30 luglio 2020

2 agosto 2020 - XVIII domenica del tempo ordinario

"... congeda la folla perché vada nei villaggi ..."
Quante volte noi, di fronte agli immigrati, a quanti vengono a cercare pane e speranza qui da noi, abbiamo pensato "che ognuno torni a casa sua invece di vivere di espedienti e magari malamente in un altro mondo!", "non c'è lavoro neanche per noi, perché dovremmo darne a loro?"
E lo stesso è anche per gli apostoli. Qui sembra quasi dicano: "Si arrangino". Questa frase continua a risuonare nel mondo e nella nostra testa con infinite variazioni: "Sono fatti loro ... lo non c'entro ... Non è compito mio ... Ci sono le strutture apposta, paghiamo le tasse proprio per questo ... Qualcuno comunque dovrà pur pensarci ... Che ci posso fare io? ... Mica posso portarmi a casa tutta quella gente ... Bisogna che i responsabili si decidano a intervenire ... Occorre provvedere ... E poi, diciamola tutta, anche loro devono darsi da fare, mica pretendere sempre dagli altri ... Noi abbiamo già guai a sufficienza per conto nostro ...".
La tentazione di rinchiudersi nel proprio piccolo, soprattutto nei momenti di difficoltà, è molto forte e anche molto umana.
Ma è sempre una tentazione.

" ... a comprarsi da mangiare."
È la logica del mondo, logica comune: se vuoi qualcosa lo devi pagare. Ogni cosa ha il suo prezzo. E anche i rapporti umani si basano sul 'dare-per-avere' e non sull'amore, sull'amicizia, sulla solidarietà. E si finisce per avere lo stesso tipo di rapporto anche con Dio: dobbiamo "acquistare" il Paradiso, dobbiamo 'comprare' il suo amore con le nostre sofferenze, le nostre rinunce, i nostri sacrifici.

Ma Gesù ribalta il nostro modo di pensare : "Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare"
Gesù ci ricorda che rimandarli a casa loro non è certamente l'unica soluzione. È la via più facile, ma sicuramente non la migliore. Un'altra via è possibile: condividere.
Gesù non dice: vendete, barattate, prestate. Dice, molto semplicemente: "date". Gesù non vuole allontanare nessuno dà sé, Lui vuole tutti intorno a mangiare con lui. È un'immagine molto materna di Dio, un Dio che vuole nutrire, un Dio che vuole gioire della tavola condivisa. Quante volte nel Vangelo lo si vede intento a condividere il pasto con altri, e lo si vede contento di fare questo: da Cana all'ultima cena, da Emmaus fino a quando cuoce il pesce sulla riva del lago per i suoi apostoli.
Perché il segreto è solo questo: dare. Anche solo cinque pani e due pesci, ma da condividere. Anche se è solo miseria, ma è da condividere. Anche se è il nulla, è da condividere. Il nulla condiviso fa meno paura. La miseria condivisa fa soffrire di meno. Il poco condiviso addirittura fa miracoli. Perché 'in quel tempo' sul lago di Galilea il miracolo lo fece il Maestro; ma oggi, qui, nella nostra Galilea delle Genti, il miracolo lo fa la carità condivisa, lo fa la povertà condivisa, lo fa la grazia condivisa. La grazia non cade dal cielo come la manna, come un fulmine: la grazia è come la verità, "germoglia dalla terra perché la giustizia si affaccia dal cielo" (Sal. 85, 12).
È una regola divina: quello che condividi con gli altri non va perduto, aumenta; quando il pane da mio diventa nostro, non diminuisce, si moltiplica. Gesù ha sfamato diecimila persone, ma ha detto: "Voi farete cose ancora più grandi" (Gv 14,12). Sfamare tutta la terra è possibile, se diventa possibile la condivisione. Dio vince la fame attraverso le nostre mani quando imparano a donare.

Un'ultima considerazione
"Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini."
Il fatto è che le donne, allora, non venivano contate perché 'non contavano', erano trascurabili, erano un nulla, proprio come i bambini. Oggi si contano - specialmente quando si tratta di riempire le chiese - ma non è detto che contino molto di più. La mentalità di Matteo si è tramandata fino a noi, di generazione in generazione, per via ... celibataria.


