26 gennaio 2023

Più della felicità! - 29/1/2023 - IV Domenica Tempo Ordinario

Le Beatitudini
(Dipinto - Centro Aletti)



Tutti gli esseri umani hanno sempre desiderato la felicità, tanto che nella costituzione degli Stati Uniti viene detto che tutti hanno diritto alla felicità. Istintivamente percepiamo che la felicità e più del semplice 'piacere'. Il piacere riguarda la sfera fisica, la felicità è qualcosa di più. Ma Gesù alza il tiro, ci dona una nuova dimensione: la beatitudine. Il piacere è animale, la felicità è umana, ma la beatitudine è divina!

Facendoci questo dono, Gesù ribalta completamente il nostro modo di vedere, di pensare, di sentire.
Noi non siamo molto distanti dalla mentalità ebraica che vedeva nella ricchezza, nel successo, un segno della benevolenza e del favore di Dio.
Ma Gesù proclama: "Tu che sei nato scalognato, tu che sei stato bastonato dalla vita e dagli uomini, tu che hai il viso solcato dalle lacrime, tu che sei stato condannato e gettato via anche se innocente, tu che hai perdonato chi non ha fatto altro che vomitarti addosso insulti e maledizioni, tu che sei stato sommerso di ironia e insulti perché 'sei dei miei', tu, si, proprio tu, sei beato!"
Il mondo ammira, invidia, ritiene 'beato' chi riesce a superare gli altri, ad avere più potere, più ricchezza, a prendere tanto dando il meno possibile. Gesù dice invece 'beati coloro che possono dare senza ricordare e prendere senza dimenticare'.

Gesù ci dice che la felicità è una bella cosa, ma c'è qualcosa che è ancora più grande: la beatitudine. Il vero metro dell'esame di coscienza non dovrebbe essere il decalogo, ma le Beatitudini. Perché le Beatitudini sono il modo con cui Dio ci vede. Riuscire a vivere le Beatitudini vuol dire riuscire a vedere gli uomini con gli occhi, con lo sguardo di Dio.
E siccome «Dio è amore» (1Gv 4, 8), vedere col suo sguardo vuol dire vedere col suo amore. Per essere beati dobbiamo vivere l'amore, ma non basta il nostro amore piccolo, ci vuole l'amore folle di Dio. L'amore che rovescia tutto, quello che prima ama e poi, proprio perché ama, rende amabile l'oggetto dell'amore.
Quello che dice all'amato "Mi piaci tu, proprio tu. Non per quello che sei, ma perché sei, perché esisti".
Quello che vede nell'altro anche ciò che egli ancora non vede, che sotto i segni delle sofferenze e degli affanni vede la luce di mille capacità e possibilità.

Un amore folle, esagerato, che ci mette anche un po' di paura. Troppe volte è la luce, non l'ombra, che ci fa paura quando siamo nel buio.
Dio vede tutta la bellezza che siamo. Se ci lasciamo amare da Lui, se non ascoltiamo le nostre tenebre, la nostra paura, allora Lui riuscirà a tirare fuori tutta la nostra bellezza.


(Sof 2,3; 3,12-13; Sal 145; 1Cor 1,26-31; Mt 5,1-12)



Vorrei salire molto in alto, Signore,
sopra la mia città, sopra il mondo, sopra il tempo.
Vorrei purificare il mio sguardo e avere i tuoi occhi.
Vedrei allora l'universo, l'umanità, la storia
come li vede il Padre.
Vedrei la bella, eterna idea d'amore del tuo Padre
che si realizza progressivamente:
tutto ricapitolare in te, le cose del cielo e della terra.
E vedrei che, oggi come ieri, i minimi particolari
vi partecipano,
ogni uomo al suo posto, ogni gruppo ed ogni oggetto.
Vedrei la minima particella di materia e il più piccolo
palpito di vita;
l'amore e l'odio, il peccato e la grazia.
Commosso, comprenderei che dinanzi a me
si svolge la grande avventura d'amore
iniziata all'alba del mondo.
Comprenderei che tutto è unito insieme,
che tutto non è che un minimo movimento
di tutta l'umanità e di tutto l'universo verso la Trinità
in te e per te, Signore.

