24 giugno 2021

Piccoli gesti pieni di vita - 27/06/2021 - XIII Domenica tempo ordinario


 

Il Vangelo di oggi si svolge tra un periodo di tempo, "12 anni", e un gesto, "toccare".

Nella Bibbia il numero 12 rappresenta la totalità (le 12 tribù di Israele che sono tutto il popolo israelita). Quindi dire che la prima donna del brano di oggi era ammalata da dodici anni, è come dire che era ammalata da sempre: da dodici anni era considerata impura, era emarginata e costretta a evitare ogni contatto sia sociale che fisico. Possiamo ben capirla noi che per un solo anno e mezzo circa abbiamo dovuto evitare non solo gli abbracci, ma anche una semplice stretta di mano! Lei, per 12 anni, per la società e la famiglia, era come fosse morta.
Ma 12 anni era anche l'età che a quel tempo segnava l'ingresso nella vita sociale. I maschi diventavano adulti, e le femmine si sposavano. La figlia del capo della sinagoga invece di entrare nella vita era entrata nella morte.
Due donne entrambe colpite a morte, una quella sociale e l'altra quella biologica, quindi entrambe sono impure e intoccabili. Ma tutte e due vengono chiamate "figlie", ambedue vengono "guarite e salvate". Ma per farlo Gesù trasgredisce le leggi e le tradizioni. Quando Gesù deve scegliere tra la vita e la legge sceglie sempre la vita!

Gesù non ama la vita solo a parole, ma anche a gesti. E in questo brano del Vangelo c'è un gesto molto piccolo: toccare. Per quattro volte troviamo questo verbo e poi ancora si dice «vieni a imporle le mani» e che Gesù «prese la mano». Toccare è la forma primordiale di conoscenza, è percezione e superamento del limite di ciascuno, momento di comunione e comunicazione, esprime reciprocità, condivide e scarica le tensioni e le emozioni. È carezza, è sostegno, è consolazione.
La donna del Vangelo (di cui non si dice il nome, e quindi ci può rappresentare tutti, le possiamo tranquillamente dare il nostro nome) sente che Gesù è la sua unica speranza e si fa coraggio nel compiere un gesto che nella mentalità religiosa di quel tempo era una vera e propria trasgressione: anche se rischia di essere messa a morte perché come impura tocca un maestro e uomo, lei ci prova lo stesso. Sente che Gesù è capace di accoglienza, che sa comprendere il suo dolore. Con un lieve tocco è passata dalla religione alla fede.
Gesù si accorge di questo tocco anche in mezzo alla folla. "Sente" la donna anche di più di quanto senta i discepoli che gli sono vicini fisicamente. La donna nascosta non tocca solo il mantello, ma soprattutto tocca il cuore di Gesù, e Gesù non rimane indifferente a questa povertà e fiducia insieme.
E poi c'è la ragazzina dodicenne. Nelle icone della discesa agli inferi si vede Gesù che prende Adamo ed Eva per il polso e li porta in cielo. Il polso è dove si sente il battito del cuore, e quando Dio ti prende per il polso, quando ti prende per mano, ti richiama alla vita, ti dona la sua vita. In questo gesto di Gesù c'è anticipata, c'è ricapitolata tutta la sua vita, la sua missione: donare la sua vita e portare gli esseri umani alla vita piena.

Un'ultima cosa colpisce: né la donna né la ragazza vengono salvate per loro meriti. Dio non salva premiando i buoni, ma donando la sua grazia ai disperati. La grazia di Dio non è un premio per quelli che sono bravi, ma un rimedio per quelli che fanno fatica; se non fosse così, il paradiso sarebbe terribilmente e desolatamente vuoto.


(Sap 1,13-15; 2,23-24; Sal 29; 2Cor 8,7.9.13-15; Mc 5,21-43)


17 giugno 2021

Le tempeste dalla vita - 20/06/2021 - XII Domenica tempo ordinario

 


Le tempeste fanno parte della vita, e ce ne sono di tutti i tipi: da quelle lievi, col sole e l'arcobaleno, a quelle con tuoni, fulmini, nuvole nere e pesanti che sembrano schiacciarti a terra.
E poi ci sono quelle che ti prendono di notte, quando già tutto sembra più terribile e difficile. Quelle che ti scuotono fin nel profondo, ti sbatacchiano talmente forte che anche la speranza schizza via lontano e non la trovi più. Quelle che ti fanno pensare che il sole non sorgerà più, che ti fanno sentire abbandonato da tutti, anche da Dio.
E anche tu, come gli Apostoli, rimproveri Dio, lo accusi: "Non ti importa più niente di me?"

Ci sono rimproveri, accuse, che rivolgiamo a Dio che in realtà sono delle preghiere stupende. Sono delle preghiere perché indicano che in fondo Dio ha un posto grande nel nostro cuore, che sappiamo che la nostra vita è nelle sue mani; forse Lui si è solamente addormentato, ma noi non ci siamo dimenticati di Lui. Siamo come bambini che nel momento della paura si mettono a chiamare la mamma e il papà con le lacrime agli occhi.

