30 dicembre 2021

Bagliori nel buio - 2/1/2022 - II Domenica dopo Natale

Particolare del mosaico del Battistero, chiesa dei santi Agostino e Monica (Casciago, VA)
padre Marco Rupnik s.j.

 

L'inizio del Vangelo di Giovanni è una somma di teologia, filosofia e poesia tutte di altissimo livello. Penso che solamente un mistico riesca a coglierne fino in fondo la profondità e la bellezza.
Io riesco ad intravedere solamente alcuni bagliori, che voglio condividere.

Il brano inizia con le parole «In principio»
Sono le stesse parole con cui inizia la Genesi, il primo libro della Bibbia. Sembra quasi che l'evangelista ci voglia dire che l'Incarnazione sia una nuova creazione. Dio, che fa nuove tutte le cose, ci dona nuove possibilità.
Dio non accetta la distanza che abbiamo posto tra Lui e noi, non si dà pace per la nostra fuga. E per questo decide di venire in mezzo a noi come uno di noi. Lo fa per starci vicino, per aiutarci a rialzarci quando cadiamo, per consolarci e asciugare le nostre lacrime quando soffriamo. Lo fa per darci tutta la sua forza e tutto il suo amore per mezzo del suo Spirito.

Poi c'è il tema della «luce».
Luca ci presenta Gesù come «un sole che sorge» (Lc 1, 78). È un'immagine che mi piace molto. Ho sempre preferito l'alba al tramonto, e poi il sole che sorge scalda senza scottare, illumina senza accecare. È un sole che accarezza, non che 'picchia'.
Ma per quanto bella, all'immagine del sole preferisco quella della candela. Gli innamorati mangiano al lume di candela. Una candela riesce ad illuminare anche la notte più buia. Per secoli una candela accesa posta alla finestra è stata simbolo di accoglienza e di riparo. Penso alla poesia che dice: "magari fossi una candela in mezzo al buio" (Mahmoud Darwish, Pensa agli altri). Non possiamo neanche pensare di essere dei 'soli', ma possiamo cercare di essere una candela nel buio per gli altri, per coloro che ci sono vicini, per coloro che sono attorno a noi. Gesù viene in mezzo a noi come candela per fare di noi delle candele che illuminano le notti dei nostri fratelli.

Il prologo si conclude con la parole «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi».
Per millenni l'uomo ha pensato che per arrivare a Dio doveva guardare in alto, cercare di 'salire' fino a Lui.
Ma adesso Gesù si è fatto carne. Il corpo non è più la zavorra che ci impedisce salire fino a Lui. Non è più il muro tra noi e Lui. Non è più la prigione dell'anima. Con l'Incarnazione il corpo diventa il mezzo per arrivare a Dio, diventa la scala per il paradiso.
Il Verbo è venuto ad abitare in mezzo a noi, e per questo non dobbiamo più cercare Dio nei cieli. Per trovare Dio dobbiamo guardare a terra, dobbiamo chinarci sull'uomo, su tutti gli esseri umani, nessuno escluso.


(Sir 24,1-4.12-16; Sal 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18)


23 dicembre 2021

Una famiglia come tante - 26/12/2021 - Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

Icona della Sacra Famiglia - Vaticano (padre M. Rupnik s.j.)

 

Oggi è la festa della Sacra Famiglia.
Ma com'era in realtà la famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria?
Era una famiglia come tante, non era una famiglia super o da 'mulino bianco'.
Era anche una famiglia con i suoi problemi. Maria rimane incinta prima del matrimonio (ma allora era lecito, anche se non usuale, andare a vivere insieme già dal fidanzamento); il padre di Gesù non era Giuseppe (e ufficialmente la cosa rimane nascosta); sono molto poveri (l'offerta delle due tortore o piccioni era quella concessa ai poveri); poco dopo la nascita devono fuggire perché perseguitati dal potere politico e 'chiedono asilo' all'estero; a 12 anni il figlio li molla senza dire niente e poi li tratta anche un po' male (ma allora a 12 anni si diventava adulti).

Però in questa famiglia Gesù, per 30 dei suoi 33 anni, ha vissuto la sua vita salvifica. Per trent'anni questa famiglia è stata la culla nascosta della salvezza di tutta l'umanità, è stata la scuola in cui l'uomo Gesù ha imparato ad essere il Figlio di Dio.
Non è una famiglia modello, perfettina, ideale. Ma proprio per questo tutte le famiglie umane possono trovare in essa qualcosa.
L'accoglienza per l'altro. Accettare che i figli siano sé stessi (e non la proiezione dei nostri sogni o aspirazioni). Il cercare sempre il bene dell'altro e della famiglia, senza mai far mancare il proprio appoggio anche nei momenti bui e tristi.
Mettere sempre alla base del rapporto l'amore, il dono di sé.
L'importanza del perdonarsi, del condividere, dello stare insieme nella gioia come nel dolore.
La necessità di non rinchiudersi in sé stessi, ma di aprirsi agli altri e in particolar modo ai poveri e ai sofferenti

Prendere ad esempio la Sacra Famiglia significa capire che non è nelle cose eccezionali che conquistiamo la salvezza o la grandezza.
La salvezza e la grandezza le conquistiamo nel quotidiano, nelle piccole cose di ogni giorno. In quei piccoli gesti, magari nascosti a tutti come i primi anni di Gesù, ma che sono segno del nostro dono totale.


(1Sam 1,20-22.24-28; Sal 83; 1Gv 3,1-2.21-24; Lc 2,41-52)


16 dicembre 2021

La prima processione del Corpus Domini - 19/12/2021 - IV Domenica di Avvento

Visitazione - Santuario san Giovanni Paolo II - Washington D.C. (USA)
(mosaico- padre M. Rupnik s.j.)

 

Mi ha sempre colpito quella «fretta» con cui Maria va da Elisabetta. Non è la fretta di chi non vede l'ora di finire un compito per poter essere libero di fare altro. È invece la fretta che nasce dalla gioia di una buona notizia da condividere.
Lei, che ha risposto alla speranza di Dio, si fa subito risposta ai sogni dell'umanità. Maria, con il suo "si" ha riscattato i nostri infiniti 'no'. Per questo cammina in fretta. Il suo è il passo di chi annuncia la nascita di tempi nuovi.


Ma la Visitazione ci dice anche che fin da subito Maria sa che quel Figlio non le appartiene, che appartiene agli altri. Sa che è un dono di Dio per tutti gli uomini. Ed è per questo che, ancora prima di darlo alla luce, lei lo porta incontro all'umanità.
La Visitazione esprime la gioia del dono, della condivisione. La definizione classica di Maria come ostensorio è molto vera, ma non è un ostensorio chiuso in chiesa. È un ostensorio che cammina, che annulla le distanze, che va tra gli uomini non per farsi adorare, ma per farsi servo.

«beata colei che ha creduto»
Quando la Madonna giunge a destinazione, Elisabetta pronuncia la prima delle beatitudini del Vangelo. Cogliendo la vera grandezza di Maria, inventa la beatitudine più adatta alla sua ospite.
La Madonna ha creduto, si è affidata ad un Altro. Prima di portare il Figlio si è lasciata portare dallo Spirito Santo. Ha creduto non a una sfilza di verità, ma ad una Parola che l'ha messa in un cammino sconosciuto.

Maria ha creduto «all'adempimento di ciò che il Signore le ha detto»
Aver fede significa credere che il Signore mantiene la sua parola. L'unica sicurezza, l'unica garanzia, è data dalla certezza che Dio non ti delude quando ti arrendi totalmente a Lui. È soltanto la fede che può riportare Dio in un mondo che pare averlo dimenticato.




(Mi 5,1-4; Sal 79; Eb 10,5-10; Lc 1,39-45)


09 dicembre 2021

Andare incontro a Gesù rimanendo al proprio posto - 12/12/2021 - III Domenica di Avvento - Gaudete

 

Giovanni Battista - mosaico (padre Ivan Rupnik s.j.)

Nel Vangelo di oggi il Battista chiarisce quali sono le strade che domenica scorsa aveva detto di raddrizzare per preparare l'incontro col Signore che viene. E sono le strade della giustizia, della carità, del rispetto per gli altri. A ben guardare non sono delle novità, sono le strade indicate già da tutta le Bibbia e ribadiscono una verità fondamentale: la strada per arrivare a Dio passa obbligatoriamente attraverso il prossimo. Disprezzare, calpestare, umiliare gli esseri umani è disprezzare, calpestare, umiliare Dio.

