28 marzo 2024

L'amore di Dio è più forte della morte - 31/3/2024 - Pasqua di Risurrezione (Messa del giorno)




Maria di Magdala esce di casa quando è ancora buio, buio nel cielo e buio nel cuore. Non ha niente fra le mani, ha soltanto il suo amore, che si ribella all'assenza di Gesù.
Maria va al sepolcro e non ha paura. Scrive Meister Eckhart: "Non ha paura lei che è donna, mentre hanno paura gli uomini, perché lei gli apparteneva e il suo cuore era presso di lui. Dove era lui era anche il cuore di lei, perciò non aveva paura". L'amore profondo riesce a vincere anche la paura.
Non a caso chi si reca alla tomba in quell'alba sono coloro che hanno avuto più forte l'esperienza dell'amore di Gesù: le donne, la Maddalena, Pietro e Giovanni. Sono loro che capiscono che un amore come quello di Gesù non poteva essere annullato dalla morte, che un amore come quello di Gesù è più forte della morte.
«E vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro». Il sepolcro è spalancato, vuoto, risplendente nel fresco dell'alba, e fuori è primavera. È aperto come il guscio di un seme.
Qualcosa si accende in Maria: un'urgenza, un'ansia, un fremito che improvvisamente ribaltano il ritmo del racconto. «Corse allora da Pietro e dall'altro discepolo». Può correre, perché ora sta nascendo il giorno; deve correre, perché è la nascita di un universo nuovo, sono le doglie della vita.
E Maria senza saperlo dice parole che sono segno di fede profonda: «Hanno portato via il Signore ». Non dice che hanno preso 'il corpo' del Signore, ma 'il Signore'. Ne parla come fosse vivo, come si parla di una persona viva. Perché per lei è vivo. "Amare è dire: tu non morirai!" dirà qualche secolo più tardi il filosofo Gabriel-Honoré Marcel (1889-1973) e lei lo urla con tutto il suo cuore.

«Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro ». Tutti corrono al mattino di Pasqua! Corrono sospinti da un cuore in tumulto, perché l'amore ha sempre fretta. Chi ama si sente sempre in ritardo sulla sua fame di abbracci, si sente sempre assetato della gioia dell'incontro.
Ma l'altro discepolo, quello che Gesù amava, corre più veloce e arriva per primo al sepolcro, cioè arriva per primo a capire la risurrezione e a credere in essa. Perché chi ama e sa di essere amato capisce di più, capisce prima, va più a fondo. "Si vede bene solo con il cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi" (Antoine de Saint-Exupéry)

Pasqua è il tema più bello e più arduo di tutta la Bibbia. La risurrezione di Cristo fu un evento talmente inaudito che gli evangelisti, per raccontarla, non trovarono una parola specifica, ma usano verbi come svegliarsi e alzarsi, usano i verbi del nostro mattino.
E allora è bello pensare che la Pasqua è raccontata con i verbi di ognuno dei nostri mattini, quando ci svegliamo e ci alziamo. È bello pensare che ogni mattina sia la nostra piccola risurrezione quotidiana.




Io auguro a noi occhi di Pasqua
capaci di guardare
nella morte fino alla vita
nella colpa fino al perdono,
nella divisione fino all'unità,
nella piaga fino allo splendore,
nell'uomo fino a Dio,
in Dio fino all'uomo,
nell'io fino al tu.
E insieme a questo, tutta la forza della Pasqua!

Klaus Hemmerle, vescovo di Aquisgrana (1929-1994)



Letture:
Atti 10,34a.37-43
Salmo 117
Colossesi 3,1-4
Giovanni 20,1-9


21 marzo 2024

Dio è dall'altro capo della tua croce - 24/3/2024 - Domenica delle Palme

Gesù e Simone di Cirene
(Sieger Köder)



Davvero misteriosa la Via Crucis: Dio entra nella sofferenza umana, la porta sulle proprie spalle; però nello stesso tempo offre all'uomo la possibilità di condividere il suo dolore, di partecipare alla sua Passione, di dargli una mano a portare la croce. L'episodio del Cireneo ci racconta questo mistero. Dio che interviene nella pena dell'uomo e l'uomo che interviene nella pena di Dio; Dio che porta il peso dell'uomo e l'uomo chiamato a portare il peso di Dio.
Quando scopriamo questo, allora la croce, da sofferenza personale e faticosa, diventa sofferenza partecipata. Allora ogni circostanza dolorosa, da qualcosa che 'mi' capita, diventa qualcosa che 'ci' capita. Questo perché non siamo più noi a portare la nostra croce, ma ci scopriamo ad essere coloro che aiutano Gesù a portare la nostra croce.

Non c'è salvezza senza partecipazione;
non c'è redenzione senza fatica condivisa;
non c'è croce, ma neanche felicità, solitaria
.

