29 luglio 2021

L'ininterrotta ricerca di Dio - 01/08/2021 - XVIII Domenica tempo ordinario


 

In questo brano del Vangelo di Giovanni mi colpisce un verbo: cercare. È un verbo molto presente in questo Vangelo: in esso le prime parole di Gesù sono quelle rivolte ai due discepoli del Battista: «Che cosa cercate?» (Gv 1, 38), fino a quelle rivolte alla Maddalena: «Chi cerchi?» (Gv 20, 15). Ma anche la Bibbia si apre con Dio che scende nel giardino per cercare Adamo: «Dove sei?» (Gen 3, 9)
La storia della Salvezza è questa ininterrotta ricerca: Dio che cerca l'uomo!

Poi c'è anche l'uomo che cerca Dio. Però in questo caso non basta 'cercare'. Occorre anche prendere coscienza delle vere motivazioni della nostra ricerca. È per questo che Gesù ci provoca con le domande o con affermazioni come quella di oggi «voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati».
C'è chi lo cerca per un sapere intellettuale, e chi perché non può fare a meno di Lui;
C'è chi lo cerca per il proprio interesse, e chi perché vuole che prenda il centro della propria vita;
C'è chi lo cerca per strumentalizzarlo, e chi perché vuole vivere di Lui e con Lui.

Qui la folla va da Gesù solo per il vantaggio materiale. È una ricerca interessata. Gesù li accusa di non saper leggere i 'segni', cioè i miracoli, che ha compiuto.
In fondo ci sono tre diverse reazioni di fronte ai segni di Gesù:
- Accecamento volontario, cioè rifiutare di vederli, di prenderne atto. Un esempio sono i farisei di fronte alla guarigione del cieco nato o alla resurrezione di Lazzaro
- Miopia, cioè fermarsi alla materialità del segno. È quello che fa la folla in questo caso, si ferma al pane mangiato, non va oltre (ma anche molto miracolismo dei nostri giorni).
- Penetrazione, cioè il partire dal segno per andare oltre, coglierne il significato profondo, cioè l'identità profonda di Gesù: Dio fatto uomo per amore dell'uomo!

Visto che la folla cercava il pane, Gesù propone due tipi di cibo: quello «che non dura», e quello «che rimane per la vita eterna». Gesù non rifiuta il pane materiale, difatti l'ha appena moltiplicato. Lui rifiuta di fermarsi a questo. Sa che «non di solo pane vivrà l'uomo» (Mt 4, 4), ed è venuto per offrire qualcos'altro, un altro pane. Il suo messaggio passa anche attraverso il problema economico, ma va oltre il piatto di minestra.

E qui la folla non riesce a fare il passo decisivo. Capiscono che devono andare oltre, ma rimangono a basso livello: "cosa dobbiamo fare?" Pensano a delle opere onerose da compiere per meritarsi l'approvazione di Dio, per avere altro pane materiale.
Cristo replica che non si tratta di 'fare' ma di 'credere'. La fede è la libera risposta ad un dono, è qualcosa che si riceve, non qualcosa che si conquista.
"C'è una sola cosa da fare: lasciarsi fare" (Jacques du Perron)


(Es 16,2-4.12-15; Sal 77; Ef 4,17.20-24; Gv 6,24-35)


22 luglio 2021

Nella matematica di Dio le moltiplicazioni si fanno solamente con le con-divisioni - 25/07/2021 - XVII Domenica tempo ordinario

 


Da oggi accantoniamo per qualche domenica il Vangelo di Marco per quello di Giovanni. Lo facciamo proprio nel punto in cui Marco tratta la moltiplicazione dei pani (collocata in quella che gli studiosi chiamano "sezione dei pani") perché Giovanni ne approfondisce il senso, come vedremo oggi e nelle prossime domeniche.

Innanzi tutto c'è da notare che la molta erba, il fatto che Gesù faccia sedere i presenti e quello che poi faccia distribuire da mangiare, sono, per la Bibbia, segni religiosi profondamente messianici. Quindi indicano chiaramente ai presenti la natura profonda di Gesù.

«C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci»
Gesù inizia facendo quasi un inventario di cosa noi uomini mettiamo a sua disposizione. Lui vuole coinvolgerci nella sua opera di salvezza, ci vuole suoi aiutanti, suoi stretti collaboratori.
Però non ci chiede il superfluo, ciò che ci avanza. Lui ci chiede il necessario, tutto. Inoltre non si basa sui calcoli umani, non gli interessa se quello che abbiamo è meno di una goccia nell'oceano.
Ma noi facciamo fatica a capire la logica divina per cui solo il donare produce abbondanza. Facciamo fatica a seguire Gesù che si ostina a "produrre il pane non con la farina ma con l'amore" (Adriana Zarri).
Il miracolo non avviene con i duecento denari di Filippo, ma quando buttiamo il nostro ultimo soldo.
Punto di partenza verso l'impossibile non è ciò che abbiamo, ma ciò di cui ci siamo privati, ciò che abbiamo donato. Nella matematica di Dio le moltiplicazioni si fanno solamente con le con-divisioni.