Una cosa mi colpisce: Giovanni non invita a fare come ha fatto lui, non spinge a lasciare tutto e ad inoltrarsi nel deserto. Anzi, invita tutti a rimanere al proprio posto, a continuare a fare lo stesso mestiere che stanno facendo. Solo chiede che lo facciano in maniera diversa.
Si tratta di accogliere il Signore nella vita normale, quella di tutti i giorni. Alla stragrande maggioranza degli uomini, Dio non domanda gesti straordinari. Domanda la fedeltà nel quotidiano, nei piccoli gesti di ogni giorno.
Si tratta di andare incontro a Gesù che viene, rimanendo al proprio posto. Il cambiamento che va fatto non è nelle cose esteriori, quello che va cambiato è quello che sta dentro, il nostro cuore.

Ma questo cambiamento del cuore si deve vedere anche all'esterno. Continuare a fare lo stesso mestiere con la stessa mentalità del mondo, pensando solo alla ricchezza, al successo e alla carriera, non è convertirsi. È mettere la stoffa grezza sul vestito vecchio, il vino nuovo in orci vecchi (Mt 9,16-17; Mc 2,21-22; Lc 5, 36-37).
Non si tratta di cercare di mettere Dio nelle nostre azioni, ma di mettere le nostre azioni in Dio. Di avere l'umiltà di accostarci a Lui e domandargli «cosa dobbiamo fare?» E dopo ascoltarlo, cioè fare quello che dice.
«Non chiunque mi dice: "Signore, Signore", entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.» (Mt 7,21)


(Sof 3,14-18; Is 12; Fil 4,4-7; Lc 3,10-18)


02 dicembre 2021

Parafrasando il Vangelo - 5/12/2021 - II Domenica di Avvento

Giovanni il Battista - mosaico (padre Ivan Rupnik s.j.)

 

Per togliere i dubbi sulla storicità di quanto racconta, l'evangelista Luca ci dice tutta una serie di nomi che inquadrano tutto il potere politico, sociale e religioso nel territorio d'Israele in un preciso anno. Ma questo quadro così preciso rischia di allontanarci un po' dal Vangelo, di farcelo sentire come una cosa lontana che non ci riguarda se non marginalmente. Forse Luca, oltre al dato storico, vuol dirci anche qualcos'altro, qualcosa che ci riguarda personalmente.

Per cercare di 'capire' meglio, vorrei provare a parafrasare questo brano, a leggerlo un po' a modo mio, cercando non di far coincidere la storia di Gesù con la storia degli uomini, quanto invece di accordare la mia storia con quella di Gesù.

Il racconto potrebbe essere più o meno questo:
Quando la mia vita era sotto il segno dell'insignificanza, sotto il dominio del possesso, dell'apparenza, dell'avidità e dell'orgoglio; quando la mia religiosità era ridotta a pura pratica esteriore, in una rara pausa di silenzio, Dio si è fatto sentire, mi ha rivolto parole esigenti, quasi folli nelle loro pretese.
Ma queste parole non mi hanno spaventato, anzi, mi hanno toccato il cuore, mi hanno fatto scoprire il vuoto della mia vita, la mia fragilità, hanno fatto vacillare le mie sicurezze. E invece di andare a nascondermi in mezzo alla folla, mi sono avviato verso il deserto delle domande più difficili, dei cambiamenti più costosi, delle liberazioni più ardue.

Perché la conversione è questo: è cambiare la geografia interiore, è tracciare strade nuove e impensate, è scoprire zone prima sconosciute o evitate.
È far sì che la storia di Gesù diventi la mia storia, è scoprirsi suo "contemporaneo" e complice delle sue proposte. È accorgersi che Dio non lo si trova nella storia passata, ma nella novità inattesa.


(Bar 5,1-9; Sal 125; Fil 1,4-6.8-11; Lc 3,1-6)


25 novembre 2021

Il paradosso dell'Avvento - 28/11/2021 - I Domenica di Avvento

 

Angelo della Gloria di Dio (mosaico - p. I. Rupnik s.j.)
San Giovanni Rotondo

Tutti noi consideriamo l'Avvento come il tempo dell'attesa, ma forse dovremmo aprirci a cercare di viverlo anche come il tempo del 'desiderio': il Messia è venuto sulla terra dopo esserci fatto desiderare per secoli. Dal semplice prepararci alla venuta del Signore dovremmo passare al desiderare questa venuta.
Ma in questa attesa, in questo desiderio, c'è un paradosso: ci prepariamo ad accogliere "Colui che deve venire" ma che storicamente è già venuto secoli fa.
C'è un senso in questo apparente paradosso. È l'indicazione che dobbiamo ancora comprendere pienamente quanto accaduto, dobbiamo imparare a viverlo. Colui che è venuto secoli fa attende ancora di essere accolto da noi, aspetta che gli facciamo spazio nella nostra vita, ha sete della nostra attenzione.
Gesù è già nato, ma siamo noi che facciamo fatica ad aprirci a questa realtà. È il 'cristiano' che si fa aspettare, che fatica a venire alla luce. È il cristiano che è in me, che deve ancora nascere.

Ma l'Avvento non è un'attesa proiettata ad un futuro vicino, si apre anche al futuro ultimo, ha una prospettiva rivolta verso il giudizio universale. E come ci dice l'evangelista Luca nel Vangelo di oggi, questa attesa non deve essere all'insegna della paura, ma della speranza: «risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». Attendere il giudizio finale deve avere la stessa gioiosa speranza che ha l'attesa di Gesù Bambino!

Queste due figure, il Bambino a Betlemme e il Giudice del Giorno Ultimo sono la stessa Persona. È lo stesso Bambino di Betlemme che sarà il giudice della storia.
Ma soprattutto dobbiamo renderci conto che il giudizio finale avviene ogni giorno. Il giudizio è già oggi.
E il primo giudizio ci è dato anche dal bambino che è in noi, quello che crescendo abbiamo un po' tradito. Crescendo abbiamo tradito i nostri sogni da bambino, ci siamo piegati ad un mucchio di compromessi. Abbiamo sporcato e sprecato molte cose belle della nostra infanzia.
Il bambino ci rimprovera di averlo perso di vista, di essere andati non dove ci portava il cuore, ma dietro l'interesse spicciolo e la comodità.
Il bambino che è in noi, in fondo, ci rimprovera di non esserci fidati fino in fondo del Bambino di Betlemme.


(Ger 33,14-16; Sal 24; 1Ts 3,12-4,2; Lc 21,25-28.34-36)


18 novembre 2021

Il mio Regno non è di questo mondo - 21/11/2021 - Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo (XXXIV Domenica tempo ordinario)

 

Cristo Pantocrator (mosaico - p. I. Rupnik s.j.)
Santuario Cristo Re, Zouq, Zouk Mosbeh, Libano

«Il mio regno non è di questo mondo»

È vero!
Non è di questo mondo un regno che si basa sull'amore e non sulla forza, sulla debolezza e non sulla potenza.
Non è di questo mondo un regno dove vengono capovolti tutti i nostri criteri di grandezza.
Non è di questo mondo un regno basato sulla piccolezza, che cresce in maniera nascosta, i cui successi sono misurati da quanto hai piegato la schiena per servire.
Non è di questo mondo un regno il cui re si fa incoronare vestito solo dei nostri sputi, che invece di essere osannato prende frustate e schiaffi, che invece di schiacciare chi lo uccide lo perdona.
Non è di questo mondo un regno in cui gli ultimi saranno i primi, i cui sono beati i poveri, gli affamati, i miti, i perseguitati.
Non è di questo mondo un regno in cui i peccatori e le prostitute avranno la precedenza.

Molto strano anche questo re. Lui non se ne sta nella sua reggia ad esigere il nostro rispetto, la nostra adorazione, il nostro timore, il rispetto dell'etichetta e della distanza.
Gesù ci mostra un re diverso, perché diverso è il Dio che Lui ci rivela. Gesù ci testimonia un Dio che sta in mezzo a noi, che cammina con noi, che possiamo confondere con un uomo o una donna qualsiasi, che possiamo scambiare con chiunque altro.
Un Dio che entra in casa di Zaccheo, che si schiera dalla parte di un'adultera, che gradisce il profumo offertogli da una prostituta, che organizza una festa per un mascalzone che ha dilapidato i soldi del padre.