Certo non è una cosa facile, difatti il Cireneo è stato requisito, obbligato. Di fronte alla croce voglio girare al largo, dire che è troppo per le mie forze, che non è giusto, mi chiedo che male abbia mai fatto per meritarmi tutto questo. Invece è questa la croce che oggi devo portare, proprio nel momento meno opportuno, proprio nelle circostanze meno propizie.
Ma anche di fronte alla croce degli altri si scantona facilmente, si finge di non vedere. 'Sono cose che succedono' si dice sperando che succedano sempre e solo agli altri.
Troppo spesso dimentichiamo che a Gesù è capitata, nello stesso nostro momento, la stessa nostra cosa. Quando c'è di mezzo la croce, ogni croce, lui c'è già, lui è già sotto quel peso, l'ha già portato e lo porterà fino alla fine del mondo. Una sola cosa gli manca: la mia presenza accanto a lui.

Chi come me ha studiato il catechismo di Pio X ricorda che una delle prime domande era "dov'è Dio?". Dopo tanti anni non ricordo più la risposta esatta, però oggi saprei ugualmente dare una risposta: "Dio è all'altro capo della croce". Della mia croce. Ma anche della croce dell'altro. Dovunque ci sia una croce, non c'è che da tirarla su e siamo certi che dall'altra parte c'è Lui. Adesso sappiamo dove trovarlo!

Ma il Cireneo ci insegna anche che ogni croce la debbo portare per un tratto più o meno lungo, ma poi alla fine è Lui che ci sale sopra e mi sostituisce. E sale sulla mia croce. Gesù mi chiede di sollevare e di portare la mia croce e di andargli dietro fino al momento in cui Lui ne prenderà possesso con i chiodi, e la farà sua definitivamente.
È proprio per questo che noi non siamo dei condannati, ma dei graziati.



Parla Simone il Cireneo
Simon the Cyrenian Speaks


Egli non mi disse una parola,
Eppure mi chiamò per nome;
Egli non mi fece neppure un cenno,
Eppure io capii e venni.
Dapprima dissi: «Non voglio portare
La sua croce sulla mia schiena;
Egli vuole caricarmela addosso
Solo perché la mia pelle è nera ».

Ma Egli moriva per un sogno
Ed era molto mite,
E nei suoi occhi splendeva una luce
Che gli uomini fanno molta strada per trovare.

Fu Lui a conquistare la mia pietà;
Ho fatto solo per Cristo
Ciò che tutta Roma non avrebbe potuto ottenere
Con lividi di frustate o sassate.

He never spoke a word to me,
And yet He called my name;
He never gave a sign to me,
And yet I knew and came.
At first I said, "I will not bear
His cross upon my back;
He only seeks to place it there
Because my skin is black."

But He was dying for a dream,
And He was very meek,
And in His eyes there shone a gleam
Men journey far to seek.

It was Himself my pity bought;
I did for Christ alone
What all of Rome could not have wrought
With bruise of lash or stone.

Countee Cullen (1903 - 1946)



Letture:
Isaia 50,4-7
Salmo 21
Filippesi 2,6-11
Marco 14,1-15,47


14 marzo 2024

Diventare specchio che rifletta l'amore di Dio - 17/3/2024 - V Domenica di Quaresima

semi germogliati (*)



Nei Vangeli ci sono due domande che ogni volta che le leggo, le sento come fossero rivolte a me personalmente. Una la pone Gesù: "e tu, Julo, chi dici che io sia?" (cfr. Mc 8, 29; Mt 16, 15 e Lc 9, 20). La seconda, nel Vangelo di oggi, la pongono dei Greci: «vogliamo vedere Gesù»

Penso che il 'mondo', le persone siano stufe di discorsi dotti, stanchi di prediche auliche, di norme e regole fumose. Non c'è bisogno di dimostrazioni di Dio. C'è bisogno di fedeli che 'mostrino' Dio; che lo rendano presente con la loro vita, con i loro gesti.
In una società delle immagini, dell'apparire, c'è bisogno di 'influencer' che ci facciano venire voglia di Dio.
Quando morì in un incidente d'auto, l'abbé Amédée Ayfre, il creatore della teologia dell'immagine, aveva 42 anni. La sua epigrafe più bella è stata detta, sia pure involontariamente, da un'attrice che confessò ad un giornalista che la intervistava: "Che cosa volete che vi dica, quello era un uomo che quando lo incontravi, ti faceva venire voglia di Dio".
Penso a fr. Roger, che ogni volta che lo vedevi, che parlavi con lui, con il suo sguardo, con la dolcezza del suo sorriso ti faceva venire nostalgia di Dio.
Mosè quando discese dal monte Sinai dopo aver incontrato Dio, aveva 'il volto incendiato', il viso splendente (Es 34, 29).
È la nostra vita che deve mostrare Gesù, che deve diventare uno specchio che rifletta l'amore di Dio per tutti gli uomini, che sia segno della misericordia divina per tutti noi, pecorelle smarrite del suo gregge.
«Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza..."» (Gen 1, 26) In ogni essere umano c'è questa impronta, questo 'marchio di fabbrica', magari nascosto sotto mucchi di polvere, seppellito sotto valanghe di varia paccottiglia. La nostra vita dovrebbe diventare quello specchio che permetta agli altri di riscoprire quel pezzo di DNA divino che hanno nella loro persona.