23 luglio 2020

26 luglio 2020 - XVII domenica del tempo ordinario

Due persone, un contadino e un mercante, trovano un tesoro. Però uno lo trova per caso mentre sta arando un campo non suo. L'altro invece mentre gira il mondo proprio alla ricerca di qualcosa di prezioso. Due modi per trovare Dio, perché trovare il Regno dei Cieli vuol dire trovare Dio, che sembrano incompatibili. Ma a Dio piace giocare a nascondino per donarci la gioia e la meraviglia di trovarlo. A Lui piace organizzare una "caccia al tesoro", piace nascondersi per farsi trovare. Il Vangelo è liberante: l'incontro con Dio non sopporta vie prestabilite, è possibile a tutti trovarlo o essere trovati da lui, folgorati da una luce sulla via di Damasco, oppure, sorpresi da un Dio innamorato, nella normalità che passa, come dice Teresa d'Avila, "fra le pentole della cucina". Una normalità che è nel tuo campo di ogni giorno, là dove vivi e ami e lavori come un contadino paziente, e magari neanche pensi mai a Lui.

E il primo 'tesoro' che questa perla, questo tesoro, regalano è la gioia. Anzi, "pieno di gioia" sottolinea il Vangelo. Una gioia grande, sovrabbondante come sovrabbondanti sono tutti i doni di Dio. Una gioia grande al punto tale da stravolgere la loro vita. Sorpresi dall'amore, la loro vita non sarà più la stessa. Perché la gioia donata dal tesoro fa camminare, correre, volare: è per questo vendere tutti gli averi non porta con sé nessun senso di rinuncia (Gesù non chiede mai sacrifici quando parla del Regno), sembra piuttosto lo straripare di un futuro nuovo, di una gioiosa speranza. Il contadino e il mercante vendono tutto, ma per guadagnare tutto. Lasciano molto, ma per avere di più. Non perdono niente, fanno un investimento ad alto guadagno e sicuro al 100%.

Ma in entrambi, oltre alla gioia c'è anche la sorpresa. Perché il Regno di Dio funziona così: nessun preavviso, nessuna avvisaglia, nemmeno un cenno. Sempre di sorpresa, perché come diceva Sofocle "la gioia più grande è quella che non era attesa". Parole di Sofocle, ma la dimostrazione ce la dà Gesù. Che dice all'uomo: "Concediti il lusso di sorprenderti!".
Come ama dire Papa Francesco, "Dio è sempre una sorpresa, e dunque non sai mai dove e come lo trovi, non sei tu a fissare i tempi e i luoghi dell'incontro". Lui c'è sempre, ma c'è sempre a-modo-suo. Che è il modo tipico della gioia, di chi sa presentarsi all'appuntamento decisivo sempre uguale eppure sempre nuovo, per nulla scontato, mai banale.
Imprevedibile come "un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche". Il tesoro rimane lo stesso, però ogni giorno ci parlerà con una nuova e diversa sfumatura.

In questo periodo di incertezza, di preoccupazione, il Vangelo ci annuncia tesori. Ci ricorda che c'è Qualcuno che non si stanca di preparare tesori per noi, che non si stanca di seminare in abbondanza perle preziose nel mare della nostra vita.



16 luglio 2020

19 luglio 2020 - XVI domenica del tempo ordinario

La parabola del buon grano e della zizzania non è una parabola facile. Non è facile perché ci riesce difficile accettare che il bene e il male, il giusto e lo sbagliato, siano così intimamente intrecciati al punto che spesso è difficile distinguerli, difficile separarli. 
Questa parabola mette in luce il nostro desiderio di giudicare, di fare a fette, di sradicare, di condannare, di escludere. Di preservare il bene allontanando, magari a calci, il male. 

Gesù invece ci ricorda che Dio, il grano e la zizzania li ha pensati proprio così: devono crescere insieme! Ma per noi tante volte questo è difficile da accettare, e allora accusiamo Dio di essere troppo indulgente, di essere un debole.
Ma Dio non è debole perché indulgente. Dio invece è forte proprio perché indulgente. "Padrone della forza, tu giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza, perché, quando vuoi, tu eserciti il potere", con queste parole l'autore del libro della Sapienza ha aperto la strada al messaggio evangelico di Gesù, un messaggio che rende il Regno dei Cieli il luogo della speranza e non della disperazione, dell'accoglienza e non dell'esclusione, della normale convivenza tra bene e male e non della settaria divisione tra buoni e cattivi.
E se vogliamo capire qualcosa di più di questo Regno dei Cieli, allora iniziamo col capire che non è un Regno che ragiona con la logica dei Regni di questo mondo, che si impongono con la potenza delle armi e del denaro, con la violenza e la divisione. Il Regno dei Cieli si impone con la logica del granello di senape, una cosa insignificante e inutile agli occhi degli uomini, come un arbusto selvatico che spunta in un orto, eppure la sua forza sta nel farsi trasportare in ogni angolo del mondo dal soffio dello Spirito, capace di dare riparo, ristoro e protezione agli uomini.

