14 aprile 2010

Gli eroi sono egoisti?

A margine di una discussione su un blog ( Orientalia4All) che leggo sempre perché molto interessante, è sorta questa domanda da parte di Diego: "tutti noi, anche non credenti, abbiamo presente la figura del nazareno che paga sulla croce, con la croce; ma a me qualche volta è venuto un pensiero: non gli dispiaceva far soffrire sua madre? l'eroe, il santo, il martire, non si pone mai il problema dei suoi cari, di quelli che soffrono per il suo martirio? non c'è in fondo un impercettibile egoismo anche nell'essere eroi?"

Come già rispondevo a Diego è una domanda che mi sono posto anch'io.
Io penso che nessuna nostra decisione (e anche non decidere è in fondo una decisione) non è mai neutra, genererà sempre sia della gioia che del dolore. Non siamo delle monadi isolate, o come diceva John Donne "nessun uomo è un'isola", per cui ogni nostra azione si ripercuote attorno a noi. Non sempre nelle nostre decisioni siamo coscienti delle ripercussioni che queste avranno sugli altri, il più delle volte lo siamo solo in parte. Il fatto che una nostra scelta produrrà della sofferenza a persone a noi care deve impedirci di fare tale scelta? Oppure il bene più grande che una scelta darà può compensare e lenire il dolore arrecato?
Un altro punto è se questa scelta la facciamo in modo solitario o se la condividiamo con le persone a noi care.
Quanto poi all'egoismo, io direi che anche forse si. In fondo in ognuno di noi c'è un misto di bene e di male, e anche ogni nostra azione ha dei risvolti o positivi o negativi. Niente di ciò che facciamo è positivo o negativo al 100%. Per cui ci sta che nell'eroismo dell'eroe ci sia anche un impercettibile egoismo.

Io penso che soprattutto nel caso di Gesù lui era certamente cosciente che la sofferenza sua era anche quella di sua madre (e anche dei suoi amici) avrebbe poi generato tanto più bene per tutti (e in primis per sua madre), il bene che ne sarebbe vebuto sarebbe stato enormemente più grande di quel dolore. Lui stesso l'aveva paragonato al dolore del parto: a un dolore segue poi una gioia ancora più grande, grande al punto da cancellare il dolore.
Inoltre sua madre non era mia stata estranea alle sue scelte e anche se molto probabilmente non le aveva sempre capite fino in fondo, le aveva sempre condivise e vi aveva partecipato.

La padrona di casa, Boh, risponde: "una professoressa americana di buddhismo diceva spesso che Gesù non ha pensato alle sofferenze della mamma, causate da lui stesso, e per questo non poteva essere Dio. D'altronde i grandi paladini della libertà in Birmania o in Nepal rinunciano alla famiglia. Si staccano dai figli, e così via. Per non fargli male, oltre che per non essere ricattabili."

Innanzi tutto mi domando se distaccarsi dai figli già non provochi dolore in loro. Ma il punto ritengo sia un altro.
Se non mi sbaglio, nel qual caso cara Boh ti prego di correggermi, e detto in maniera molto povera e semplice, nel buddismo si cerca di raggiungere il Nirvana tranite la liberazione dalle passioni. Passioni che sono causa da una parte delle reincarnazioni, e dall'altra del dolore. La risposta che il Buddismo da al problema del dolore e una risposta che tende al superamento del dolore tramite la sua negazione.
La risposta cristiana è invece differente. Come Gesù vince la morte attraverso la morte, la scardina dall'interno, così riesce a vincere il dolore accettandolo e 'donandolo'. Lo vince dall'interno. Il dolore lo vinci non fuggendolo, ma accettandolo e dal di dentro trasformarlo vivendolo per amore. Attenzione che non si tratta di cercare il dolore, ma solo di accoglierlo quando, se e come viene. E senza mai dimenticare che non è il dolore in sé che 'salva'. Il dolore può diventare via di salvezza, ma anche di dannazione.

Date queste premesse mi sembra logico che un buddista trovi impossibile che Gesù sia Dio.