Ed entrare in questo regno non è questione di merito o fedeltà a dei riti, è questione di amore, è questione di ascolto e di verità:
«Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».


(Dn 7,13-14; Sal 92; Ap 1,5-8; Gv 18,33-37)


11 novembre 2021

Vivere l'attesa - 14/11/2021 - XXXIII Domenica tempo ordinario

 

La Gerusalemme celeste (mosaico - p. I. Rupnik s.j.)

Brano difficile quello di oggi, anche perché usa due linguaggi, quello escatologico e quello apocalittico, che ci sono estranei.
Ma il messaggio centrale di Marco va oltre a queste visioni. L'insistente esortazione alla vigilanza, cioè ad un impegno nella storia, dà l'impressione che l'evangelista ci parli del futuro per ricondurci all'oggi, che cerchi di concentrare la nostra attenzione al presente.

Il nucleo centrale su cui ruota il discorso di Gesù è la venuta del Figlio dell'uomo. Ma tutta l'attenzione è rivolta alla comunione definitiva degli eletti con il Signore. Tutta la luce è concentrata sulla 'grande famiglia di Dio'.
Nel momento in cui il Figlio dell'uomo sta per essere catturato, viene sottolineato il suo trionfo. È il ribaltamento totale delle parti.
Ma il cardine su cui ruota questo rovesciamento è la Croce. La strada che ha portato Gesù alla croce è quella dell'amore, e Lui continuerà a parcorrerla anche quando sarà trionfante. Se una volta assiso sul trono iniziasse la via della potenza darebbe ragione a chi dice che l'amore è inutile, che solo la potenza è efficace.
Invece "il trionfo del Crocifisso dimostra che solo l'amore è potente, vittorioso" (Bruno Maggioni).

Se il cuore del discorso è la venuta, Gesù ci ricorda che il problema non è il 'quando' avverrà, ma il farsi trovare pronti. Più che preoccuparci del 'come' Lui tornerà, dovremmo pensare a come vivere l'attesa. Ci sono numerosi segni, ma sono un po' vaghi, imprecisati, e possono essere confusi nelle varie vicende storiche. Noi siamo chiamati a coglierli, ad interpretarli alla luce di Gesù e del suo Vangelo.
Ma anche gli stessi fenomeni naturali ci possono insegnare qualcosa. Per il credente tutto può essere segno, annuncio, orma di Colui che è alle porte.
Il credente sa che ogni istante è il 'tempo favorevole', il tempo in cui deve prendere una decisione, dare una risposta. È nel presente che anticipiamo il nostro futuro.


(Dn 12,1-3; Sal 15; Eb 10,11-14.18; Mc 13,24-32)


04 novembre 2021

A scuola da una povera vedova - 7/11/2021 - XXXII Domenica tempo ordinario

Obolo della vedova - Sant'Apollinare nuovo (Ravenna)
 

La scena di questo brano del Vangelo avviene alla sera di un giorno che per Gesù è stato abbastanza pesante, pieno di dibattiti e dispute teologiche (le obiezioni sulla sua autorità, i tranelli dei farisei sui tributi a Cesare, le discussioni con i sadducei sulla resurrezione, e infine il dialogo con lo scriba sul comandamento più grande).

Una prima cosa mi colpisce: con gli uomini, grandi discussioni teologiche alla ricerca di una verità astratta, con questa donna nessuna parola, solo un piccolo gesto concreto. Ma un gesto che vale più di mille discorsi.
Mi viene in mente quel fico che non dava frutti. Gesù per tutto il giorno ha zappato, concimato il terreno attorno al fico. Alla sera si siede all'ombra del fico, ma il frutto viene da un'altra parte. Non dai dotti maschi, non dai sacerdoti né dai farisei, ma da una semplice donna, un'umile vedova indigente.

È significativo che con questo episodio termina l'insegnamento di Gesù al tempio. "Il luogo di incontro con Dio non passa attraverso il potere cultuale o istituzionale, ma attraverso il cuore povero, cioè totalmente aperto e disponibile a Dio" (Rinaldo Fabris).

Tanti hanno "gettato molto", ma la povera vedova ha dato "più di tutti". Gesù non guarda la quantità, guarda il valore. Chi ha dato molto in realtà ha dato ciò che per lui era in avanzo, ciò che aveva in abbondanza. Lei ha dato ciò che le mancava.
A dare ciò che si ha in più sono capaci tutti. Dare ciò che si ha in meno, ciò che non si ha, è una delle caratteristiche di quei «piccoli» che Gesù predilige.

Dopo una giornata di controversie teologiche, Gesù non conclude con una dichiarazione dottrinale. Lui lascia la parola ad una vedova. E lei si spiega con un gesto. Con tanti dotti lì attorno Gesù ci mette a lezione da questa povera analfabeta.
Sta a noi imparare la lezione.


(1Re 17,10-16; Sal 145; Eb 9,24-28; Mc 12,38-44)


28 ottobre 2021

Il primo comandamento sono due - 31/10/2021 - XXXI Domenica tempo ordinario

La colomba dello Spirito Santo (particolare mosaico di p. Rupnik s.j.)

Lo scriba chiede qual è il primo comandamento e Gesù gliene cita anche un secondo, che però collega direttamente al primo. In questo modo vuole indicare che formano un tutt'uno, che sono sullo stesso piano. Il primo di tutti i comandamenti, che è dato dall'unione di questi due, quindi è il comandamento dell'amore. Amore verso Dio, verso gli altri e verso sé stessi.

Bisogna fare attenzione alla prima citazione di Gesù, che è tratta dall'ultimo discorso di Mosè fatto quando ormai il viaggio nel deserto dopo la fuga dall'Egitto sta finendo (Dt 6,4). Tutto dipende da Dio, tutto viene da Lui, ma non è un Dio che pretende e impone, bensì un Dio che chiede solo amore e che, proprio per renderci capaci di amore, ci libera e non cessa mai di amarci. Un Dio che sogna di essere amato in tutte le circostanze della nostra esistenza, con la stessa fedeltà e intensità con cui Lui ci ama. Ad un amore totale, pieno, completo non si può rispondere che con un amore totale, pieno e completo.

Un amore completo chiede anche l'amore verso sé stessi. Cosa che è molto diversa dall'essere egoisti. Un sano amore verso sé stessi è alla base del vero amore verso gli altri. Riuscire ad accettare sé stessi è il primo passo per riuscire ad amare e ad accettare gli altri.

Ma per poter vivere questo comandamento in modo profondo e liberante si presuppone un fatto senza il quale sarebbe incomprensibile e impossibile: l'amore di Dio verso di noi. È questo il fatto che deve stare alla base del nostro amore, che deve esserne il fondamento.
L'amore umano nasce dall'amore di Dio, è libera ed ardente risposta all'amore divino. Riusciamo ad amare realmente solo scoprendoci amati; e amati fino in fondo, senza nessun limite.


(Dt 6,2-6; Sal 17; Eb 7,23-28; Mc 12,28-34)


21 ottobre 2021

Gettare il mantello delle abitudini - 24/10/2021 - XXX Domenica tempo ordinario

 

Questo brano del Vangelo mi ricorda certi affreschi che ti colpiscono subito per la loro bellezza, ma in cui poi, guardandoli con attenzione, scopri tanti piccoli particolari apparentemente trascurabili, ma che invece ne arricchiscono la bellezza ed il significato.

Uno di questi particolari è il mantello gettato via. Viene in mente il paragone col ricco di due domeniche fa. Per il mendicante Bartimèo era molto probabilmente l'unica cosa posseduta. Ma quando Gesù lo chiama, lui lo getta via. Il ricco non lascia niente, il povero getta tutto ciò che ha.
Ma quel mantello rappresenta anche lo spazio in cui l'hanno sistemato, relegato: tu sei cieco e allora stattene lì, ma non intralciare troppo, occupa solo lo spazio di un mantello. Che assolutamente non ti venga in mente di 'allargarti' e intralciare i nostri affari, i nostri passi.
Ma Gesù lo chiama, e allora balza in piedi e irrompe al centro della strada. Rompe lo sbarramento della folla, i cordoni delle abitudini, rifiuta la parte impostagli. Tutto per aprirsi un varco verso Gesù. La Grazia è anche questo: uscire dai nostri piccoli orizzonti per spingersi verso il centro, verso la verità di noi stessi, verso colui che ti chiama.