Ma questa parabola è anche un racconto di sguardi: lo sguardo dei servi, che si fissano sulle erbacce, sulla zizzania, e lo sguardo di Dio, che invece si fissa sul buon grano. In fondo è questo l'invito della parabola: acquistare lo sguardo di Dio. Solo così posso capire che molto spesso, quello che frettolosamente avevo classificato come zizzania, in realtà era un germe di tenerezza, di dolcezza, di partecipazione, bastava dargli il tempo che gli era necessario, bastava dare un po' di fiducia, bastava scavare un po' di più in profondità.

Ma se questo è importante nel rapporto con gli altri, lo è anche nel rapporto con noi stessi: siamo chiamati a scoprire e a conoscere ciò che di bello, di buono, di vitale, di promettente Dio ha seminato in noi.
Di fronte a quella parte di noi pronta a strappare, a sradicare, a separare, siamo invitati ad assumere l'atteggiamento di Dio che è fatto di pazienza, di mitezza, di fiducia. Non è a strappi che cresciamo e facciamo crescere, ma, come dice la prima lettura, giudicando con mitezza, governando con indulgenza, amando, infondendo dolce speranza, concedendo la possibilità di pentirsi. Cioè, come dice il testo originale ebraico, "rendendo gli occhi dei figli pieni di speranza". Gesù questo ce lo ha insegnato con la sua vita: il Regno splende in quel seme di luce seminato in Zaccheo, nel ladrone pentito, nella donna adultera, nel pubblicano Matteo, nel figlio che allontanatosi da casa ha dilapidato tutte le sue sostanze.
È proprio uno sguardo diverso quello di Dio: è uno sguardo che ama la vita, che protegge ogni germoglio, che è indulgente con tutte le creature. È uno sguardo che vede sempre delle possibilità, che vede il futuro, non il passato.
Possa essere questo il nostro sguardo: uno sguardo che sappia cogliere le possibilità di bene che abitano in ogni essere umano.

09 luglio 2020

12 luglio 2020 - XV domenica del tempo ordinario

La prima cosa da mettere a fuoco nel Vangelo di oggi sono le prime parole di Gesù "il seminatore uscì a seminare". Non 'un seminatore' ma 'IL seminatore'. Cioè il Seminatore per eccellenza, colui che è definito dal fatto che semina, che si identifica col seminare. Colui che non fa altro che questo: seminare la vita, e seminarla in abbondanza, seminarla ovunque.

E in questa auto-definizione Gesù ci spiega la sua missione. Gesù ci dice che sì, lui è il Messia, ma non è il Messia secondo le nostre idee e le nostre aspettative, non è Messia come lo immaginavano gli israeliti (e neanche come a volte lo immaginiamo noi). 
Non è venuto a giudicare, ma a salvare.
Non è venuto a schiacciare, ma a far crescere.
Non è venuto a sistemare le cose, ma ad iniziare qualcosa.
Non è venuto per tirare le somme, ma a dare l'avvio.
Non è venuto a portare il tempo del giudizio, ma quello della pazienza.
La sua missione è sotto il segno della semina e della semina sovrabbondante, non della mietitura.
Questa parabola ci dice che il Regno di Dio è già qui. Anche se nascosto è già in azione. Il Regno di Dio viene di nascosto e il più delle volte perfino malgrado l'insuccesso. È una parabola che parla dell'oggi, del presente, non del futuro.

Ma ci dice anche che il Seminatore non sceglie il terreno. Non decide prima quale sia il terreno buono, quello meno buono o quello cattivo. Lui sparge con sovrabbondanza il suo seme dappertutto con uguale speranza. Il terreno si rivela per quello che è dopo la semina, non prima. 
Perché il seme è la Parola. E la Parola ha il potere di trasformare il terreno, di spaccare le rocce, di aprirsi un varco verso le profondità della persona. La Parola non si rassegna alle condizioni che trova (vedi la prima lettura di oggi). La Parola è creatrice. Anche del terreno. È la Parola che può trasformare un "cuore di pietra" in un "cuore di carne".

