27 aprile 2023

Ognuno di noi è un modello esclusivo - 30/4/2023 - IV Domenica di Pasqua

pecore



Per capire meglio questo brano bisogna fare una premessa. A quei tempi non c'erano ovili privati, riservati ad un unico gregge, ma c'era un unico ovile per tutti i pastori della zona. Alla sera ogni pastore portava le sue pecore all'ovile, dove si mescolavano con tutte le altre, e le affidava ad un guardiano. Al mattino, poi, si presentavano i pastori e ognuno chiamava le sue pecore, che riconoscendo la voce del proprio pastore, uscivano dall'ovile. Anche se tutte mescolate, le pecore riconoscono la voce e la seguono. Non vanno dietro ad un altro pastore, perché ha una voce estranea.

Le pecore, nel buio della notte, possono aver avuto paura di essere state abbandonate, di aver perso il pastore, ma lo ritrovano al mattino. Non quando lo vedono, ma quando "ascoltano la sua voce".
È la voce che permette di riconoscere il pastore. È la voce che restituisce chi era stato sottratto alla vista.
Viene in mente Maria di Magdala la mattina di Pasqua (Gv 20, 14-17): finché si affida al vedere, piange perché avverte la mancanza di ciò che le è stato tolto. Ma lo ritrova al suono di una voce che la chiama per nome: «Maria!». Gli occhi non lo avevano riconosciuto, difatti lo aveva scambiato per un giardiniere, ma la voce l'ha svelato. Quel timbro, quel tono, il nome pronunciato con profondo affetto, fanno scoccare la scintilla del riconoscimento. Anche lei, come le pecore, riconosce il Pastore 'quando lo sente pronunciare il suo nome'.

«Chiama le sue pecore, ciascuna per nome ...»
Ogni pecora, oltre a riconoscere quella voce unica, riconosce anche il proprio nome. In effetti Gesù non parla mai di 'gregge', di una massa indistinta, ma parla di singole pecore, di singole persone. Chiamandoci per nome Gesù si fa riconoscere, ma ci rivela anche il nostro valore, la nostra importanza per Lui.
Questo rapporto personale, intimo, all'insegna dell'unicità è quello che intercorre tra noi e il vero Pastore, quello che lo caratterizza rispetto a tutti gli altri pastori 'abusivi'.
Per Dio io non sono 'uno tra i tanti', per Lui sono 'unico'. Non sono un numero, un essere anonimo perso in una massa indistinta, una pedina intercambiabile. Né tanto meno sono uno che deve adeguarsi agli altri, conformarsi a qualcun altro. Agli occhi di Dio, ma soprattutto al suo cuore, io sono un essere unico, inconfondibile, irripetibile.
"Ogni persona è una scoperta, un esemplare esclusivo [...] Io sono qualcosa che non può essere ripetuto e di cui non esiste copia o sostituto" (Abraham Joshua Heschel)
Al di fuori delle statistiche non esiste l'uomo medio, standard. Dio non lavora in serie. Ogni essere umano è un modello originale, un esemplare 'esclusivo'. Ogni uomo che viene al mondo è necessario, è importante, è "importante d'amore" (Pierre Talec), ma soprattutto è insostituibile.
Ognuno di noi è chiamato a produrre la propria nota originale (e insostituibile) nel concerto dell'universo. Se non vivo in pienezza la mia unicità, se affogo nel conformismo, nel 'così fan tutti', faccio mancare la mia nota alla sinfonia universale, rendo più povera non solo la mia vita, ma tutto il creato, persino Dio.

Posso farmi sostituire in un lavoro. Ma non posso farmi sostituire nella vita.
La Vita non può fare a meno di te.


(At 2,14.36-41; Sal 22; 1Pt 2,20-25; Gv 10,1-10)


20 aprile 2023

Ogni incontro può essere un'apparizione - 23/4/2023 - III Domenica di Pasqua

I discepoli di Emmaus
Janet Brooks-Gerloff (1992)
(Abbazia di San Cornelio, Aquisgrana)



Vangelo molto ricco di vari spunti di meditazione quello dei 'discepoli di Emmaus', ma mi limiterò a vederne un paio.

«Egli entrò per rimanere con loro»
Proprio pochi giorni fa la mia amica A.F. mi faceva notare che ai nostri pochi 'eccomi' rivolti al Signore, fanno invece riscontro i numerosi 'eccomi' che Dio ci dice.
Dio ha deciso di restare con noi. Lui vuole stare con noi anche se noi non lo riconosciamo, anche se noi lo riteniamo uno che non sa niente "quello che accade nei nostri giorni".
Ogni giorno Lui ci dice 'eccomi, sono qua'.
Noi lo possiamo incontrare sulle nostre strade. Solo che ha il volto di uno qualsiasi, l'aspetto comune di una persona che incontro o che mi ferma per strada.
Lui ci da un appuntamento nell'imprevedibile, ci chiede che il nostro cuore sia attento alle persone. Lui si rivela attraverso il "sacramento del fratello".
Ha deciso di rimanere in mezzo a noi, con noi, e noi dobbiamo 'ri-conoscerlo', cioè conoscerlo di nuovo ogni volta. Perché ogni incontro può essere un incontro col Vivente, col Risorto. Ogni incontro è sorpresa, novità.
Ogni incontro può essere un'apparizione.

«Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero»
Pasqua è il dono della luce, è un dono che si riceve con gli occhi.
Giovanni ci ricorda che quando Gesù è venuto in mezzo a noi, "il mondo non l'ha riconosciuto" (Gv 1, 10). E adesso che ha deciso di rimanere, il peccato diventa quello di tenere gli "occhi chiusi". Non è Lui che è assente, che non ascolta le nostre preghiere, che è in ritardo sulle nostre richieste. Siamo noi che non lo riconosciamo perché teniamo gli occhi chiusi.
«si fa sera e il giorno è ormai al tramonto»
Apri i nostri occhi, Signore, aprili alla tua luce. Luce che non abbaglia, luce che ci dona il tuo sguardo che è pieno solo di amore infinito.