Un altro particolare sono le grida. Bartimèo, all'arrivo di Gesù, ha ritrovato la voce, ha imparato a gridare.
Quando un bambino nasce, annuncia il suo arrivo mettendosi ad urlare. Gesù a Nicodemo aveva detto che per vedere il regno di Dio bisognava «nascere dall'alto» (Gv. 3, 1-3). E Bartimèo è la realizzazione di questa 'nascita dall'alto'. La rinascita di Bartimèo è iniziata quando ha iniziato a gridare, quando ha riconosciuto il Messia e ha ammesso la sua 'piccolezza', il suo bisogno della misericordia di Dio.

E Gesù ama le persone come Bartimèo. Alla folla che lo seguiva non dice nient'altro che una parola: «chiamatelo». Ma a Bartimèo domanda che cosa può fare per lui. Di fronte ai piccoli, ai bisognosi, realmente Dio si fa servitore. E lo fa fino in fondo.


(Ger 31,7-9; Sal 125; Eb 5,1-6; Mc 10,46-52)


14 ottobre 2021

Il più delle volte in realtà non sappiamo quello che realmente stiamo chiedendo - 17/10/2021 - XXIX Domenica tempo ordinario

 

Andrea Mantegna - La Crocifissione

«Voi non sapete quello che chiedete»
Giacomo e Giovanni, insieme a Pietro, sono i discepoli più vicini a Gesù, sempre presenti nei momenti più importanti. Eppure anche loro 'non sanno cosa stanno domandando'.
Teniamolo presente nella nostra preghiera: il più delle volte la nostra preghiera è proprio un cercare di piegare Dio ai nostri desideri, alla nostra volontà. Ci risulta molto difficile fare nostre le parole che l'autore delle Cronache di Narnia, lo scrittore C.S. Lewis, disse di fronte alla malattia dell'amata moglie: "non prego per piegare Dio alla mia volontà, ma prego perché mi aiuti ad accettare la Sua volontà".
Dobbiamo ricordarci che praticamente sempre, nella nostra preghiera, non sappiamo quello che stiamo chiedendo. Dobbiamo imparare a fidarci di Dio, ad essere certi del suo amore.

«Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti»
Gesù espone il progetto della comunità cristiana. Di fronte allo spettacolo di chi dà la scalata al potere, al successo, i discepoli devono capire che loro hanno l'obbligo di fare proprio l'opposto. Quel presente «non è così» non è un augurio o un comando. È la costituzione stessa della comunità cristiana: ciascuno è il servitore di tutti!

Ancora alcune considerazioni:

- Con la sua Passione e morte, Gesù conquista l'ultimo posto, cioè raggiunge la massima grandezza nel servizio, e ne fa dono alla sua Chiesa. Perciò da questo momento il fondamento della Chiesa non può che essere un'immagine capovolta del potere. Ma non deve essere sentito come comando, bensì vissuto come dono.

- Gesù presenta una 'comunità senza potere', non una 'comunità senza autorità'. Solo che la caratteristica dell'autorità non è la possibilità del comando, ma la realtà del servizio.

- È importante notare che gli annunci della Passione finiscano col verbo 'servire'. Questo ci dice che "la strada della croce non è soffrire, ma è prima di tutto servire" (Jean Delorme)


(Is 53,10-11; Sal 32; Eb 4,14-16; Mc 10,35-45)


07 ottobre 2021

Siamo tutti dei salvati - 10/10/2021 - XXVIII Domenica tempo ordinario

 

Icona del 'giovane ricco'

Due cose mi colpiscono in questo brano.

La prima è la differenza tra la domanda di questo tale e quella dei discepoli: «che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?» dice lui, e «chi può essere salvato?» dicono loro.
Per questo tale il paradiso è un diritto che si acquisisce se si fa qualcosa. Col Signore si instaura un rapporto commerciale, un dare-avere per cui alla fine Lui è obbligato a darmi il paradiso. È il tentativo di diventare 'padroni' di Dio, di far si che lui si pieghi alla nostra volontà.
Invece i discepoli hanno capito che non siamo noi che 'ci salviamo', ma siamo tutti, ma proprio tutti, dei salvati. Non è la nostra più o meno grande bontà o onestà che ci salva, ma solo l'immenso amore di Dio è causa della nostra salvezza.
La salvezza non è la ricompensa che Dio ci elargisce alla fine della nostra vita, ma il dono che fa gratuitamente ogni giorno a tutti.

La seconda cosa è la frase di Gesù: «va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, [...] e vieni! Seguimi!»
Troppe volte interpretiamo 'quello che hai' con i soldi, la ricchezza materiale. In fondo rinunciare a un po' di soldi è abbastanza indolore. Forse affrontare il cammino della vita con qualche peso in meno potrebbe anche essere più facile.
Ma il Signore chiede qualcosa di più, e risulta chiaro dalla risposta che da a Pietro. Non si tratta di continuare sulla stessa strada con un bagaglio più o meno differente. Si tratta di cambiare strada. Si tratta di lasciare anche tante nostre idee su cosa sia importante e cosa lo sia di meno, sul fatto che la sicurezza non viene dai beni che possediamo, ma da ciò che non abbiamo perché lo abbiamo donato. E Dio ci assicura che la ricompensa non dobbiamo aspettarla un domani, ma l'abbiamo già oggi. Dio non firma dei pagherò, lui paga in contanti e pronta cassa.

Ma la cosa più difficile a cui dobbiamo rinunciare è, spesso, la nostra idea di Dio. Un Dio monarca che sta a misurare col bilancino le nostre azioni è molto più rassicurante di un Dio che cammina per la strada in mezzo a noi e vede i nostri cuori, conosce le nostre intenzioni. Col primo è facile sentirsi a posto: basta che io faccia un tot di buone azioni e Lui 'deve' ricompensarmi. Col secondo, con la sua unica richiesta 'ama!', non si è mai sicuri di aver fatto abbastanza. Si dipende in tutto e per tutto dal suo amore, si tratta solo di avere fiducia in Lui.

Gesù, in fondo, a questo tale, a cui non sapendo il nome possiamo tranquillamente dargli il nostro, chiede di passare dal professare una religione al vivere una fede.


(Sap 7,7-11; Sal 89; Eb 4,12-13; Mc 10,17-30)


30 settembre 2021

Anche Dio sogna - 03/10/2021 - XXVII Domenica tempo ordinario

Le nozze di Cana (M. I. Rupnik s.j.)

 

A ben guardare, quando Gesù dice «Per la durezza del vostro cuore [Mosè] scrisse per voi questa norma» fa un'affermazione enorme: non tutta la legge, che noi diciamo di Dio, ha origine divina. La Bibbia non è un idolo intoccabile, richiede intelligenza e un cuore gonfio d'amore. C'è qualcosa che vale più della legge scritta. "Mettere la legge prima della persona è l'essenza della bestemmia" scrisse Simone Weil, ma lo stesso Gesù ci ricorda spesso che la legge deve servire la vita dell'uomo e non viceversa, che la Legge a cui tutte le norme devono adeguarsi è quella dell'amore.

Gesù vuole sempre riportarci a quello che è il sogno originario di Dio. Questa volta ci porta dentro il sogno di Dio quando ha creato l'uomo e la donna. Perché Dio non legifera, ma crea la vita. E il sogno di Dio è che nessuno sia solo, senza sicurezza. Nel sogno di Dio l'uomo e la donna non firmano un contratto più o meno vincolante, ma vivono quell'amore che trasforma sesso ed eros in una comunione perfetta, in un segno vivo dell'amore divino.

Gesù non restringe lo sguardo sul dettato della legge, ma apre il suo e il nostro sguardo alle possibilità dell'uomo. Ritornare alla volontà originaria del Padre nonostante la nostra fragilità e le nostre debolezze significa ritrovare in Lui quella forza che non riusciamo a ricavare da noi stessi.
Gesù non ci chiede di prolungare un rapporto puramente esteriore, di vivere una fedeltà "come una corda al collo" priva di gioia.
Lui ci invita ad una fedeltà creativa, non ripetitiva. Una fedeltà sulla linea dell'amore, non della legge. Ci chiede di vivere un'alleanza, non un contratto. Una fedeltà che progetti il futuro, non che prolunghi il passato. Non si tratta di 'continuare', ma di ricominciare ogni giorno.
Fedeltà non è puntellare un edificio traballante, ma rifarlo ogni giorno sempre nuovo e sempre più bello.

