28 luglio 2022

La solitudine della cose - 31/7/2022 - XVIII Domenica tempo ordinario

Il ricco stolto
(olio su tavola - Rembrandt)



Una cosa colpisce nel protagonista della parabola raccontata da Gesù: l'estrema solitudine.
È un individuo senza nome, senza volto, che non ha moglie, figli, fratelli, parenti, amici. Ha solo tante cose. E la sua unica attività è distruggere per poi ricostruire, per poi tornare a distruggere, e via di seguito. Tutta un'attività senza senso. Senza senso perché lui riduce il mondo a sé stesso. Il suo sguardo, la sua vista, non vanno oltre il suo ombelico.

Una volta, per dire che uno era ricco si diceva che 'ha molti mezzi'. Il ricco di questa parabola ha fatto dei mezzi, cioè delle ricchezze, il fine della propria vita, ciò a cui ha sacrificato tutto. Invece dovrebbero essere veicolo di comunicazione, di relazione con gli altri.
È per questo che Dio lo chiama «stolto».
Perché basa la propria sicurezza sull'avere e non sull'essere.
Perché crede che avere molti soldi, molte cose, significhi avere molta vita.
Perché si identifica con le cose e non le trasforma in sacramento di comunione con gli altri.
Perché è in adorazione del proprio 'io' e non si mette mai di fronte, e in relazione, ad un 'tu'.

Questo ricco non riuscirà mai a pregare la preghiera insegnata da Gesù nel Vangelo di domenica scorsa. Lui è capace di dire solo "mio". La parola "nostro" per lui non ha nessun senso.
Non ha capito che si è ricchi solo di ciò che si ha donato.
"Sono affamato di tutto il pane che ho mangiato da solo, povero di tutti i beni che tengo per me" (Gustave Thibon)

Un'ultima cosa.
So che non di può ragionare con gli "e se ...", però mi è venuto spontaneo, leggendo questa parabola, pensare al film 'La vita è meravigliosa'.
Cosa avrebbe fatto questo ricco se anche lui, come George Bailey (il protagonista del film) avesse perso tutte in una volta le sue ricchezze?
Lui che ha investito tutta la sua vita sulle cose, avrebbe finito di vivere.
George Bailey, che aveva investito tutta la sua vita sugli altri, invece si è ritrovato molto più ricco di prima, e non solo di beni materiali.


(Qo 1,2;2,21-23; Sal 89; Col 3,1-5.9-11; Lc 12,13-21)


21 luglio 2022

Essere svegliati dalla preghiera - 24/7/2022 - XVII Domenica tempo ordinario

La Gerusalemme celeste
Cappella collegio internazionale del Gesù - Roma
(mosaico - Centro Aletti)



Sul Padre Nostro ci sono già un mucchio di commenti migliori, e anche di molto, rispetto a quanto possa fare io, per cui vorrei soffermarmi sulla seconda parte del Vangelo di oggi.

Non so perché, ma questo tizio che va di notte a bussare all'amico mi ha ricordato quella frase dell'Apocalisse che dice «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.» (Ap. 3, 20) Tante volte Gesù si è descritto come uno che sta alla porta del nostro cuore a bussare e sperare che noi gli apriamo. A prendere un po' troppo alla lettera questa parabola, però, sembra invece che Dio sia colui che dorme, disinteressato a noi, e che con la preghiera ci tocca buttarlo giù dal letto. Ma questa immagine è l'opposto del Dio che ci ama e non ci abbandona mai, che ha a cuore la nostra vita, che tiene alla nostra felicità più che alla sua.

E allora forse lo scocciatore che viene a svegliare non sono io, ma è Lui. E il dormiente non è lui, ma sono io.
Troppo spesso ci affidiamo alla routine, alle abitudini, all'automatismo dei gesti. Ci lasciamo sfiorare dalle situazioni e dalle persone senza partecipare, senza neanche cercare di entrare in rapporto, in comunione.
Un antico inno liturgico diceva. «Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà» (Ef 5, 14).
Non è Dio che deve essere svegliato dalle nostre preghiere, ma siamo noi che dobbiamo pregare per essere svegliati, per essere illuminati da Cristo che viene a visitarci con «un sole che sorge» (Lc 1, 78). Come diceva lo scrittore C. S. Lewis, il creatore delle "Cronache di Narnia", di fronte alla malattia dell'amata moglie: "Non prego Dio per piegarlo alla mia volontà, ma perché Lui mi aiuti a capire e accettare la sua".
La preghiera ci sveglia, ci aiuta ad avere attenzione agli altri, ad essere presenti nella loro vita. La preghiera più forte che il Signore può sentire è il "Si". E il 'si' fondamentale per tutta l'umanità è quello detto da una fanciulla di Nazareth, che si è messa immediatamente in viaggio per essere vicina e aiutare chi aveva bisogno.

