16 dicembre 2007

Note a margine del vangelo di oggi

Il vangelo di oggi, terza domenica d’Avvento, mi pare si adatti bene ad una riflessione sul senso che ha per noi l’attesa di questo Dio che viene ad abitare in mezzo a noi.
Una prima cosa colpisce. Il Battista è in prigione, e giungono a lui le notizie su Gesù. Ma lui che tanto prontamente l’aveva riconosciuto quando era venuto a farsi battezzare, adesso è perplesso. Finché era nel deserto ci vedeva chiaro, adesso che è in prigione è assalito dai dubbi, non si raccapezza più:
“Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attendere un altro?”
Giovanni non aveva nessuna pretesa per sé stesso. Tutta la sua vita l’aveva spesa per quell’Altro che doveva venire. Il quarto vangelo ci riporta che disse: “Lui deve crescere e io diminuire”.
Possiamo allora legittimamente pensare che la sola sua soddisfazione fosse di veder crescere l’Altro. Pensava che quella soddisfazione nessuno gliela avrebbe potuta togliere.

E invece Quello continuava a diminuire. Non cercava gli applausi, sembrava che ci tenesse a nascondersi, non faceva nessuna concessione ad una facile popolarità, si premurava di stare ben alla larga da ogni potere, sia politico che religioso.

Provate un po’ a pensare al vangelo di domenica scorsa. Giovanni parlava di mietitura, di raccolto. E Gesù invece parla di seminazione.
Giovanni gli metteva in mano un ventilabro, lo vedeva intento a pulire l’aia, a spazzare via i nemici, a separare definitivamente i buoni dai cattivi. Insomma, per lui era finalmente arrivato il castigamatti, quello che avrebbe finalmente messo a posto tutte le cose, sistemato ognuno come si meritava e una volta per tutte. Gesù invece accoglie tutti, si mette a far bisboccia con pubblicani e peccatori, addirittura fa capire che il “giudizio” è rimandato alla fine. Lui dice chiaramente che non era venuto a “sistemare definitivamente” le cose, ma a dare l’avvio a qualcosa, non era venuto a separare ma ad accogliere.
Giovanni gli aveva dato una scure per abbattere senza indugio, alla radice, gli alberi cattivi, e Gesù inaugura il tempo della pazienza e del perdono
Giovanni lo aveva descritto in termini di un fuoco purificatore e divoratore del male. E Gesù gli manda a descrivere la sua azione in termini di misericordia: “I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella” per concludere il suo messaggio con una frase forse un po’ sconcertante: “beato colui che non si scandalizza di me”.
Il Messia compie quindi delle opere, ma non sono quelle che si aspettava il suo Precursore, e con lui tanta gente del tempo.

Giovanni aveva visto molto bene riguardo al tempo, e anche riguardo al Personaggio (lo aveva indicato con precisione). Ma aveva toppato completamente riguardo al modo. Aveva centrato esattamente la persona, ma completamente sbagliato il bersaglio riguardo alla sua azione.
Capite quindi il suo smarrimento nella prigione. Penso che questo sia stato il suo vero martirio: un Dio che parla in maniera diversa da quella che ci saremmo aspettati, che non si comporta secondo le nostre previsioni, che non ascolta i nostri suggerimenti, che non sta al nostro cerimoniale, è davvero insopportabile. Viene quasi il dubbio che non sia più Dio.
Difendere la causa di un Dio che non sposa le nostre cause, il nostro punto di vista, che regolarmente ci smentisce su chi si debba frequentare e chi evitare come la peste, è la cosa più difficile. Non è il martirio, ma è senz’altro la prova decisiva per la fede.
Ma perché la Chiesa in questo periodo dell’attesa ci presenta questo fatto: gli atteggiamenti di Gesù non coincidono con le aspettative, con le immagini messe in circolazione da quello che ha meritato l’elogio di essere “il più grande tra i nati di donna”?