E quando, nonostante tutto, il legame si attenua e si logora, quando l'abitudine prende il sopravvento, quando i difetti iniziano a pesare un po' più dei pregi, cosa fare?
Anche Dio ha conosciuto tantissime difficoltà nel suo rapporto con l'essere umano. Ci sono stati anche grossi 'incidenti'. Anche Dio si è stancato ed è arrivato al punto di non poterne più, di dire "basta!"
E a quel punto è sceso a cercare l'uomo. Quando la distanza tra Lui e l'uomo è diventata incolmabile, Lui ha deciso di abolirla. Con l'Incarnazione Dio non è venuto a darci in mano l'atto di ripudio. Ci ha dato, invece, la 'gioiosa notizia' del suo amore inguaribile per tutti noi.


(Gen 2,18-24; Sal 127; Eb 2,9-11; Mc 10,2-16)


23 settembre 2021

Il cuore di Dio non esclude nessuno - 26/09/2021 - XXVI Domenica tempo ordinario

 

Rembrandt - Il ritorno del figlio prodigo (part)


«Chi non è contro di noi è per noi». C'è un'apparente contraddizione tra questa frase e quella riportata da Matteo: «Chi non è con me è contro di me» (Mt 12, 30). I contesti in cui sono state dette queste frasi sono molto differenti.
Mentre in Matteo erano degli ebrei che criticavano Gesù, qui ci troviamo di fronte ad una persona estranea alla comunità dei fedeli che sta facendo del bene 'usando' il nome di Gesù.

Mi è capitato spesso di sentire criticare iniziative caritative per il solo fatto di essere portate avanti da non cattolici o non credenti. Gesù invece ci ricorda che i credenti non hanno l'esclusività del bene o dell'amore. Ci ricorda che Dio è amore e che non c'è gesto d'amore che non nasca da Lui e non rimanga in Lui. E questo anche se chi lo compie non conosce Dio.
Il cuore di Dio è più grande delle nostre divisioni, il suo abbraccio stringe, scalda e consola tutti gli esseri viventi. Lui, al contrario di noi, non esclude nessuno.

Ma come i credenti non hanno l'esclusiva del bene, così i non credenti non hanno quella del male.
Quanti 'piccoli' sono stati allontanati dalle nostre incoerenze, dal nostro egoismo, dal nostro sentirci 'migliori'! Quante volte invece di cercare di diventare sempre più a immagine e somiglianza di Dio, abbiamo presentato al mondo una caricatura di Dio fatta a nostra immagine e somiglianza!
È questo uno dei tanti nostri scandali, forse il più grande perché nessuno di noi può sentirsene escluso.

Ma anche in tutto questo la misericordia di Dio ci è vicinissima. E la distanza ce la indica Gesù: «un bicchiere d'acqua». Possiamo mettere tutto il Vangelo in un semplice bicchiere d'acqua donato. Di fronte al dilagare del male che ci circonda e ci penetra basta un poverissimo bicchiere d'acqua. Se poi viene accompagnato da un sorriso e dalla fiducia allora è veramente uno squarcio del Regno di Dio qui tra di noi.


(Num 11,25-29; Sal 18; Giac 5,1-6; Mc 9,38-43.45.47-48)


16 settembre 2021

Chi è il più grande? - 19/09/2021 - XXV Domenica tempo ordinario


 

Gesù nel Vangelo di domenica scorsa invitava ognuno a prendere la sua croce. Adesso aggiunge che alla croce è annessa anche la sua scala di valori e che questa comporta un capovolgimento radicale delle posizioni e della precedenze stabilite 'dal mondo'.
E questo capovolgimento è indicato dalla netta antitesi usata da Gesù: primo-ultimo. L'esempio più immediato gli apostoli ce l'hanno davanti agli occhi, è Gesù. Lui, il primo, è proprio anche il primo a farsi ultimo e servo.

Qui Marco è differente da Matteo, il quale dava l'esempio del bambino come necessità di farsi piccoli. Invece Marco insiste sull'accoglienza da dare al bambino. Dobbiamo rifarci alla mentalità ebraica, per cui è vero che i figli erano considerati un dono di Dio, ma poi non avevano nessun diritto, e venivano considerati più per il loro numero che per la loro persona.
Quindi Gesù, col bambino, indica tutte le realtà insignificanti agli occhi degli uomini, tutto ciò che non ha importanza, che non conta, che non è degno di attenzione, che si trova in condizione di inferiorità. Gesù si identifica con chi è irrilevante, debole, indifeso, bisognoso di assistenza, di tutto.

Ma che rapporto c'è tra l'accoglienza del bambino e il la discussione degli apostoli su chi avesse la precedenza, su chi fosse più grande? Come tante volte, Gesù non dà una risposta diretta, ma sposta il problema su di un altro piano. Parla delle precedenze capovolgendo i termini del problema.
La precedenza, il primo posto non riguarda la propria persona, riguarda gli altri. Si tratta di avere chiarezza non su quale sia il mio valore e il mio posto, ma su chi deve avere il primo posto nella mia attenzione. Siamo chiamati ad onorare ed amare i grandi secondo Dio, cioè coloro che sono piccoli, ultimi, e nei quali Lui si identifica.

Siamo chiamati a farci avanti, ma non per prendere i primi posti e gli onori più alti, ma per accogliere coloro di cui nessuno si interessa, coloro che il mondo rifiuta, calpesta, respinge.
È solo accogliendo queste persone che possiamo realmente accogliere Gesù, e accogliendo Gesù accogliamo anche il Padre che ce lo ha donato.


(Sap 2,12.17-20; Sal 53; Giac 3,16-4,3; Mc 9,30-37)


09 settembre 2021

Partire da una domanda - 12/09/2021 - XXIV Domenica tempo ordinario

 


Questo brano, che si colloca a metà del Vangelo di Marco, ne rappresenta il punto di svolta, il cardine attorno a cui ruota tutto questo Vangelo.
Nei capitoli precedenti risuona spesso la domanda "Chi è costui?" a cui vengono date varie risposte, che però non riescono mai ad arrivare alla piena comprensione della persona di Gesù. A questo punto, dopo tanta catechesi, Pietro dà la risposta giusta.

Pietro pensava, con questa risposta, di essere arrivato al traguardo. Non si rendeva conto che invece quella domanda è un punto di partenza.

Dopo tanto stare insieme a Gesù, arriva il momento in cui Lui ti domanda "chi sono io per te?". E a questa domanda non possiamo rispondere con le parole dotte dei teologi o con le belle espressioni dei poeti, e neanche con le frasi fatte. Siamo costretti a rispondere in maniera personale, trovare la risposta mettendo insieme gli scampoli della nostra vita, i nostri balbettii, i nostri gesti goffi e sgraziati.
E ci rendiamo conto che da questo momento inizia la parte più impegnativa della nostra amicizia con Gesù.

Anche nel Vangelo di Marco da questo brano in poi, i miracoli diventeranno sempre più rari, le folle si assottiglieranno e i nemici si faranno sempre più agguerriti e decisi.

Sapere chi è Gesù significa accettare una svolta nella propria vita, accettare di incamminarsi insieme a Lui lungo una strada su cui si allunga l'ombra di una croce.
E allora ci rendiamo conto che con quella domanda Gesù non vuole sapere come la pensiamo, ma vuole farci prendere coscienza se siamo disposti ad accompagnarlo fino in fondo.

È per questo che c'è l'ordine del silenzio. Le parole ricominceranno a partire dal Calvario e dalla luce della mattina di Pasqua. È solo a quella luce che possiamo attraversare l'ombra delle nostre croci quotidiane.


(Is 50,5-9; Sal 114; Giac 2,14-18; Mc 8,27-35)


02 settembre 2021

Aprirsi alla gioia dell'amore di Dio - 05/09/2021 - XXIII Domenica tempo ordinario

 


Si direbbe che a Gesù piaccia molto passare per i territori pagani, infatti fa un giro strano, come se per andare da Trieste a Roma passasse da Torino!
Non è che non avendo il navigatore satellitare ha sbagliato strada. Il Vangelo non dice il motivo di questo strano giro, però penso sia perché voleva che il suo messaggio di salvezza arrivasse veramente a tutti, anche a quelli che per i Giudei erano gli esclusi. Gesù si dimostra veramente disposto a percorrere tutte le strade per arrivare al nostro cuore.