Vorrei salire in alto
Michel Quoist


19 gennaio 2023

Fidarsi di Dio - 22/1/2023 - III Domenica Tempo Ordinario (o della Parola di Dio)

San Pietro lascia la barca e le reti per seguire Gesù
Cappella della Nunziatura Apostolica (Parigi)
(mosaico - Centro Aletti)



Con l'Incarnazione Dio ha deciso di non 'stare più al suo posto'. È sceso al livello dell'uomo per incontrarlo sul suo terreno, nel concreto della sua realtà quotidiana.
E con l'arresto del Battista, Gesù, lungi dal lasciarsi spaventare, inizia a mettersi in movimento. Vuole coinvolgere tutto e tutti. Passerà tra gli uomini per raggiungere tutti. Non si fermerà per non lasciarsi legare da nessuno, perché nessuno possa vantare alcuna priorità su di Lui.

Ma il suo passaggio non è mai neutrale, gli esseri umani sono sollecitati a fare una scelta: o il rifiuto o l'adesione. Dopo l'incontro col Cristo la tua vita, in un modo o in un altro, non sarà più la stessa.

Tipico esempio è la chiamata dei primi discepoli narrata nel Vangelo di oggi (spero che sia stata letta la versione lunga, le due parti si illuminano a vicenda: l'andare si concretizza nella chiamata). La prima cosa da notare è che questa chiamata non avviene in una cornice sacra, ma in una scena profana: il lago di Galilea, cioè quanto di più religiosamente lontano dal tempio.
Però è una chiamata sul solco delle grandi chiamate dell'Antico Testamento: Mosè chiamato mentre pascola il gregge del suocero, Gedeone mentre batte il grano sull'aia, Davide mentre pascola le pecore del padre. La chiamata avviene nel contesto delle occupazioni ordinarie. Dio ti viene incontro nel quotidiano, lungo le tue strade, nei luoghi che ti sono familiari.
E la chiamata si può riassumere in due verbi; «vide» e «disse». Le uniche 'armi' di Gesù sono lo sguardo e la voce.

Non è banale quel «vide». È uno sguardo che mette a fuoco la persona, la sceglie, le toglie dall'anonimato della folla e la pone al centro. È uno sguardo che è soprattutto carico di affetto, che esprime amore. È uno sguardo che diventa una proposta di relazione, di comunione.

Il «disse» sottolinea l'importanza della voce. Una voce dal timbro unico, pieno del calore del rispetto e dell'amore. Una voce che ti colpisce il cuore facendo tacere tutte le altre.

Il discepolo non deve fare altro che rispondere a quella voce, deve lasciarsi trovare, lasciarsi fare. L'iniziativa è sempre di Gesù.
La fede è sempre risposta all'iniziativa di Dio. Se 'mi decido' è perché sono stato toccato da Qualcuno che 'si è deciso' nei miei confronti. Non siamo noi che andiamo alla ricerca di Dio, è Dio che si mette alla ricerca dell'uomo ("Adamo, dove sei?" Gen. 3, 9). La vita cristiana non è una conquista, ma un 'essere conquistati'.

Un'ultima considerazione su quel "lasciare" dei discepoli. Discepolo non è chi abbandona o rinuncia a qualcosa, è chi ha trovato Qualcuno. Il distacco non è il fine, ma la condizione per lasciarsi riempire la vita. Si tratta di fidarsi di Gesù.
I discepoli non sono chiamati a sottoscrivere una lista di cose da credere. Sono chiamati a fidarsi di una persona, ad affidarsi totalmente a Lui, a stabilire una relazione personale con Cristo. Fede non significa "credere che...", ma affidarsi al "Signore tuo Dio", fidarsi di Lui fino in fondo.


(Is 8,23-9,3; Sal 26; 1Cor 1,10-13.17; Mt 4,12-23)


12 gennaio 2023

La mitezza è più forte della prepotenza - 15/1/2023 - II Domenica Tempo Ordinario

Agnello in trono
Cappella Eucaristica della chiesa di San Benedetto - Scorzè (TV)
(mosaico - Centro Aletti)



«Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!»
Al potere del peccato, Dio contrappone, non la forza, ma la debolezza e l'innocenza dell'agnello. Il male perde terreno a mano a mano che avanza l'agnello.
L'agnello è l'opposto della figura del conquistatore. Eppure Satana vede minacciato il suo dominio proprio dalla creatura più innocua, inerme, fragile, vulnerabile.

L'agnello non ha pretese, non sfodera aggressività, non mostra i denti, non impaurisce, non possiede mezzi per farsi rispettare, e la sua voce non ha la minima somiglianza col ruggito del leone. Eppure, alla fine, è lui che vince.
La mitezza, la mansuetudine dell'agnello mettono paura al lupo. Lo mettono in fuga.
Solo la mitezza riesce a prevalere sulla prepotenza.