6 commenti:

  1. Mio caro, intanto ti ringrazio dei complimenti al blog.

    Nel buddhismo il dolore non si nega ma, anzi, si accetta per superarlo. Si parte dall'assioma che la vita è dolore e che bisogna trovare un modo per superarlo.
    Il buddhismo è un metodo (talvolta veloce, talvolta molto lungo) per trovare la liberazione in vita, la salvezza propria e di tutto l'universo. Con l'universo, non ci sono gerarchie di chi viene prima e chi viene dopo (come nel cristianesimo, per cui l'uomo sta in cima alla scala del creato).

    Il buddhimo dai primi secoli dopo Cristo in poi (ricordiamo che è del VI sec. a.C.) ha trasformato la figura del Buddha, "io sono il dharma", in un dio attraverso cui raggiungere la salvezza, seguendo appunto il dharma, che lui incarna, ma in realtà nel buddhismo originario, non quello popolare di massa Mahayana, non c'è dio che ti salvi ma è l'uomo che si salva da solo. Buddha è un essere molto speciale, non un dio. E' un esempio da seguire, a cui rifarsi, non un essere soprannaturale dal quale dipendiamo.

    C'è una trasformazione di sé stessi partendo dalla realtà innegabile della vita, che è il dolore. Si accetta così tanto questa realtà, così profondamente, che viene vista, come il resto della realtà, come un momento: si può superare. Abbiamo i mezzi per farlo, cioè possiamo sconfiggere il dolore tramite la conoscenza della sua natura transitoria e impermanente e il superamento delle cause che lo generano. La salvezza dipende da noi e una retta conoscenza può superare il dolore.

    Chi ha parlato di fuga? Si parla di sconfitta: si sconfigge andando alla base del dolore: il non-attaccamento.

    Penso, ma non sono certo una specialista di cattolicesimo, che la differenza di base sia proprio che il cattolico dipende da Dio per la salvezza, ed è stato salvato dal dolore di Cristo (cioè la sua passione e resurrezione), mentre il buddhista no. Non dipende da nessun agente esterno.

    Ma devo pensare bene alle differenze e al senso del dolore, francamente non le ho mai prese in considerazione. E parlo da profana di cristianesimo e cattolicesimo, lo ripeto. E' una risposta scritta di getto. Un storico delle religioni o un comparativista ti può dire certamente qualcosa di più.

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  2. Innanzi tutto per la chiara ed esauriente risposta. E che mi ha chiarito alcune cose che non sapevo (o sapevo male) del buddismo.

    È vero, nel cristianesimo (ma anche nell'ebraismo) l'uomo è apice del creato. Solo l'uomo, tra tutte le creature, è creato a "immagine e somiglianza" di Dio. Però subito dopo la creazione, l'uomo viene posto nel giardino in Eden per "curarlo e coltivarlo". Siccome l'uomo è immagine e somiglianza, per essere sé stesso, cioè realmente e totalmente uomo, deve comportarsi come Dio, cioè amare, coltivare e curare il creato. Essere 'apice e vertice' non significa essere tiranno e sfruttatore, ma curatore e amante. Dio ci chiede di essere corresponsabili del creato.

    "Chi ha parlato di fuga? Si parla di sconfitta: si sconfigge andando alla base del dolore: il non-attaccamento."

    Forse mi sono espresso male, ma io non intendevo parlare di fuga.


    Innanzi tutto una piccola precisazione: non è il dolore di Cristo che salva, è tutta l'esistenza di Cristo che è salvifica. Difatti quello che viene chiamato 'mistero pasquale di Cristo' è Incarnazione-Passione-Morte e Resurrezione, cioè la totalità della sua vita. Comunque non ti preoccupare, ci sono un mucchio di cristiani che se ne dimenticano. Comunque la salvezza data da Gesù non è un atto per così dire 'magico', non è che siccome lui è venuto su questa terra, tac, con un colpo di bacchetta magica, basta credere in lui e si è salvi.
    E la salvezza offerta da Gesù consiste principalmente nel dare la giusta 'immagine' di Dio. Dio non è quell'essere che se ne sta lassù, al massimo indifferente agli uomini, ma in genere giudice severo e implacabile, limitatore della libertà umana.
    No, Dio è il padre che ama. E proprio perché ama vuole innanzi tutto la libertà dell'amato, perché solo se si è liberi si può amare.
    Quindi la fede non è la sottomissione ad una legge o a un Dio, ma rapporto amoroso con una persona. E di conseguenza la salvezza cristiana non è altro che l'accettazione di questo rapporto, è risposta ad una proposta di dialogo. Quindi la salvezza dipende solamente da noi.

