21 marzo 2015

V DOMENICA DI QUARESIMA

Il vangelo di oggi inizia con una domanda impegnativa: “Vogliamo vedere Gesù“.
Dico che è impegnativa perché è questa l’esigenza, la richiesta più urgente, anche se spesso inconfessata, del mondo d’oggi nei confronti dei cristiani.

Sta a noi soddisfare questa pretesa legittima. Noi, i cercatori di Dio, dobbiamo essere in grado di coinvolgere anche gli altri in questa avventura entusiasmante.

La vita cristiana, o è manifestazione di Dio, oppure è accademia spirituale, catena di montaggio di opere più o meno buone, orribile chiacchiera come la definisce S. Kierkegaard. Se il Signore non ci ha deluso, proviamo a nostra volta a non deludere le attese dei fratelli.
Dobbiamo però evitare di rispondere a questa attesa nella maniera sbagliata. Maniera sbagliata è soprattutto la pretesa di insegnare Dio. “Vogliamo vedere Gesù”, ci dice il mondo, non abbiamo voglia di sentire dei discorsi intelligenti e pretenziosi sul suo conto. Dovete “mostrarcelo” non “dimostrarcelo”.

Non si insegna Dio. Bisogna raccontare Dio. Bisogna manifestare Dio, con entusiasmo, passione, competenza, stupore, e perfino ingenuità.

Succede spesso che ci lamentiamo dell’indifferenza, del disinteresse, del “sonno” degli uomini del nostro tempo nei confronti di Dio. Dovremmo però porci una domanda: e noi che cosa facciamo per risvegliarli, per scuoterli da questa inerzia? qual’è il nostro potenziale di disturbo? quale immagine di Dio siamo in grado di esibire?
Antoine de Saint-Exupéry osservava amaramente: “C’è troppa gente che lasciamo dormire”
Ora, qual’è il dono essenziale della vita cristiana nei confronti del mondo moderno? Io penso che sia il “dono della nostalgia”. Nostalgia di qualcos'altro, di un Altro.

Oltre alla macchina, al televisore, al computer, al telefonino e a una discreta collezione di idoli vari, l’uomo possiede, nelle profondità del suo essere, qualcosa di molto prezioso: il marchio di fabbrica, potremmo anche dire la cicatrice, di Dio (”E dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza). In ogni uomo esiste questo marchio, magari sepolto sotto cumuli di polvere e di sonno.

In questo caso “impedire di dormire” non significa tanto alzare la voce, quanto lasciar intravedere, essere trasparenti. Il nostro compito consiste nel fare da specchio, risvegliare quest’immagine, riportarla alla luce.

Prima di finire vorrei proporre un piccolo esercizio di fantasia. Proviamo ad immaginare che qualcuno, magari proprio questa sera, ci fermi e butti li la stessa richiesta fatta a Filippo: “Vogliamo vedere Gesù”. Riusciamo ad immaginare come ce la caveremmo?
Ma vorrei regalarvi un’altra immagine. Quando morì in un incidente d’auto, l’abbé Amédé Ayfre, il creatore della teologia dell’immagine, aveva 42 anni. La sua epigrafe più bella è stata detta, sia pure involontariamente, da un’attrice che confessò a un giornalista che la intervistava: “Che cosa volete che vi dica … quello era un uomo che quando lo incontravi, ti faceva venire voglia di Dio
Pensiamoci un po’. Ci è mai successo di sentirci responsabili di aver fatto venire a qualcuno la voglia di Dio?

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