Come tante altre volte l'incontro con Gesù avviene per il tramite di altre persone (penso al malato calato da un buco fatto nel tetto, o a Giovanni Battista che lo indica ai primi discepoli i quali a loro volta porteranno altri apostoli, solo per fare due esempi). Ma anche noi siamo arrivati a Lui tramite tante persone che ce l'hanno fatto conoscere, e un po' alla volta ci hanno fatto progredire nella nostra amicizia con Gesù.

Queste persone portano il sordomuto davanti a Gesù. Ma il vero incontro, per lui come per ognuno di noi, avviene nell'intimità di un rapporto personale. Difatti Gesù lo porta «in disparte, lontano dalla folla».
I miracoli di Gesù non vogliono mai essere gesti spettacolari fatti per impressionare. Non cerca applausi e facili consensi. La guarigione del corpo è sempre per guarire uno spirito, per ridare dignità, forza, speranza, gioia, ad una o più persone.

Il miracolo avviene con un segno che da allora viene ripetuto in ogni Battesimo: il rito dell'Effatà.
Qui ha un significato molto profondo. Alla saliva, allora, si attribuivano proprietà terapeutiche. Il guardare verso il cielo indica un atteggiamento di preghiera e di apertura a Dio. Questo ci dice che non siamo solamente in un campo medico, siamo ad un livello spirituale.
E l'esclamazione «Apriti!» viene rivolta a tutta la persona. Per la cultura del tempo quando un organo era malato, era tutta la persona che era malata, e tutta la persona necessitava di guarigione. Gesù vuole che non solo la lingua e le orecchie si aprano, ma che tutta la persona si apra alla gioia dell'amore di Dio.
Ma considerando che il miracolo avviene in territorio pagano, allo stesso tempo possiamo pensare che questa formula esprima il desiderio di Gesù che anche i pagani si aprano all'annuncio della Buona Novella, della Notizia che dona Gioia.

La folla, che avrebbe dovuto essere in disparte, però vede il miracolo
«Ha fatto bene ogni cosa» riecheggia la creazione quando Dio «vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona/bella» (Gen 1, 31). Gesù lottando contro la sofferenza non solo riporta la creazione allo splendore originale, ma inaugura una nuova creazione.
«Fa udire i sordi e fa parlare i muti!» riporta quasi alla lettera il brano di Isaia con la descrizione del Messia (Is 35, 5). È il riconoscimento che col gesto di Gesù è arrivato il tempo del Messia, il tempo della salvezza annunciato dai profeti.

L'unico che non parla mai, né prima né dopo il miracolo è proprio il sordomuto. Adesso che ha la possibilità e la capacità di parlare, la dimostra tacendo. Per parlare bisogna avere qualcosa da dire, e le parole più vere nascono solo dal silenzio.
Ma per fare silenzio occorre aver un mistero da adorare.


(Is 35,4-7; Sal 145; Gc 2,1-5; Mc 7,31-37)


26 agosto 2021

Radicalità di Gesù - 29/08/2021 - XXII Domenica tempo ordinario

 


Siamo tornati al Vangelo di Marco col brano che viene subito dopo alla moltiplicazione dei pani. Gesù e i discepoli si può dire che hanno ancora le mani sporche di pane condiviso, e i farisei si scandalizzano.
È il problema del legalismo: non importa quanto bene fai, se non lo fai secondo le 'regole' è sbagliato. Se poi, seguendo le regole, fai invece del male, puoi avere la coscienza a posto perché non hai trasgredito le regole.
Il legalismo è la santità esteriore, apparente, quella che crea degli 'osservanti' delle norme. Invece Gesù cerca degli 'obbedienti' allo scopo della Legge, cioè all'Amore.

Alla superficialità del legalismo Gesù oppone il suo radicalismo. Lui va "oltre" la Legge, è ancora più esigente. Ma è esigente per quanto riguarda il cuore dell'uomo, l'interiorità.
Viene in mente Zaccheo. La legge stabiliva in caso di furto l'obbligo della restituzione di quanto rubato o del corrispettivo del suo valore. Solo in rari casi poteva venire imposto di restituire il doppio. Zaccheo invece, dopo aver incontrato Gesù, restituisce a tutti il quadruplo.

Ciò che è importante è il cuore dell'uomo, la sua interiorità. Un cuore chiuso in sé stesso, anche se rispetta alla lettera la legge, non compie il bene. Invece un cuore illuminato dallo Spirito Santo va oltre la legge, non si limita a quanto richiesto ma dona, e soprattutto si dona, di più.

In brano si chiude con l'elenco dei "vizi", dei dodici «propositi di male» che nascono nell'uomo. Però nell'uomo possono nascere, e spesso lo fanno, anche tante cose belle. Ma Gesù non le elenca.
Ci può essere un catalogo dei vizi. Il peccato è ripetitivo, senza fantasia. Non inventa mai niente. In fondo a partire da Caino e Abele è sempre la stessa storia, sono cambiate poche cose, qualche ammodernamento, qualche adeguamento tecnologico. Ma la 'mela', in fondo, è sempre quella.
Invece le cose buone non si trovano in nessun catalogo. Solo nella bontà è possibile fare qualcosa di nuovo, di veramente insospettato, di sorprendente, di incredibile.
Le 'potenzialità' dell'uomo si manifestano solo nel campo del bene. Solo nel bene l'uomo riesce ad essere realmente creativo.
Dal male possono venire sorprese solamente a livello quantitativo. Ma dal bene ci si può aspettare di tutto e di più.


(Dt 4,1-2.6-8; Sal 14; Giac 1,17-18.21-22.27; Mc 7,1-8.14-15.21-23)


19 agosto 2021

Da chi andare? - 22/08/2021 - XXI Domenica tempo ordinario

 


Dopo la solennità dell'Assunta torniamo al vangelo di Giovanni. Tra il brano di oggi e quello di due domeniche fa c'è il passo in cui Gesù dice chiaramente che il 'pane disceso dal cielo' è Lui stesso e che per avere la vita piena dobbiamo mangiare il suo corpo. E questo desta scandalo non solo tra i farisei e il popolo, ma anche tra i discepoli, tanto che molti lo abbandonano.

Ma Gesù, che evidentemente non aveva seguito nessun corso di marketing, non concede sconti, non lancia 'offerte speciali'. Non si può mercanteggiare sulla sua persona.
Costringe le persone, ma anche noi oggi, ad una presa di posizione, ad una scelta precisa. Le posizioni intermedie, le scelte di compromesso non sono possibili: o si sta con Lui, o si sta senza di Lui.
Non solo ai dodici, ma anche a noi domanda: «Volete andarvene anche voi?»

E a questo punto Pietro, a nome dei dodici (ma anche nostro), fa la sua professione di fede «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna».
Non domanda "dove andremo", ma «da chi andremo». Il grosso problema non è andare, allontanarsi, abbandonare. Il problema è "da chi" andare. È un problema di fedeltà, non di andare o restare.

La fedeltà è una persona con la quale ci si lega per camminare insieme, per andare nella stessa direzione. È prendere coscienza che non posso vivere e crescere se non nella relazione con quella persona.
E quella persona è Gesù, il Cristo.
Credere non vuol dire sottoscrivere una serie di dogmi e di verità. Significa aderire ad una Persona, lasciare che questa Persona prenda il centro della propria vita, diventi il senso profondo delle nostre azioni.
Se realmente accetto Cristo come il "pane vivo", cioè il nutrimento essenziale alla mia vita, non posso relegarlo poi ad elemento accessorio, marginale, di qualche momento o qualche giorno della mia vita.

E questo "pane vivo" farà si che la fedeltà a Lui non sia un peso subìto, ma sia vissuta gioiosamente. Legarsi a Lui in un rapporto di fede e di amore non incatena, ma rende estremamente liberi, sempre in cammino, aperti a tutte le sorprese, disponibili alla meraviglia di un Dio che fa nuove tutte le cose (e anche le persone). Se lo lasciamo agire in noi, Lui ci aiuterà a ripulire le nostre scelte da tutte le incrostazioni delle convenienze, delle paure, delle abitudini.


(Gs 24,1-2.15-17.18; Sal 33; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69)


12 agosto 2021

Il corpo: epifania del nostro spirito - 15/08/2021 - Assunzione della Beata Vergine Maria

 


La solennità dell'Assunzione è la consacrazione della corporeità, del corpo umano.
La visione del corpo come 'prigione dell'anima' è una visione pagana che non ha assolutamente niente di cristiano. Una visione pessimistica del corpo è una concezione anti-cristiana.