Per poter dire a Dio «Padre nostro» e chiedergli «il pane quotidiano», occorre che il pane non sia esclusivamente "mio", ma che lo faccia diventare "nostro".
Tutte le volte che rifiuto di condividere il pane, ma anche il lavoro, la terra, e così via, io cancello la presenza del Padre dalla terra.
Ma quando imparo la "prassi delle mani aperte nel gesto del dono", io rendo presente Dio in mezzo agli uomini.


(2Re 4,42-44 Sal 144 Ef 4,1-6 Gv 6,1-15)


15 luglio 2021

Tutto nasce da uno sguardo - 18/07/2021 - XVI Domenica tempo ordinario

 


La prima lettura (Geremia), il salmo (Il Signore è il mio mio pastore) e il Vangelo hanno un tema dominante, quello del 'pastore'.
Ma a me, soprattutto nel Vangelo, colpisce un'altra cosa, che sotto un certo punto di vista è alla base del buon pastore: lo sguardo.
Certo, solo una volta viene detto che Gesù ha visto («egli vide una grande folla»), ma per accorgersi che gli Apostoli erano stanchi deve averli 'visti'.

Tutto nasce da uno sguardo, da come Gesù guarda. E anche per noi tutto dipende da come guardiamo il mondo, le cose, le persone, la vita. C'è una responsabilità anche nello sguardo.
C'è lo sguardo che quando vede la folla vede una scocciatura, una rottura di scatole.
C'è lo sguardo che quando vede la folla pensa che la cosa non lo riguarda, che ci deve pensare qualcun altro.
C'è lo sguardo che quando vede la folla vorrebbe chiamare la polizia o l'esercito per disperderla o quanto meno tenerla il più lontano possibile.

E poi c'è lo sguardo di Gesù.
Gesù non vede dei 'dipendenti' che fanno la relazione sull'incarico svolto, ma degli amici che hanno lavorato molto e che adesso sono stanchi e hanno bisogno di riposare, di godere di una sosta insieme a Lui. Mi piace pensare che sia proprio da questo episodio che sant'Ambrogio scrisse "se vuoi fare bene tutte le tue cose, ogni tanto smetti di farle", cioè ogni tanto riposati. È un atto di umiltà, è ricordarci che non siamo noi a salvare il mondo e che la nostre energie sono limitate, la nostra vita è fragile.

Gesù non vede una folla indistinta che fa saltare i suoi piani. Vede delle persone che sono assetate di speranza, di affetto, di vita. Lo sguardo di Gesù è cuore, compassione, tenerezza. Lo sguardo di Gesù non giudica, non appiccica etichette. È uno sguardo che accoglie e abbraccia. Uno sguardo che perdona, come sa bene Pietro (Lc 22, 61). Quello di Gesù è uno sguardo vulnerabile, perché si lascia ferire dalle situazioni, dalle persone, dagli incontri (Luigi D'Ayala Valva, "Lo sguardo di Gesù", ed. Qiqajon).

Lo sguardo di Gesù è lo sguardo che ha Dio nei nostri confronti. Il Vangelo ci ricorda che Dio, quando ci guarda, si commuove. Quanto più siamo feriti dalla vita, tanto più Dio si commuove e ci avvicina per offrirci riposo, parlare al cuore e donare se stesso. Quando siamo stanchi ci invita un po' in disparte a fare due chiacchiere con Lui. È una bella definizione della preghiera: raccontare a Dio la nostra storia, dirgli ciò che viviamo, proviamo e pensiamo. Dio sa già tutto, ma ama sentirsi raccontare da noi le cose che già sa di noi.
Solo raccontando a Lui, Lui potrà poi raccontare a noi.


(Ger 23,1-6; Sal 22; Ef 2,13-18; Mc 6,30-34)

Anch'io penso, come don Giovanni Berti autore di questa vignetta, che tante volte Dio voglia 'solo farsi una birretta tra amici'. Ma noi siamo troppo seriosi per rendercene conto.


08 luglio 2021

Portatori di serenità e vita - 11/07/2021 - XV Domenica tempo ordinario

 


Il Vangelo di oggi ha un'essenzialità estrema, sembra quasi un foglietto di istruzioni, ma in realtà è molto profondo.

Una prima cosa si nota per quanto riguarda l'equipaggiamento, le cose da portare: Marco concede il bastone e i sandali che gli altri evangelisti invece proibiscono. E comunque le indicazioni dei sinottici sono diverse e in parte contradditorie. Non è un dress-code o l'elenco di cosa è consentito e cosa è proibito al check-in del missionario!
È l'indicazione di un atteggiamento. È la sottolineatura dell'esigenza di essenzialità, di leggerezza, di libertà, di disponibilità. Non si devono cercare altri 'appoggi' oltre al comando di Cristo. Si deve rinunciare alle sicurezze umane, per contare sull'unica sicurezza della potenza del Vangelo. «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10), proprio perché appaia che la potenza è del Vangelo, non dei mezzi o delle persone impiegati.