«chiedete e vi sarà dato»
Se siamo sinceri dobbiamo ammettere che questa frase ci sembra più uno slogan pubblicitario che una realtà. Però la certezza dell'esaudimento si colloca su di un altro piano. Con la preghiera sappiamo che Dio ci ha ascoltato, ha preso atto dei nostri desideri. E interviene sempre, anche se non sempre come e quando vorremmo noi.
Noi vorremmo che Lui facesse sparire gli ostacoli, i guai che ci assillano, i dispiaceri che ci fanno soffrire.
Ma Lui, il più delle volte, lascia le cose come sono (all'apparenza). Però Lui si mette in strada con noi, condividendo gli stessi ostacoli, gli stessi fastidi. Col suo silenzio ci dice: "vieni, dai, camminiamo insieme e vedrai ...".
Tutto è sempre lo stesso, sei tu che sei cambiato. E sei cambiato perché hai pregato. La tua forza non è più solo la tua. Non è cambiata la situazione, ma sei tu che hai ricevuto un supplemento di forza e di capacità.
Con la preghiera non ottieni delle cose, ma ottieni qualcosa di più prezioso: la compagnia del Signore.
"Nella preghiera non si ottiene uno sconto sul prezzo del biglietto. Si ottiene un Compagno di viaggio" (Alessandro Pronzato)


(Gen 18,20-32; Sal 137; Col 2,12-14; Lc 11,1-13)


14 luglio 2022

Armonizzare Marta e Maria - 17/7/2022 - XVI Domenica tempo ordinario

Gesù a Betania con Marta, Maria e Lazzaro
(icona - Bose)


Troppo spesso questo brano del Vangelo viene letto come contrapposizione tra vita contemplativa e vita attiva, quasi che Dio ne preferisca una (la contemplativa) e disprezzi l'altra (l'attiva). Ma in Dio non c'è nessuna contrapposizione, in Lui, principio di unità, c'è armonia. Ad esempio il salmo 85 (che viene recitato nelle lodi del martedì - III sett, T.O.) ci ricorda:
«Misericordia e verità s'incontreranno,
giustizia e pace si baceranno»

La differenza tra Marta e Maria non è qualcosa di esterno a noi, ma ci attraversa, è nel nostro intimo. E noi non siamo chiamati a scegliere l'una o l'altra, ma ad armonizzarle, a farle 'lavorare' insieme. Non in competizione ma in sinergia, in simbiosi.

Innanzi tutto c'è da notare che Gesù non riprende Marta per il servizio, ma per l'agitazione. Apprezza il suo buon cuore, ma contesta l'affanno.
Gesù ricorda a Marta, ma anche a tutti noi, che spesso c'è un troppo che ci disumanizza: troppo lavoro, troppo correre, troppe cose. Gesù ci ricorda che al primo posto dobbiamo mettere le persone, e poi le cose. Le cose, il lavoro, gli impegni, devono essere al servizio delle persone, e non viceversa! Dobbiamo imparare a distinguere l'utile dal necessario, il permanente dall'illusorio. Dobbiamo imparare a scegliere tra l'essenziale e il superfluo. Gesù ci dice che non dobbiamo affannarci per nient'altro che non sia la nostra essenza divina.