Incarnazione significa che Dio si è fatto carne, corpo. E proprio questo fatto, che è alla base della nostra fede, ci dice che tutto l'essere umano, «spirito, anima e corpo» (1Tess 5, 23), è stato riscattato e riconciliato. Anche il corpo è stato riempito di grazia divina, non solo l'anima.

Maria ha accolto il Verbo col proprio corpo, e ha poi servito il Figlio con tutta la sua persona. È stata sempre disponibile non solo col proprio spirito, ma anche col proprio corpo. I gesti, i movimenti, gli atteggiamenti del suo corpo hanno insegnato a Gesù la liturgia umile, e allo stesso tempo grandiosa, del servizio e del dono di sé.
Quindi non deve stupire se proprio questo suo corpo, che è stato strumento della lode e del servizio, alla fine è stato chiamato a prendere parte alla gloria definitiva di suo Figlio, il Cristo.

Nel Credo Apostolico noi proclamiamo di credere «la risurrezione della carne». Anche il nostro corpo parteciperà alla gloria divina. L'anima non può rimanere da sola per l'eternità, ha bisogno del suo compagno di viaggio perché con esso forma un tutt'uno indivisibile: la persona. Ed è proprio a questa unità che Dio ha promesso la Sua gloria.
Il corpo dell'essere umano "è infinitamente di più che il supporto di un'anima che pensa. È piuttosto l'incarnazione di uno spirito"(Dom Jean Déchanet). Il corpo è la manifestazione, l'epifania del nostro spirito.
Il corpo non è una zavorra, un freno alla nostra crescita spirituale, anzi. È chiamato a diventare lo strumento dello Spirito Santo nell'uomo, ad esserne il suo tempio, la sua casa abituale (1Cor 6, 19-20).

L'Assunzione ci ricorda la grandezza e il rispetto che è dovuto al corpo umano.
Umiliare, degradare, violentare, torturare, 'cosificare' il corpo, sia il proprio che quello degli altri, significa offendere in modo sacrilego Dio in quello spazio segreto, intimo e inviolabile dove ha posto la sua abitazione nell'uomo.


(Ap 11,19; 12,1-6.10; Sal 44; 1Cor 15,20-26; Lc 1,39-56)


05 agosto 2021

Dio ci incontra nella 'banalità' di ogni giorno - 08/08/2021 - XIX Domenica tempo ordinario

 


«Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?»
Se siamo sinceri dobbiamo ammettere che anche noi, come i giudei, facciamo spesso fatica ad accettare un Dio come ce lo presenta Gesù. Non sempre riusciamo a riconoscere che il pane della vita, quello vero, disceso dal cielo, ci viene donato "nascosto" nell'apparente banalità del quotidiano. Facciamo anche noi fatica a riconoscere Dio che di manifesta nelle cose ordinarie, nelle realtà comuni, in quelle cose e in quelle persone che normalmente ci circondano, che diamo talmente scontate da quasi non vederle neanche più.

In fondo è l'Incarnazione, che ci fa scandalo.
Accettiamo un Dio che si nasconde dietro colonne d'incenso, dietro celebrazioni sfarzose e in pompa magna.
E dimentichiamo, quando non rifiutiamo, che con l'Incarnazzione è il quotidiano che diventa sacramento della presenza di Dio, e allo stesso tempo della nostra presenza a Dio. Lui si serve dei piccoli avvenimenti della vita di ogni giorno per rivelarsi. Le solite cose, le solite occupazioni, le solite persone, il solito orario, ci portano Dio che vuole incontrarci là dove siamo, in quello che facciamo, nella nostra esistenza di tutti i giorni. Non dobbiamo andare a cercare Dio in altri posti. Lui si fa trovare nelle occasioni più comuni, secondo il cerimoniale dei nostri gesti ordinari.

Ecco allora che 'credere' diventa imparare a vedere negli avvenimenti della propria vita il segno del passaggio di Dio. Significa accettare di lasciarsi aprire gli occhi. Imparare da quel monaco che, dopo quarant'anni che faceva il portinaio del convento, quando sentiva suonare il campanello diceva: "Ancora tu, o Dio!"
Riuscire a dire, ad ogni volto che incontriamo: "Buona giornata... mio Dio!" (d. Pierre Talec)

È vero che il Signore opera "grandi cose", ma lo fa alla sua maniera, nella discrezione. Lo fa sotto un segno modestissimo, di ogni giorno, proprio 'quotidiano': un pezzo di pane e un po' di vino.


(1Re 19,4-8; Sal 33; Ef 4,30-5,2; Gv 6,41-51)


Immagine di don Giovanni Berti



29 luglio 2021

L'ininterrotta ricerca di Dio - 01/08/2021 - XVIII Domenica tempo ordinario


 

In questo brano del Vangelo di Giovanni mi colpisce un verbo: cercare. È un verbo molto presente in questo Vangelo: in esso le prime parole di Gesù sono quelle rivolte ai due discepoli del Battista: «Che cosa cercate?» (Gv 1, 38), fino a quelle rivolte alla Maddalena: «Chi cerchi?» (Gv 20, 15). Ma anche la Bibbia si apre con Dio che scende nel giardino per cercare Adamo: «Dove sei?» (Gen 3, 9)
La storia della Salvezza è questa ininterrotta ricerca: Dio che cerca l'uomo!

Poi c'è anche l'uomo che cerca Dio. Però in questo caso non basta 'cercare'. Occorre anche prendere coscienza delle vere motivazioni della nostra ricerca. È per questo che Gesù ci provoca con le domande o con affermazioni come quella di oggi «voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati».
C'è chi lo cerca per un sapere intellettuale, e chi perché non può fare a meno di Lui;
C'è chi lo cerca per il proprio interesse, e chi perché vuole che prenda il centro della propria vita;
C'è chi lo cerca per strumentalizzarlo, e chi perché vuole vivere di Lui e con Lui.

Qui la folla va da Gesù solo per il vantaggio materiale. È una ricerca interessata. Gesù li accusa di non saper leggere i 'segni', cioè i miracoli, che ha compiuto.
In fondo ci sono tre diverse reazioni di fronte ai segni di Gesù:
- Accecamento volontario, cioè rifiutare di vederli, di prenderne atto. Un esempio sono i farisei di fronte alla guarigione del cieco nato o alla resurrezione di Lazzaro
- Miopia, cioè fermarsi alla materialità del segno. È quello che fa la folla in questo caso, si ferma al pane mangiato, non va oltre (ma anche molto miracolismo dei nostri giorni).
- Penetrazione, cioè il partire dal segno per andare oltre, coglierne il significato profondo, cioè l'identità profonda di Gesù: Dio fatto uomo per amore dell'uomo!

Visto che la folla cercava il pane, Gesù propone due tipi di cibo: quello «che non dura», e quello «che rimane per la vita eterna». Gesù non rifiuta il pane materiale, difatti l'ha appena moltiplicato. Lui rifiuta di fermarsi a questo. Sa che «non di solo pane vivrà l'uomo» (Mt 4, 4), ed è venuto per offrire qualcos'altro, un altro pane. Il suo messaggio passa anche attraverso il problema economico, ma va oltre il piatto di minestra.

E qui la folla non riesce a fare il passo decisivo. Capiscono che devono andare oltre, ma rimangono a basso livello: "cosa dobbiamo fare?" Pensano a delle opere onerose da compiere per meritarsi l'approvazione di Dio, per avere altro pane materiale.
Cristo replica che non si tratta di 'fare' ma di 'credere'. La fede è la libera risposta ad un dono, è qualcosa che si riceve, non qualcosa che si conquista.
"C'è una sola cosa da fare: lasciarsi fare" (Jacques du Perron)


(Es 16,2-4.12-15; Sal 77; Ef 4,17.20-24; Gv 6,24-35)


22 luglio 2021

Nella matematica di Dio le moltiplicazioni si fanno solamente con le con-divisioni - 25/07/2021 - XVII Domenica tempo ordinario

 


Da oggi accantoniamo per qualche domenica il Vangelo di Marco per quello di Giovanni. Lo facciamo proprio nel punto in cui Marco tratta la moltiplicazione dei pani (collocata in quella che gli studiosi chiamano "sezione dei pani") perché Giovanni ne approfondisce il senso, come vedremo oggi e nelle prossime domeniche.

Innanzi tutto c'è da notare che la molta erba, il fatto che Gesù faccia sedere i presenti e quello che poi faccia distribuire da mangiare, sono, per la Bibbia, segni religiosi profondamente messianici. Quindi indicano chiaramente ai presenti la natura profonda di Gesù.

