29 giugno 2011

Internet e il ghiaccio

Non mi piace il copia-incolla da altri siti, ma questa volta (anche su sollecitazione dell'autore) faccio un'eccezione, anche perché l'argomento (e il modo di affrontarlo) lo merita:

Stati Uniti d’America, inizi del XX secolo. L’America crede nel progresso e nella scienza. I piroscafi attraversano l’Atlantico, i treni corrono sempre più veloci, le lampadine inventate da Thomas Alva Edison sostituiscono le vecchie lampade a gas, l’energia elettrica incomincia ad entrare nelle case.

Tutto sembra dire che la freccia del tempo continua ad andare in avanti. Sempre più velocemente.


Alcuni giovani di belle speranze, appena usciti dalle più prestigiose Università americane dove hanno studiato la termodinamica, aprono delle piccole fabbriche ovunque nel Paese. Producono un nuovo marchingegno: il frigorifero domestico. Niente di tecnicamente rivoluzionario, sia chiaro. Macchine del genere già esistevano da tempo, ma erano grandi come case e riservate a chi era in possesso di ingenti capitali da investire nella fiorente industria del ghiaccio. Il frigorifero domestico è diverso: lo metti in cucina e via.

Agli Americani, fieri individualisti, piace subito l’idea di farsi il ghiaccio in casa e di non dover più rivolgersi ai punti vendita per mettere in fresco le vivande e raffreddare i propri drink. Per i locali pubblici (bar, ristoranti) è una vera rivoluzione. Tra le classi meno abbienti impazza la moda della Coca Cola con ghiaccio e del whisky on the rocks. In pochi anni, infatti, il frigorifero è diventato sempre più economico e alla portata di chiunque, anche di impiegati e operai.

L’industria del ghiaccio è in allarme. I suoi margini di profitto diminuiscono a vista d’occhio. Centinaia di analisti guardano i grafici delle revenue in picchiata. In borsa, a New York, tutti vogliono vendere le azioni delle industrie del ghiaccio. Ma nessuno sembra volerle comprare. “Spazzatura”, dicono a Wall Street. Il destino dell’industria del ghiaccio sembra segnato, come era già accaduto per il foraggio dei cavalli (ora la gente viaggia in auto, chi non può permettersela in tram).

E’ a questo punto che la FAIG (Federazione Americana Industria del Ghiaccio) si coalizza con l’UDIGUS (Unione Distributori Ghiaccio degli Stati Uniti) e si rivolge al Congresso. Decine, forse centinaia di lobbisti avvicinano ogni singolo parlamentare. Anche il Presidente li riceve e i membri dell’Amministrazione sono tutti coinvolti.

Ai politici, gli uomini della FAIG spiegano che è sbagliato che gli Americani producano ghiaccio in casa. L’acqua potrebbe essere inquinata, i consumi elettrici sono eccessivi, e poi l’industria sta perdendo profitti di giorno in giorno. Migliaia di operai sono per strada. Molti di più però sono a lavorare nelle industrie di frigoriferi domestici, ma questo i lobbisti non lo dicono ai rappresentanti del Congresso.

Gli uomini della FAIG però capiscono che questo non basta. Sollevano l’argomento morale: non è giusto che i signori del frigorifero domestico usino la nostra stessa tecnologia per distruggerci. E non è giusto che lo facciano i cittadini americani. Chi sono questi consumatori per diventare loro stessi dei piccoli industriali del ghiaccio in casa? Pare infatti che chi ha il frigo addirittura regali il ghiaccio ai vicini! Gratis! Costa talmente poco che è ridicolo farsi pagare. “Non facciamo nulla di male” – dicono i manigoldi – “siamo solo dei buoni vicini”. Ma la FAIG non è d’accordo e spende milioni di dollari in pubblicità sui giornali, nei cinematografi, in radio: “pirati del ghiaccio” vengono subito soprannominati.