San Giovanni Crisostomo scrisse: "Finché siamo agnelli, noi viviamo. Se diventiamo lupi veniamo vinti. Perché ci mancherebbe l'aiuto del Pastore, il quale pasce agnelli, non lupi"

Il male sembra invincibile. Eppure nella sua tronfia armatura c'è un punto debole. Il suo sguardo non riesce a sopportare quello dell'innocenza. La sua potenza terrificante non può nulla contro la forza disarmata dell'amore.
Nonostante le apparenze, e nonostante che, nella realtà immediata, l'agnello appaia come vittima sacrificale, predestinata ad essere sgozzata, alla fine, vedi il libro dell'Apocalisse, è lui che sarà trionfatore. Solo l'amore ha l'ultima parola!


(Sir 24,1-4.12-16; Sal 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18)


05 gennaio 2023

Dio scende in mezzo a noi per riaprire una strada verso di Lui - 8/1/2023 - Battesimo del Signore

Battesimo di Gesù
Chiesa Madonna Stella del Mattino della Libertà - Katowice (Polonia)
(mosaico - Centro Aletti)



Gesù è venuto nel mondo, e poi per trent'anni l'ha accolto così come l'aveva trovato. Non ha fatto niente di straordinario. Ha vissuto accontentandosi delle cose ordinarie, del quotidiano della povera gente che vive del proprio lavoro, delle gioie e delle preoccupazioni comuni a tutti gli esseri umani. "Gesù ha fatto per trent'anni una povera giornata, ma era certo che sarebbe venuto il giorno. E si è mantenuto libero per quel giorno" (d. Primo Mazzolari).
Eppure questi trent'anni sono ugualmente salvifici come i tre anni che iniziano col Vangelo di oggi.
Sono importanti perché ci dicono che il grosso della salvezza sta nel vivere il nostro tran-tran quotidiano. È proprio riuscendo a santificare il nostro quotidiano spicciolo (e farci santificare da esso), vivendo nel nascondimento della banalità giornaliera, che possiamo arrivare alla felicità piena della salvezza.

A trent'anni Gesù prende il mantello, calza i sandali, lascia la Galilea e si mette in fila con i peccatori. Vuole che fin dall'inizio sia chiaro che Lui il mondo lo vuole salvare dal basso, dalla parte dei falliti.
Fin dal primo momento vuole che sia chiaro che non è venuto per i puri, per i giusti, ma per chi si sente impuro, indegno, sbagliato.
I sacerdoti, i dottori della legge dicevano che solo se si è puri ci si può presentare davanti al Signore. Gesù invece dice se ti ritieni bisognoso di purificazione, se ti senti indegno, allora è Dio stesso che viene da te, che si mette a camminare al tuo fianco, che ti accompagna, che si fa purificare insieme a te.
Sono le nuove beatitudini:
Beato chi è scontento, non di ciò che ha o non ha, ma di ciò che è o non è.
Beato chi non perde tempo a criticare gli altri, ma è attento a criticare sé stesso.
Beato chi si mette in discussione.
Beato chi ammette di aver sbagliato.
Il poeta Paul Claudel diceva: "Il Signore ha preso l'abbonamento con le tue infermità per guarirle".
È Dio stesso in persona che scende tra di noi per riaprire una strada verso di Lui, per dirci: "Ecco, sono disposto a fare nuove tutte le storie, anche la tua. Se vuoi!".

Poi ci sarà la Voce dal cielo a confermare l'azione di Gesù. Ci sarà lo Spirito a scendere, come trent'anni prima sulla Vergine, perché capissimo che è una cosa seria, che l'amore è totalmente affidabile. La Voce e lo Spirito ci dicono che c'è un amore in circolo. Ci dicono che Dio ci ama alla follia, in modo come sempre esagerato: "In te ho posto il mio compiacimento". Che è come dire: "Mi piaci da morire" (e morirà realmente per noi!). A ogni uomo, risciacquato dalla vergogna di aver smarrito la strada, Dio ridona un anticipo di salvezza.

E nei deserti della vita, quando la disperazione di non sentirsi amati da nessuno, di non essere degni d'amore, starà per impossessarsi del nostro animo, quelle manciate d'acqua che abbiamo ricevuto nel battesimo ci sussurreranno all'orecchio e al cuore le parole che Dio ci ha detto quel giorno: "Sei mio. Mi appartieni, io ti appartengo. Mi piaci: sei il mio piacere più grande".


(Is 42,1-4.6-7; Sal 28; At 10,34-38; Mt 3,13-17)