«C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci»
Gesù inizia facendo quasi un inventario di cosa noi uomini mettiamo a sua disposizione. Lui vuole coinvolgerci nella sua opera di salvezza, ci vuole suoi aiutanti, suoi stretti collaboratori.
Però non ci chiede il superfluo, ciò che ci avanza. Lui ci chiede il necessario, tutto. Inoltre non si basa sui calcoli umani, non gli interessa se quello che abbiamo è meno di una goccia nell'oceano.
Ma noi facciamo fatica a capire la logica divina per cui solo il donare produce abbondanza. Facciamo fatica a seguire Gesù che si ostina a "produrre il pane non con la farina ma con l'amore" (Adriana Zarri).
Il miracolo non avviene con i duecento denari di Filippo, ma quando buttiamo il nostro ultimo soldo.
Punto di partenza verso l'impossibile non è ciò che abbiamo, ma ciò di cui ci siamo privati, ciò che abbiamo donato. Nella matematica di Dio le moltiplicazioni si fanno solamente con le con-divisioni.

Per poter dire a Dio «Padre nostro» e chiedergli «il pane quotidiano», occorre che il pane non sia esclusivamente "mio", ma che lo faccia diventare "nostro".
Tutte le volte che rifiuto di condividere il pane, ma anche il lavoro, la terra, e così via, io cancello la presenza del Padre dalla terra.
Ma quando imparo la "prassi delle mani aperte nel gesto del dono", io rendo presente Dio in mezzo agli uomini.


(2Re 4,42-44 Sal 144 Ef 4,1-6 Gv 6,1-15)


15 luglio 2021

Tutto nasce da uno sguardo - 18/07/2021 - XVI Domenica tempo ordinario

 


La prima lettura (Geremia), il salmo (Il Signore è il mio mio pastore) e il Vangelo hanno un tema dominante, quello del 'pastore'.
Ma a me, soprattutto nel Vangelo, colpisce un'altra cosa, che sotto un certo punto di vista è alla base del buon pastore: lo sguardo.
Certo, solo una volta viene detto che Gesù ha visto («egli vide una grande folla»), ma per accorgersi che gli Apostoli erano stanchi deve averli 'visti'.

Tutto nasce da uno sguardo, da come Gesù guarda. E anche per noi tutto dipende da come guardiamo il mondo, le cose, le persone, la vita. C'è una responsabilità anche nello sguardo.
C'è lo sguardo che quando vede la folla vede una scocciatura, una rottura di scatole.
C'è lo sguardo che quando vede la folla pensa che la cosa non lo riguarda, che ci deve pensare qualcun altro.
C'è lo sguardo che quando vede la folla vorrebbe chiamare la polizia o l'esercito per disperderla o quanto meno tenerla il più lontano possibile.

E poi c'è lo sguardo di Gesù.
Gesù non vede dei 'dipendenti' che fanno la relazione sull'incarico svolto, ma degli amici che hanno lavorato molto e che adesso sono stanchi e hanno bisogno di riposare, di godere di una sosta insieme a Lui. Mi piace pensare che sia proprio da questo episodio che sant'Ambrogio scrisse "se vuoi fare bene tutte le tue cose, ogni tanto smetti di farle", cioè ogni tanto riposati. È un atto di umiltà, è ricordarci che non siamo noi a salvare il mondo e che la nostre energie sono limitate, la nostra vita è fragile.

Gesù non vede una folla indistinta che fa saltare i suoi piani. Vede delle persone che sono assetate di speranza, di affetto, di vita. Lo sguardo di Gesù è cuore, compassione, tenerezza. Lo sguardo di Gesù non giudica, non appiccica etichette. È uno sguardo che accoglie e abbraccia. Uno sguardo che perdona, come sa bene Pietro (Lc 22, 61). Quello di Gesù è uno sguardo vulnerabile, perché si lascia ferire dalle situazioni, dalle persone, dagli incontri (Luigi D'Ayala Valva, "Lo sguardo di Gesù", ed. Qiqajon).

Lo sguardo di Gesù è lo sguardo che ha Dio nei nostri confronti. Il Vangelo ci ricorda che Dio, quando ci guarda, si commuove. Quanto più siamo feriti dalla vita, tanto più Dio si commuove e ci avvicina per offrirci riposo, parlare al cuore e donare se stesso. Quando siamo stanchi ci invita un po' in disparte a fare due chiacchiere con Lui. È una bella definizione della preghiera: raccontare a Dio la nostra storia, dirgli ciò che viviamo, proviamo e pensiamo. Dio sa già tutto, ma ama sentirsi raccontare da noi le cose che già sa di noi.
Solo raccontando a Lui, Lui potrà poi raccontare a noi.


(Ger 23,1-6; Sal 22; Ef 2,13-18; Mc 6,30-34)

Anch'io penso, come don Giovanni Berti autore di questa vignetta, che tante volte Dio voglia 'solo farsi una birretta tra amici'. Ma noi siamo troppo seriosi per rendercene conto.


08 luglio 2021

Portatori di serenità e vita - 11/07/2021 - XV Domenica tempo ordinario

 


Il Vangelo di oggi ha un'essenzialità estrema, sembra quasi un foglietto di istruzioni, ma in realtà è molto profondo.

Una prima cosa si nota per quanto riguarda l'equipaggiamento, le cose da portare: Marco concede il bastone e i sandali che gli altri evangelisti invece proibiscono. E comunque le indicazioni dei sinottici sono diverse e in parte contradditorie. Non è un dress-code o l'elenco di cosa è consentito e cosa è proibito al check-in del missionario!
È l'indicazione di un atteggiamento. È la sottolineatura dell'esigenza di essenzialità, di leggerezza, di libertà, di disponibilità. Non si devono cercare altri 'appoggi' oltre al comando di Cristo. Si deve rinunciare alle sicurezze umane, per contare sull'unica sicurezza della potenza del Vangelo. «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10), proprio perché appaia che la potenza è del Vangelo, non dei mezzi o delle persone impiegati.

Ma c'è da rimarcare anche che vengono mandati «a due a due». Il primo annuncio è proprio questo: l'andare insieme, fianco a fianco. Insieme per dare una testimonianza credibile (la legge ebraica prevedeva che una testimonianza fosse valida solo se portata da almeno due testimoni). Ma c'è anche il fatto che essere in due ha i suoi vantaggi (ci si aiuta, ci si sorregge a vicenda), ma ha anche le sue fatiche, perché ti costringe al confronto e alla messa in discussione, cose che sono costruttive, ma che tuttavia richiedono impegno e soprattutto sono un colpo duro al proprio orgoglio e all'individualismo. Quindi essere in due è anche una testimonianza di unità, di solidarietà, di comunità. Essere in due è segno di tutta la serietà del messaggio.

Però in questo brano mancano due cose.

La prima è che i Dodici vengono mandati ... ma non viene detto 'dove' devono andare.
Non si viene mandati in un 'posto', ma ogni posto è il luogo in cui siamo mandati. Ogni posto in cui ci troviamo è il luogo della nostra testimonianza: il lavoro, la famiglia, il bar, la scuola, il supermercato, la strada. Ogni nostro passo nella vita deve essere testimonianza, segno di riconciliazione e sorgente di serenità e vitascacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano»)

La seconda è che non viene detto quali dovevano essere gli argomenti della predicazione.
Questo perché la predicazione principale, la prima e più importante non va fatta con le parole. Va fatta con la vita. Dev'essere tutta la nostra vita che parla di Dio. In ogni nostro gesto, in ogni nostra azione, ci dovrebbe essere il sapore, l'odore di Dio.
Solo così le nostre parole possono essere reale segno. Solo così possono essere concretezza e non 'aria fritta'.
Inoltre, non avendo la scaletta dei discorsi da tenere, siamo obbligati ad adeguare le nostre parole alla realtà che incontriamo. Siamo chiamati a chiedere l'aiuto dello Spirito Santo per leggere i "segni dei tempi", capire come meglio affrontare le varie situazioni. Si tratta ci capire quando è meglio spronare e quando è meglio consolare, quando è meglio ammonire e quando è meglio abbracciare. Non si possono usare le stesse parole e gli stessi gesti per ogni situazione e con ogni persona.


(Am 7,12-15; Sal 84; Ef 1,3-14; Mc 6,7-13)