Ma Gesù vuole anche liberare Marta, e tutti noi, da tutti gli schemi sociali che ci richiudono in un ruolo, che ci fanno smarrire in una serie di 'compiti'. Gesù ci dice: "Tu sei di più, molto di più!. Tu non sei quello che fai. Tu hai la possibilità di avere con Me un rapporto che non sia uno scambio di servizi. Tu ed Io possiamo condividere sentimenti, gioie, dolori, sogni e speranze"

«Maria ha scelto la parte migliore» perché è partita dalla parte giusta. È partita dall'ascolto del cuore di Dio. Perché Dio cerca non dei servitori, ma degli amici. Non cerca delle persone che facciano 'cose' per Lui, ma delle persone che lo lascino fare 'grandi cose' per noi.
L'altra Maria, la madre di Gesù, esclama «Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente» (Lc 1, 49). Il cuore della fede non è quello che io faccio per Dio, ma scoprire quello che Lui fa per me. È Lui che salva!
Siamo chiamati a passare da un Dio sentito come affanno a un Dio vissuto come meraviglia. Da un Dio sentito come dovere, ad un Dio vissuto come desiderio, come l'amico del cuore.

Marta e Maria ci dicono che non dobbiamo fare 'cose' per Dio, basta invece che lasciamo entrare Gesù nella casa del nostro cuore, che lo lasciamo parlare, agire in noi. E dopo, anche le nostre mani riusciranno a fare 'grandi cose'


(Gn 18,1-10; Sal 14; Col 1,24-28; Lc 10,38-42)


07 luglio 2022

Mettere l'altro al centro del nostro cuore - 10/7/2022 - XV Domenica tempo ordinario

Il buon samaritano
Cappella del Santissimo nella cattedrale di Santa Maria La Real de La Almudena - Madrid (Spagna)
(mosaico - p. M. Rupnik s.j.)


Parabola conosciutissima quella di questa domenica. Vorrei però soffermarmi su tre punti.

Il primo è il 'vedere'.
Tutti e tre, il sacerdote, il levita e il samaritano, 'vedono' una persona ferita.
Però i primi due partono da sé stessi, dal loro punto di vista: se si fermano diventano impuri (il contatto col sangue rende impuri), rischiano di fare la stessa fine se i ladroni sono ancora lì vicino, perdono tempo per qualcuno che magari non è neanche ebreo. In fondo il loro problema, che è lo stesso del dottore della legge che interroga Gesù, è "Fin dove sono obbligato?"
Invece il samaritano si mette dal punto di vista dell'altro, si domanda: "Cosa si aspetta da me quel poveraccio?"
Se rimaniamo ancorati al nostro punto di vista ci creiamo della barriere di protezione. Se invece partiamo dal punto di vista dell'altro ci apriamo ad un orizzonte senza limiti.
Quella che propone Gesù è una vera e propria rivoluzione copernicana, ribalta totalmente la domanda del dottore della legge. Il problema non è come «ereditare la vita eterna», il problema primo e unico è quel grumo di ossa pestate, di carne sanguinante abbandonato al margine della strada. Se risolvi questo problema, allora risolvi anche l'altro.
È da questo che dobbiamo partire se non vogliamo trasformare l'amore, che è il fine della vita cristiana, in un mezzo, se non vogliamo strumentalizzare l'amore.

Il secondo è la 'compassione'.
Compassione è 'patire con', è provare dolore per il dolore dell'uomo, lasciarsi ferire dalle ferite dell'altro. Senza compassione non c'è umanità, senza compassione siamo peggio delle belve feroci. Però la compassione è anche il meno sentimentale dei sentimenti, il più concreto. Per essere vera richiede uno sforzo da parte nostra: lo sforzo di uscire da noi stessi e di mettere il nostro cuore e noi stessi a disposizione dell'altro. È dire: "prima di tutto vieni tu".
La compassione deve concretizzarsi in 'misericordia', metterci il cuore. Come il samaritano: curvarsi sulle ferite dell'altro e prendersene cura per cercare di guarirle.

Il terzo è l'invito di Gesù: «Va' e anche tu fa' così», Cioè anche tu diventa samaritano, fatti prossimo, usa misericordia. Perché il vero contrario dell'amore non è l'odio, ma l'indifferenza.
'Vai' perché l'amore è un viaggio verso l'altro. 'Fai' perché l'amore richiede tanta azione, non è un vago sentire, ma un concreto agire.
E tutto ciò per quel verbo della Legge: «Amerai». Verbo al futuro, perché amare è un'azione che non ha mai termine. E non all'imperativo, perché non è un obbligo, ma una necessità per vivere una vita felice.


(Dt 30,10-14; Sal 18; Col 1,15-20; Lc 10,25-37)