(At 2,14.22-33; Sal 15; 1Pt 1,17-21; Lc 24,13-35)


13 aprile 2023

Uno di noi, uno che non c'era - 16/4/2023 - II Domenica di Pasqua

Gesù Risorto e Tommaso
Collegio Stella Maris - La Gavia - Madrid (Spagna)
(mosaico - Centro Aletti)



La Chiesa appena nata fa subito esperienza delle difficoltà della missione: gli Apostoli non riescono a 'convincere' neanche uno dei loro! Parlano bene, di un fatto che hanno vissuto, ma non sono convincenti. E se non 'convertono' neanche uno dei loro, come potranno convertire il resto del mondo?
Quando i miei figli hanno detto che avevano iniziato il rapporto con le ragazze che poi saranno diventate le loro mogli, avevano lo sguardo, il modo di parlare, tutto l'atteggiamento del corpo, che esprimevano tutta la loro gioia e la loro felicità. Più che le parole, era tutta la loro persona che parlava, che convinceva.
Agli Apostoli mancava ancora questa gioia profonda, questo amore traboccante. Mancava ancora lo Spirito Santo.
Non bastano le belle parole per convincere. Occorre anche che tutta la nostra vita parli, tutta la nostra persona viva e comunichi il nostro amore.

Tommaso è uno di noi. È un uomo del nostro tempo che viveva 2000 anni fa. Lui ha già la mentalità di oggi: conta solo ciò che si può misurare, pesare, toccare, analizzare, calcolare. Se una cosa non la puoi trovare in una provetta, o con una ricerca su internet, o se non è una voce della busta-paga, non conta, non esiste.

Dio non si scandalizza di questo nostro modo di pensare. Gesù non condanna Tommaso (e noi con lui). Lui è disposto a soddisfare la sua curiosità, il suo bisogno di concretezza: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!»
Ma quando Gesù va verso di lui, Tommaso rinuncia ad ogni verifica è dà la grande risposta, la più grande proclamazione di fede del Vangelo: «Mio Signore e mio Dio!»
È la risposta di un uomo trasformato dall'incontro profondo col Signore, la risposta di una persona purificata, che non ha più bisogno di toccare con le mani perché è stato toccato nel cuore.

E a questo punto c'è l'unica benedizione narrata da Giovanni: «beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». È la benedizione dei credenti, la nostra benedizione.

Poi Giovanni spiega lo scopo del suo Vangelo. Non è un libro scritto per soddisfare la curiosità o per aumentare la nostra conoscenza. È stato scritto per alimentare la nostra fede, per farci crescere nella fede, per sostenerci nel nostro cammino di fede.
E in questo cammino un buon compagno può essere proprio Tommaso, colui che 'non c'era'. Perché lui è come noi, non cade subito in ginocchio, non si fida, ha dei dubbi e delle resistenze, ha i 'piedi pesanti' e che fanno fatica a sollevarsi da terra, tarda ad arrendersi. Anche lui come noi ha tanto bisogno dell'infinita pazienza di Dio. Ma è proprio per tutto questo che alla fine usa le parole più semplici per dire la cosa più grande: «Mio Signore e mio Dio!»


(At 2,42-47; Sal 117; 1Pt 1,3-9; Gv 20,19-31)


06 aprile 2023

Gesù ci precede sempre - 9/4/2023 - Domenica di Pasqua - Risurrezione del Signore

Cristo Risorto
Chiesa Beato Claudio - Chiampo (VI)
(mosaico - Centro Aletti)


È Pasqua.

Nel Vangelo di questa notte, l'angelo del sepolcro ci annuncia che Gesù non è più qui, che ci precede in Galilea (Mt 28, 7).

Sempre così con Gesù: non è mai dove ce lo aspettiamo, non è mai dove lo cerchiamo. Fin dall'inizio ci ha detto "seguimi". Lui è sempre avanti, oltre i nostri limitati orizzonti, oltre le nostre paure, ma anche oltre i nostri sogni più rosei.
Invece a noi farebbe molto comodo un Dio che stesse fermo, che ci desse la possibilità di sapere sempre dov'è, che ci permettesse di pensare: "L'ho raggiunto. Sono arrivato. Adesso posso sedermi e riposare".

Per fermarlo, per bloccarlo, facciamo di tutto: l'abbiamo messo in croce, sperando che dei chiodi gli impedissero di muoversi; l'abbiamo messo in un sepolcro, sperando che una grossa pietra gli impedisse di andarsene in giro per il mondo.

Ma tutto questo non è stato sufficiente. Lui non si lascia di certo bloccare da noi, dal nostro egoismo e dai nostri piccoli interessi.
Lui ci precede sempre, e noi dietro ad arrancare appesantiti dalle nostre false certezze e dalle nostre infime sicurezze.

Che questa Pasqua sia l'inizio di un viaggio dietro a Lui verso le braccia del Padre protese per abbracciarci.



Auguro a tutti una Buona Pasqua, e lo faccio con queste parole di santa Madre Teresa di Calcutta:
Quando sentite nel cuore la sofferenza, ricordate che dovrà venire la risurrezione: dovrà spuntare l'alba della gioia di Pasqua.
Non permettete mai ad alcuna cosa di colmarvi di dolore a tal punto da farvi dimenticare la gioia del Cristo risorto.



Veglia della notte
(Rm 6,3-11; Mt 28,1-10)

Messa del giorno
(At 10,34a.37-43; Sal 117; Col 3,1-4; Gv 20,1-9)