È questo il senso dell'immagine del chicco di grano usata da Gesù. Noi ci lasciamo colpire da quel "se muore..., se non muore..." e trascuriamo tutto il resto. Quella parola, 'morire', è solo il dito che ci indica il vero nocciolo del discorso: "produrre vita". La gloria di Dio non sta nel morire, ma nel dare molto frutto. Perché il chicco di grano, come qualsiasi seme, anche se sembra qualcosa di secco e arido, in realtà è una bomba di vita. Perché il seme, una volta posto nel terreno, in realtà non muore, ma si trasforma. Il seme offre al germe (ma seme e germe non sono due cose diverse, sono la stessa cosa) il suo nutrimento, come una madre offre al bimbo il suo seno. E quando il seme ha dato tutto, il germe si lancia verso il basso con le radici e poi verso l'alto con la punta fragile e potentissima delle sue foglioline. Allora sì che il chicco muore, ma nel senso che la vita non gli è tolta ma trasformata in una forma di vita più evoluta e potente, gli viene donata più vita.



Dio ama racchiudere
il grande nel piccolo:
l'universo nell'atomo
l'albero nel seme
l'uomo nell'embrione
la farfalla nel bruco
l'eternità nell'attimo
l'amore in un cuore
se stesso in noi.

versi tratti da 'Ho buttato tutto ciò che potevo per fare più spazio al cuore' di Ferruccio Parrinello




Letture:
Geremia 31,31-34
Salmo 50
Ebrei 5,7-9
Giovanni 12,20-33



* (Foto di Adrian Infernus su Unsplash)


07 marzo 2024

L'unico modo giusto di amare è esagerare - 10/3/2024 - IV Domenica di Quaresima

Foto di Patty Brito su Unsplash



«Dio infatti ha tanto amato il mondo».
È immenso quell'avverbio di quantità. "Tanto", senza misura, in maniera esagerata.
La misura esagerata è la misura dell'amore. Perché di amore non ne riceviamo mai abbastanza. Perché di amore non ne doniamo mai a sufficienza.
Gesù è venuto non per dare una nuova legge, ma per mostrarci l'amore di Dio e spronarci ad imitarlo.
Perché con la legge, una volta che la segui, sei a posto.
Ma con l'amore non sei mai a posto. Non puoi mai dire "ho amato abbastanza". Hai sempre la possibilità e la capacità di amare ancora un po' di più, ancora un po' meglio. Perché l'amore più lo doni, più cresce in te e attorno a te.
L'unico modo giusto di amare è esagerare.

L'amore scalda il cuore, illumina la vita dell'amato e dell'amante. Illumina le nostre notti come ha illuminato la notte di Nicodemo (lui era andato da Gesù di notte). L'amore è una forza immensa, che "move il sole e l'altre stelle" (Paradiso, XXXIII, v. 145) ci ricorda Dante. È una forza che mi fa rinascere alla fiducia, alla speranza, alla serena pace, alla voglia di amare, di custodire e coltivare persone, talenti, creature, tutto intero il piccolo giardino che Dio mi ha affidato.
Non solo l'uomo, ma anche il mondo è amato, la terra è amata, e gli animali e le piante e la creazione intera.
E se Dio ama la terra, anch'io posso e devo amarla, con i suoi spazi, i suoi figli, il suo verde, i suoi fiori.
E se Egli ha amato il mondo e la sua bellezza fragile, allora anche tu amerai il creato come te stesso, lo amerai come il prossimo tuo: "mio prossimo è tutto ciò che vive" (Gandhi).

Gesù è venuto per amore, per portare tutti a Dio. Perché a Dio non interessano i tribunali. A Dio non interessa fare processi contro di noi, né per condannare né per pareggiare i conti. Ma neppure per assolverci. La vita degli amati da Dio non è a misura di tribunale, ma a misura di abbracci, di carezze, di sorrisi, di pane condiviso. Di amore sparso senza misura, seminato su tutti i terreni (Mt 13,1-23, Mc 4,1-20 e Lc 8,4-15).

Gesù è venuto perché il mondo sia salvato. Salvare vuol dire curare, vuol dire conservare. Nulla andrà perduto, non un sospiro, non una lacrima, non un filo d'erba. Non andrà perduta nessuna generosa fatica, nessuna dolorosa pazienza, nessun gesto di cura per quanto minuscolo e nascosto.



If I can stop one heart from breaking
Se io potrò impedire a un cuore di spezzarsi


If I can stop one Heart from breaking
I shall not live in vain
If I can ease one Life the Aching
Or cool one Pain
Or help one fainting Robin
Unto his Nest again
I shall not live in Vain

Se io potrò impedire a un cuore di spezzarsi
non avrò vissuto invano
Se allevierò il dolore di una vita
o guarirò una pena
o aiuterò un pettirosso caduto
a rientrare nel nido
non avrò vissuto invano

Emily Dickinson



Letture:
2 Cronache 36,14-16.19-23
Salmo 136
Efesini 2,4-10
Giovanni 3,14-21