    Comunque anche le mie erano considerazioni dettate non dico di getto, ma senza aver fatto studi o ricerche. Certo che l'argomento è molto vasto e complesso. Però questa riflessione mi stuzzicava (e mi stuzzica ancora).

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  3. bel thread, caro julo

    non vorrei scrivere una sciocchezza, ma almeno da quel che leggo, deduco che, detto molto alla buona, il buddismo è una filosofia, un insegnamento umano, mentre il cristianesimo è una religione;

    in fondo tutti i pensieri "profondi" partono dallo sgomento d'esser uomini, dallo sgomento del vivere "nudi" di fronte alla durezza della legge naturale, della morte;

    perfino il più ateo di tutti i pensatori, il grande ma spietato nietzsche parte comunque dallo sgomento per la "morte di dio", quindi parte sempre dallo stesso enigma

    la fede, questa luce, beato chi la trova, ma stare nel sentiero, e camminare, forse è già l'inizio della risposta

    caro julo, ti leggo con interesse, come sempre

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  4. Innanzi tutto grazie per la visita, sempre gradita.

    Non dici una sciocchezza, per molti studiosi il buddismo, a stretto rigor di termine, non è una religione. Personalmente non sono d'accordo, ma la cosa ha un suo senso.

    Mi sentirei anche di aggiungere una cosa: la fede È un cammino mai terminato.
    In fondo Gesù ai primi discepoli non ha detto "sedete e ascoltate", ma "venite e vedete". Dopo la Risurrezione li ha "preceduti" in Galilea, e alla fine, prima di salire al cielo, non gli ha detto di sedere e aspettare, ma di andare per tutte le strade.
    La fede è vita, e la vita è movimento. Solo la morte è fissità. Una fede che è ferma è una fede morta, cioè non è più fede.

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  5. caro julo ho letto con estremo interesse questi vostri commenti così complessi e profondi e passerò anche a leggere il blog che tu hai nominato nel post
    Tu hai detto nell'ultima parte del tuo ultimo commento che :" La fede è vita, e la vita è movimento. Solo la morte è fissità "
    Sicuramente sono d'accordo sul fatto che la vita è e deve sempre essere movimento. Bisogna vivere in modo attivo ogni momento della nostra vita anche quando ci sono dolore e malattie per superarli e riprendere le fila del nostro essere persone che possono e devono crescere anche con o anche dopo grandi difficoltà
    Non so però se la morte è fissità
    Con la morte cessa la vita terrena, il corpo si decompone e ritorna in cenere, ma di una persona resta comunque il ricordo, anche profondo, in color che lo hanno amato
    E se si è credenti si dovrebbe anche credere nell'anima, quella che non dovrebbe morire mai
    Se poi non si è cattolici, in altre religioni è presente l'accettazione del ritorno sulla terra in altre forme , umane e non...
    Un discorso molto lungo e complesso ma comunque , in breve, un'accettazione della morte fisica, ma non di quella immortale ...
    Grazie per questo tuo post dunque che mi ha permesso di riflettere sulla vita e sulla morte, più che sugli eroi, che non amo granch'è perchè ritengo che sia più giusto non avere eroi, ma tanti singoli individui onesti, corretti e positivi che pensino con la loro testa e cerchino sempre di fare il meglio in qualunque momento della loro vita !
    un caro saluto erica

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  6. Carissima Erica, molto giusto e vero ciò che dici a proposito della vita eterna.
    Io con quella frase che tu citi mi riferivo alla vita terrena. Nella vita terrena tutto ciò che è vivo si evolve, cresce. Invece ciò che è morto no. Il processo di corruzione è un processo che avviene per cause esterne, proprio perché le cause interne non ci sono più. È chiaro che ciò riguarda solo la parte fisica della vita, in particolar modo per la vita umana. Anche su questa terra la parte spirituale rimane, se non altro nel ricordo delle persone che sono state vicine.

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