Una cosa innanzi tutto. Non è raro che Dio smentisca i propri profeti, che smentisca i suoi “porta-voce” ufficiali. Pensate ad esempio al profeta Giona, ma anche all’episodio del profeta Natan narrato in 2Sam 7,1-29 quando dapprima il profeta dà ragione a Davide a proposito della costruzione del tempio, ma poi gli comunica che Dio non vuole che sia lui a costruirlo, ma il figlio Salomone.
Non è sufficiente accogliere Dio, bisogna essere disposti ad accogliere un Dio “diverso”. Diverso dalle nostre idee, dai nostri schemi e dalle nostre abitudini.
Siamo sempre tentati di imprestare, quando non a imporre, a Dio i nostri sentimenti, i nostri punti di vista, i nostri gusti. Ma anche i nostri risentimenti, le nostre meschinità, le nostre antipatie.
Siamo sempre pronti a suggerire a Dio come deve comportarsi, chi deve accogliere e chi rifiutare, chi premiare e chi castigare. Insomma, abbiamo la pretesa di insegnare a Dio ad essere … Dio. E così facendo dimentichiamo che invece è Lui che ha tutti i diritti di insegnarci il nostro mestiere di uomini.

Dobbiamo stare attenti a non tirare Dio dalla nostra parte. Piuttosto è Lui che deve tirare noi dalla Sua parte. E bisogna ammettere che purtroppo noi in questo tiro alla fune mettiamo in campo tutte le nostre forze, le nostre astuzie, e qualche volta giochiamo anche sporco.
Dimentichiamo molto rapidamente e molto facilmente che Lui stesso ci ha detto che “i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie - oracolo del Signore” (Is 55,8).
Anni fa uno scrittore proprio a questo proposito accusava i cristiani di fabbricarsi un Dio “a cui la peggiore delle canaglie si vergognerebbe di assomigliare”. Acutamente precisava che il più delle volte l’uomo si fabbrica un’idea di Dio conforme a ciò che lui stesso avrebbe voluto essere, cioè un essere superiore agli altri per poterli poi dominare. E concludeva il suo pensiero sostenendo che invece Gesù rappresenta la rottura di tutte le rappresentazioni umane di Dio.

Occorre accettare un Dio che distrugge il nostro dio-idolo. Un dio fatto a nostra immagine e somiglianza non è Dio. Un dio che non sia altro che una specie di superuomo non è Dio.
Occorre purificare continuamente la nostra idea di Dio, confrontandola con l’immagine autentica manifestata da Gesù. Anche se questa immagine sembra, alla nostra mentalità, sconvolgente. Anzi, direi che più ci sembra sconvolgente, più significa che stiamo adorando un idolo da noi costruito e non il Dio Padre che è rivelato da Gesù Cristo.
E occorre soprattutto evitare di metter in circolazione una caricatura di Dio, un’immagine che ci rassomiglia troppo.
Ho il forte sospetto, per non dire la certezza, che tanto ateismo non sia un rifiuto del Dio vero, ma il rifiuto di tante caricature di Dio che noi cristiani abbiamo messo in circolazione. Nell’autobiografia di una pedagogista francese, possiamo leggere che nell’adolescenza, mentre era in un collegio retto da religiose, spesso andava in chiesa e sfogava la sua delusione piangendo e pestando i pugni sul banco dicendo: “Dio, io voglio che tu sia diverso da come mi vieni presentato”.

Soltanto se riusciamo ad accettare un Dio diverso, che ci da torto, che smaschera senza pietà le nostre idolatrie, che fa saltare le nostre classificazioni e sistemazioni, che non è mai d’accordo con noi , saremo realmente pronti ad accettare questo Dio che viene tra noi in un bambino nudo e indifeso, per terminare la sua vita, sempre nudo e indifeso, appeso su di una croce. Ma soprattutto avremo la possibilità di parlare di Dio con un linguaggio che sarà certamente inadeguato, ma che rispetterà il mistero, ne lascerà indovinare la profondità, e soprattutto farà venir voglia di Dio (o almeno ne susciterà nostalgia)

1 commento:

  1. Più lo conosco e più sono spaesato.. più cerco paletti e più ne butto giù... che l'incertezza sia anche un modo per non arroccarsi, esser sempre desti e saper cogliere meglio gli indizi seminati da Dio?

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