La FAIG ottiene dal Congresso la proibizione di “duplicare il ghiaccio e diffonderlo senza autorizzazione dei detentori dei diritti”. Chi lo farà verrà punito dalla legge. Ma non è tutto. Le piccole industrie di frigoriferi domestici devono pagare i brevetti alle grandi industrie della FAIG. Poi devono anche pagare una tassa chiamata “equo compenso”, che sale a seconda di quanti cubetti di ghiaccio il frigo può potenzialmente produrre. Anche i consumatori devono pagare l’equo compenso. Anche quelli che non hanno il frigo. Si sono inventati un modo: siccome il ghiaccio si fa con l’acqua, viene tassata l’acqua. “Ma io non la uso per il ghiaccio” – protestano in molti. Non importa, si presume che tu lo faccia, o che lo faccia il tuo vicino per te, quindi devi pagare ugualmente l’equo compenso.

Nonostante questo, l’industria del ghiaccio è sempre più in crisi. La picchiata non si arresta. Tutte le contromisure sembrano essere inefficaci. Ed è così che nasce l’idea.

La FAIG convince il Congresso a creare una “Autorità Garante per il Ghiaccio”. Una sorta di tribunale senza troppi vincoli, i cui membri sono nominati dal Congresso stesso, che detta le regole, giudica i colpevoli ed emette le sentenze. Molti sostengono sia incostituzionale, ma il Congresso va avanti lo stesso. “Se vuoi puoi ricorrere al giudice contro le decisioni dell’Autorità”, dicono. Decisioni però che sono immediatamente operative. E se non hai i soldi, certo non potrai appellarti contro le sentenze dell’ “A-Gi-Ghi”.

L’Autorità studia come salvare l’industria del ghiaccio. Ma non lo dicono così, perché non è convincente spiegare alla gente che bisogna salvare un’industria vecchia e ucciderne un’altra nuova. Loro parlano di “diritto di congelamento”. L’acqua è privata e le aziende della FAIG possiedono la maggioranza delle azioni degli acquedotti. Pertanto non tutti sono autorizzati a congelarla. Questo è il loro assunto. Puoi pagare per avere il diritto di congelamento ma in realtà io “detentore dei diritti” posso revocartelo quando voglio perché te l’ho solo concesso. Il giacchio l’ho inventato io. Anche l’acqua è mia. Perché dovresti farci altro se non ciò che io “detentore dei diritti” decido tu possa fare con essa? La chiamano “licenza di congelamento”. Le licenze si vendono, per cui ogni cittadino compra la licenza a congelare la “loro” acqua (su cui già paga l’equo compenso). Si stabilisce anche che il cittadino comune non può produrre più di 5 cubetti al giorno. E in ogni drink non possono andarci più di due cubetti. “E il cubetto dispari?”, si chiedono in molti. La nuova legge su “diritto di congelamento” non lo dice, ma il terzo drink lo devi bere fresco appena, e non freddo come vorresti tu.

Viene inventato il sistema “Ice Rights Management”, gestione dei diritti del ghiaccio, e viene inserito nei frigoriferi. All’acqua viene aggiunto un additivo innocuo per la salute, ma che consente il congelamento solo nei frigoriferi autorizzati, quelli che rispondono alle norme tecniche dell’ “IRM”.

I cittadini fanno i salti mortali. Ci sono modi per aggirare i meccanismi di controllo ma non tutti sono capaci di adottarli. E se vieni scoperto a farlo rischi grosso. In Europa un ragazzo che ha inventato un anti-IRM è finito in galera. Anche lui era un “pirata”.

Ma anche questo non basta. Nulla sembra riuscire a fermare la rivoluzione del frigorifero domestico. Le tecniche di controllo si inaspriscono. In Francia, dove hanno lo stesso problema, la società elettrica controlla i flussi di energia: se scopre che c’è un consumo eccessivo, suppone che tu produca troppo ghiaccio. Degli ispettori pagati dalle industrie del ghiaccio possono “aiutare” lo Stato a individuare i malfattori. Se vieni scoperto a produrre cubetti non autorizzati, dopo tre infrazioni ti viene staccata la corrente elettrica. Persino la Società delle Nazioni si ribella e dichiara il frigorifero domestico “diritto umano”. Ma il suo appello cade nel vuoto.