Ma c'è da rimarcare anche che vengono mandati «a due a due». Il primo annuncio è proprio questo: l'andare insieme, fianco a fianco. Insieme per dare una testimonianza credibile (la legge ebraica prevedeva che una testimonianza fosse valida solo se portata da almeno due testimoni). Ma c'è anche il fatto che essere in due ha i suoi vantaggi (ci si aiuta, ci si sorregge a vicenda), ma ha anche le sue fatiche, perché ti costringe al confronto e alla messa in discussione, cose che sono costruttive, ma che tuttavia richiedono impegno e soprattutto sono un colpo duro al proprio orgoglio e all'individualismo. Quindi essere in due è anche una testimonianza di unità, di solidarietà, di comunità. Essere in due è segno di tutta la serietà del messaggio.

Però in questo brano mancano due cose.

La prima è che i Dodici vengono mandati ... ma non viene detto 'dove' devono andare.
Non si viene mandati in un 'posto', ma ogni posto è il luogo in cui siamo mandati. Ogni posto in cui ci troviamo è il luogo della nostra testimonianza: il lavoro, la famiglia, il bar, la scuola, il supermercato, la strada. Ogni nostro passo nella vita deve essere testimonianza, segno di riconciliazione e sorgente di serenità e vitascacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano»)

La seconda è che non viene detto quali dovevano essere gli argomenti della predicazione.
Questo perché la predicazione principale, la prima e più importante non va fatta con le parole. Va fatta con la vita. Dev'essere tutta la nostra vita che parla di Dio. In ogni nostro gesto, in ogni nostra azione, ci dovrebbe essere il sapore, l'odore di Dio.
Solo così le nostre parole possono essere reale segno. Solo così possono essere concretezza e non 'aria fritta'.
Inoltre, non avendo la scaletta dei discorsi da tenere, siamo obbligati ad adeguare le nostre parole alla realtà che incontriamo. Siamo chiamati a chiedere l'aiuto dello Spirito Santo per leggere i "segni dei tempi", capire come meglio affrontare le varie situazioni. Si tratta ci capire quando è meglio spronare e quando è meglio consolare, quando è meglio ammonire e quando è meglio abbracciare. Non si possono usare le stesse parole e gli stessi gesti per ogni situazione e con ogni persona.


(Am 7,12-15; Sal 84; Ef 1,3-14; Mc 6,7-13)


01 luglio 2021

Dio con l'abito di tutti i giorni - 04/07/2021 - XIV Domenica tempo ordinario

 


«Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data?»
Sono queste le due domande che i concittadini di Gesù si fanno. Sono domande importanti, tutto il Vangelo di Marco ruota proprio attorno a queste domande e cerca di darne la risposta. Invece gli abitanti di Nazareth hanno fretta, vogliono chiudere subito la questione. Invece di aprirsi al futuro, all'azione dello Spirito, si rifugiano nel passato, in quello che credono di sapere. Liquidano il problema invece di cercare di risolverlo.

Conoscono, ma sarebbe più giusto dire che pensano di conoscere, Gesù: è uno di loro, uno con cui sono stati per trent'anni gomito a gomito. E non riescono ad andare al di là di questa etichetta. Non riescono perché non vogliono, perché bisogna fare lo sforzo di abbandonare le idee che non spiegano più la realtà attuale. "La radice dell'incredulità è proprio questa incapacità di accogliere la manifestazione di Dio nel quotidiano" (Rinaldo Fabris). Si fa fatica a riconoscere Dio quando indossa l'abito di tutti i giorni.
Gli andava bene un Gesù che faceva il falegname, che apparteneva ad una famiglia insignificante. Ma destava scandalo il fatto che Gesù non rientrasse nei loro schemi riguardo a Dio, non coincideva con quello che loro pensavano di Dio.

In fondo Dio ci fa sempre difficoltà.
C'è chi non crede perché non lo vede.
E c'è chi, come i compaesani di Gesù, non crede perché lo vede.
Ma vedono un Dio diverso da quello che loro immaginano. Non è il dio potente che stermina i nemici, il dio che vince tutto e tutti con la forza e la potenza.
È un Dio che è «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), che non è venuto a condannare ma a salvare, che vince amando, perdonando, donandosi a tutti, nessuno escluso. Vince facendosi mettere in croce!
Un Dio così è difficile, e ci sono tanti che preferiscono rinunciare a Dio piuttosto che all'immagine che si sono fabbricati di Dio.

E Gesù continua a non condannare. Però si meraviglia, si stupisce. Come intenerisce questo Dio che si meraviglia della nostra difficoltà a credere. C'è un grande cuore di madre dietro a questo.

Si sarà consolato con quei pochi malati che ha guarito. I più hanno cercato di spiegare, di capire. Pochi hanno aperto le loro piaghe all'amore. Sono andati al di là dei pregiudizi, dell'ostilità. Invece di fidarsi di ciò che sapevano si sono aperti alla novità di un Dio che cammina al tuo fianco, di un Dio che si sporca i piedi e le mani per esserti vicino, compagno di strada, compagno di vita.


(Ez 2,2-5; Sal 122; 2Cor 12,7-10; Mc 6,1-6)

immagini di don Giovanni Berti