Quando teniamo a mente questo, allora capiamo che la spiegazione dei vari tipi di terreno non serve a chiarirci quale tipo siamo noi (né tanto meno a fare quell'operazione molto comune ma per niente cristiana di decidere quale tipo di terreno siano gli altri). Serve a farci capire che in noi ci sono tutti i tipi di terreno. Difatti noi non accogliamo tutti i semi, come non accogliamo tutta la Parola, allo stesso modo, con la stessa adesione, con la stessa comprensione. A volte alcune parti della Parola le rifiutiamo. Ma comunque Dio continua ogni istante a spargere le sue sementi, la sua Parola, in noi. Si è fatto bucare le mani per spargere meglio e con più abbondanza i suoi semi. Continua a sperare in noi, continua a scommettere su di noi. Perché alla fine ci sarà un raccolto. E la festa sarà uguale sia per il terreno che avrà dato un solo frutto come per quello che avrà reso il 100%.

Ognuno di noi è una zolla di terreno, ma ognuno di noi è anche seminatore nel mondo. Ogni nostra parola, ogni nostro gesto, sono semi che si staccano da noi e vanno nel mondo. Cerchiamo che siano semi di speranza, di gioia, di amicizia, di calore umano. Che siano germogli di sorrisi e di carezze.  «Il cristiano è uno ben consapevole che la sua vita darà frutto, ma senza pretendere di sapere come, né dove, né quando. Ha però la sicurezza che non va perduto nessun atto d'amore per Dio, non va perduta nessuna generosa fatica, nessuna dolorosa pazienza. Tutto ciò circola nel mondo come una forza di vita». (vedi E.G. 278-279).

01 luglio 2020

5 luglio 2020 - XIV domenica del tempo ordinario

Gesù, non dimentichiamolo, è vero Dio e vero uomo. E come essere umano ha dovuto spendere tanto tempo e tanta fatica per crescere, per imparare, per diventare Uomo! E quella di diventare uomo (E il verbo si fece carne - Gv 1,14) è stata esattamente la carriera di Dio, perché Uomini non si nasce, lo si diventa. Per diventare uomo, ha dovuto imparare le stesse cose degli uomini: camminare, mangiare, parlare, farsi barba e capelli, tagliarsi le unghie, sporcarsi le mani e lavarsele. Zappare, mangiare, studiare e dormire. Non gli è stato semplice nemmeno capire come ragionasse suo Padre. Cercare di sapere, di capire cosa s'aspettasse da Lui quel Padre che "governa il mondo". Un Padre-Dio che è la misura di tutte le cose.

Ha dovuto affrontare il momento in cui tutto e tutti sembrano dirgli "hai sbagliato strada,  sei illuso, ti stai mettendo contro Dio". I dottori lo deridono, scribi e farisei tentano di schiacciarlo con parole sorde e piene di astio, gli apostoli mostrano di non capire affatto cos'è quella strana faccenda che chiama Regno-di-Dio. Sta proprio toccando il fondo dell'incomprensione. 

Ma è proprio in questo momento che sboccia una delle rivelazioni più stupende e meravigliate dei Vangeli: "Ti rendo lode, Padre, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli". Dio si rivela ai piccoli e nelle piccole cose. E Gesù, così duro coi dottori, con gli scribi e i farisei, si addolcirà con i piccoli: andrà a lezione da loro. Perché la sua non è una lode dell'ignoranza, ma della giusta sapienza. Seguire Gesù vuol dire sapere che non si finirà mai di dover imparare.

Dobbiamo imparare a crescere fino a raggiungere la giusta piccolezza.

Dobbiamo imparare a meravigliarsi di Dio. Se un giorno non ci meraviglieremo di Dio, se sarà prevedibile, allora vorrà dire che ci siamo allontanati da Lui. 

Ma soprattutto dobbiamo imparare quant'è bello essere uomini-bambini che si fidano di chi ha deciso di governare il mondo con la gioia e l'amore: «Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio peso leggero>».  Perché il giogo di Dio non è un collare che opprime, un peso che schiaccia, ma è Amore e Gioia che sollevano, che mettono le ali, che fanno danzare, che ci fanno spalancare le braccia per abbracciare tutti. 

A governare con la paura e la forza sono capaci tutti. Solo Dio riesce a governare con l'amore, la gioia e la mitezza.