Intanto in America tutto è ormai pronto. Il 6 luglio 1921 l’Autorità Garante per il Ghiaccio vara un regolamento che prevede la “tutela del diritto di congelamento” con ogni mezzo necessario. Compresa la tecnica detta “deep electron inspection” che consiste nel controllare a che scopo gli elettroni vengono consumati. Analoga tecnica, la “deep water inspection”, viene usata per l’acqua. Pare infatti che esistano circuiti di approvvigionamento idrico ed elettrico ancora liberi, che vanno assolutamente contrastati. Lo chiamano “Ice Rights Enforcement”, cioè “applicazione dei diritti del ghiaccio” ma non a caso la parola “enforcement” significa anche “costrizione”. Se violi la direttiva, ad esempio se regali il ghiaccio ai vicini, l’Autorità ti consente di metterti in regola entro 5 giorni. Altrimenti sempre l’Autorità mette delle palizzate intorno a casa tua e il Comune trasforma in un tappeto di chiodi il vialetto che porta nella tua proprietà, così che nessuno possa avvicinarsi. All’inizio del vialetto c’è un cartello: “Sito non raggiungibile per violazione delle norme sui diritti del ghiaccio”. L’idea è nata per contrastare i pedofili, chiudendoli in casa agli arresti domiciliari e segnalandoli alla comunità con cartelli simili. Lo chiamano “oscuramento”. Sei un delinquente, giusto? Perché qualcuno dovrebbe essere libero di venire a casa tua, magari per aiutarti a infrangere la legge? E che dire di quelli che vorrebbero il “nostro” ghiaccio da te?

Qualcuno protesta per l’equiparazione tra pedofili e “pirati”, ma la protesta rimane inascoltata.

Finalmente gli effetti di tanto lavoro incominciano a sentirsi. Migliaia di cittadini vengono “oscurati”. La gente ha paura e fa sacrifici per ottenere il poco ghiaccio concesso secondo le nuove leggi.

Le industrie di frigoriferi domestici avvertono il colpo. Alcune di esse, come “FreezerBook”, “TwiFreezer”, “Froogle” erano diventati dei veri colossi. Ora spendono più in avvocati e sistemi di controllo obbligatorio che in innovazione tecnologica sui frigoriferi. I cittadini sentono che c’è qualcosa di sbagliato, che diffondere il ghiaccio, regalarlo, usarlo per i più svariati scopi e senza limiti al numero di cubetti per drink dovrebbe essere un’attività lecita e libera. Sentono che c’è del “vecchio” in tutto questo, che se l’industria del ghiaccio è messa di fronte ad un nuovo modo di produrre e consumare, allora è l’industria che deve adattarsi. O morire. Non i diritti dei consumatori. Non la nuova tecnologia dei frigoriferi domestici.

Ma il peggio è ormai fatto. La gente ha paura. La vecchia industria del ghiaccio ha vinto. I frigoriferi nelle cucine ci sono ancora, ma sono controllati della Autorità e la FAIG ha persino degli ispettori che vanno casa per casa e denunciano i pochi trasgressori rimasti.

Eppure qualcuno lo aveva detto. Si erano levate voci che avvertivano del pericolo. Molti si sono disinteressati. Altri hanno risposto che era impossibile controllare il progresso e che esso avrebbe vinto, comunque. Non era vero. Era già successo, in Asia, che i frigoriferi dei cittadini fossero controllati dallo Stato. Chi tentò la “Rivoluzione del ghiaccio” fu duramente represso. “Ma quella è una dittatura”, ripetevano in molti. “Ciò non toglie che si possa fare, che la Rivoluzione del frigorifero può essere controllata e addomesticata”, rispondevano le cassandre. Magari non per tutti. Ci sono sempre dei pirati, degli hacker, che bucano la censura. Ma se rivelano come farlo possono venire incarcerati. Uno di loro, il leader di WikiFreeze che voleva “liberare il ghiaccio”, fu colpito con la scusa di aver molestato una donna. Non era vero, ma dovette subire un processo e andò in galera. E la maggioranza non riuscì mai ad applicare le tecniche più sofisticate per scavalcare i controlli.

Fu così che la rivoluzione del frigo domestico fu fermata. Oggi, nell’Anno del Signore 2011, pochi ricordano quegli accadimenti. Eppure hanno cambiato la Storia. Oggi per noi è un fatto assodato non avere la libertà di congelare l’acqua. Ma chiediamoci: è normale che sia così? E’ giusto? Poteva andare diversamente, se avessimo reagito in tempo?

