, pag 104-106

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