Forse non lo sapremo mai.

P.S. Questo non è un racconto di fantasia. E’ quello che può accadere se l’Autorità Garante delle Comunicazioni italiana varerà il 6 luglio la delibera sull’enforcement del diritto d’autore: http://www.agoradigitale.org/nocensura

Solo che non parliamo di ghiaccio, ma di Internet e di libertà.

Per La Liberta’ Dei Cittadini in Rete: http://www.facebook.com/retelibera

© 2011 Guido Iodice. La copia letterale e la distribuzione di questo articolo nella sua integrità sono permesse (e caldamente sollecitate) con qualsiasi mezzo, a condizione che questa nota sia riprodotta.

Nota: Come tutte le metafore, qualcosa non coincide alla perfezione. Ma lo scopo di questo articolo è mostrare l’assurdità di voler controllare la Rete e la profonda ingiustizia dietro questo intento.

L’idea originale della metafora dell’industria del ghiaccio non è mia, ma di Bruce Perens, che l’ha usata in un contesto differente: http://www.askmar.com/Open%20Source/Bruce%20Perens.pdf

02 giugno 2011

Il mio 2 giugno

Oggi la Festa della Repubblica l'ho festeggiata a modo mio.
Mi è sempre piaciuto camminare, ma da un po' di tempo lo faccio sempre più spesso. Quasi ogni mattina (cioè tranne quelle poche vole che non sento la sveglia) per andare a lavorare non prendo l'autobus, ma mi faccio una bella camminata.
Per il mio prossimo compleanno, moglie e figli mi hanno regalato un nuovo paio di scarpe da hiking (per gli esperti: HEDGEHOG GTX XCR della TheNorthFace).


Così questa mattina nonostante il cielo grigio scuro sono partito per la prima parte del sentiero Trieste-Venezia. Mi sono staccato dal percorso poco prima del punto 4 sulla piantina presente nel link. Qui ho preso un sentiero che risaliva il ciglione carsico. e dopo aver attraversato una pineta sono sbucato nel paese di Aurisina.
La vecchia stazione del Castello di Miramare
All'inizio si passa proprio attraverso la vecchia stazione del Castello di Miramare. È ancora in stile ottocentesco. E quel che meraviglia è che ancora oggi qualche treno ci si ferma e fa servizio passeggeri. Questo perché a meno di 100 metri c'è il Centro Internazionale di Fisica.


Per la prima parte del percorso camminavo avvolto nel profumo dei biancospini. Gli unici rumori erano il canto degli uccelli. Quante voci diverse!!! Alcune non le avevo mai sentite. 


Solo ogni tanto qualche treno passava nella sottostante linea ferroviaria.


Vista sia la festività che l'ora (ho iniziato a camminare verso le 6.45) non c'era assolutamente nessuno. Solo io e la natura. Man mano che procedevo la vista si apriva. 
L'ormai lontano Castello di Miramare e, dietro, la città


A circa mezza costa scorre il sentiero
Erano circa venti anni che non passavo più per questo sentiero e vi ho trovato un bel po' di nuove costruzioni. 


La natura però è la vera regina.


Cespugli di ginestre in fiore
Moltissimi di questi fiori (che non so come si chiamino)

Fichi ancora acerbi
Dopo il paese di Santa Croce inizia la 'via della salvia' (di cui avevo parlato in un vecchio post) che deve il suo nome al fatto che in certi punti si cammina proprio in mezzo a piante di salvia selvatica.
La via della salvia
Il segno di dove dovevo abbandonare il sentiero era dato dalla torre piezometrica del vecchio acquedotto cittadino
Torre piezometrica del vecchio acquedotto

Sono sbucato nel paese di Aurisina proprio in tempo per vedere il bus che si allontanava. Siccome il seguente era dopo mezz'ora, mi sono seduto su un muretto a leggere un libro che mi ero portato dietro. 
Alle 9.30 ero a casa, felice e per niente stanco. 

Dipendesse da me domani riprenderei da dove ho lasciato (e il sogno, purtroppo irrealizzabile, e di iniziare a camminare da casa per arrivare fino a Finisterre).

Purtroppo invece devo andare a lavorare. 

Mi limiterò a farmi una camminato fino all'ufficio.