Sono momenti difficili, di solitudine estrema. È proprio in un momento come questo che Gesù, vero Dio fatto uomo, ha gridato "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mc 15, 34). Dio ci capisce benissimo. In quei momenti soffre per noi e con noi. Anche se noi non lo sentiamo, anche se ci sembra in tutt'altre faccende affaccendato, anche se ci sembra stia russando sul cuscino a poppa.

Una cosa colpisce: sono tutti gli apostoli che svegliano Gesù, non uno solo.
Da quei momenti non si esce da soli, la notte va superata in unione con gli altri. Accettare l'aiuto, anche maldestro e impacciato, è importante. È vero che l'altro non ti potrà mai capire fino in fondo, ma c'è, è presente. È lì per te, che soffre assieme a te, non a causa di te.

E anche chi è vicino a persone che stanno passando queste tempeste è importante che sappia ascoltare, sappia accettare il fatto che spesso non può fare niente altro. In certe situazioni non esistono parole giuste, anzi, a volte tutte le parole sono sbagliate. Esistono però la tenerezza, la vicinanza.

Non è vero che Dio non risponde. Il fatto è che Lui non risponde come noi vorremmo. E a volte le persone che sono vicine sono la risposta, Lui si fida talmente di noi da farci sua risposta.


(Gb 38,1.8-11; Sal 106; 2Cor 5,14-17; Mc 4,35-41)


10 giugno 2021

Sentire il grano crescere e vedere la Parola annunciata - 13/06/2021 - XI Domenica tempo ordinario

 


Il vero protagonista del Vangelo di oggi è il semplice seme. Una realtà piccola, apparentemente insignificante, ma con una potenzialità grandissima. Un superconcentrato di vita.

E Gesù, parlandoci del Regno come di un seme, non vuole indicarci una generica speranza. Vuole invece invitarci, spronarci a scoprire l'azione del seme, la sua potenza che sta agendo in questo stesso momento.
Perché il Regno è presente, avviene già adesso. Questo è il fatto decisivo. Ed è essenzialmente potenza di Dio, non azione dell'uomo. Si sta manifestando anche nell'assenza di segni esteriori, cresce e lavora anche se sembra non succeda niente.
La forza del seme non gli viene dall'azione del contadino, la possiede in sé. La forza del Regno non viene dalle nostre azioni, la possiede in sé.
Il credente, come il contadino, è uno che tutto questo lo 'sa'. Lo sa, ma non sa il 'come'.

La parabola non ci dice cosa dobbiamo o non dobbiamo fare. Ci dice cosa sta facendo il seme. Ci ricorda che non siamo noi i costruttori del Regno, né tanto meno i progettisti o i direttori dei lavori. Noi siamo chiamati a offrire delle possibilità al Regno.
E a volte la possibilità più grande può essere quella di non intralciare, di non infilare tra i progetti di Dio i nostri bozzetti.

Il contadino della parabola è un esempio. Lui dorme o sta in piedi a seconda che sia notte o sia giorno. Ecco, anche noi siamo chiamati a vivere il momento presente, a leggere i 'segni dei tempi' per trovare il seme che qui e adesso sta germinando. A ricordarci che se Dio ci ha messo in questo tempo è perché è in questo tempo che dobbiamo vedere il seme che cresce, non in un passato che non c'è più, né in un futuro che non ci appartiene.
È necessario adoperare diversamente i nostri sensi. Dobbiamo sentire il grano che cresce, dobbiamo vedere la Parola che viene annunciata.

Dobbiamo riuscire a contemplare il fatto che la debolezza è la forza del seme, che la vulnerabilità è la sua potenza.


(Ez 17,22-24; Sal 91; 2Cor 5,6-10; Mc 4,26-34)


03 giugno 2021

Possiamo diventare Amore - 06/06/2021 - Santissimo Corpo e Sangue di Cristo

 


«Prendete, questo è il mio corpo»
Prendere, afferrare, è questo che ci chiede Gesù. Un verbo molto fisico, che chiede un contatto molto ravvicinato, molto 'intimo'. A Gesù, a Dio, non è stato sufficiente scendere dal cielo e venire a vivere in mezzo a noi, non gli è bastato lasciare la sua gloria e prendere un corpo umano. La sua sete d'amore non si è ancora placata. Vuole, ha bisogno di entrare dentro di noi, di farsi nostra carne, di arrivare ad ogni cellula di ogni essere umano.
E questo lo poteva fare solo facendosi cibo. Ma non cibo raffinato, riservato a pochi eletti, bensì cibo comune, che si trova sulle tavole di tutti, su quella del re come su quella del carcerato. Non era sceso abbastanza in basso con l'incarnazione. Per raggiungere veramente tutti, per essere tutto in tutti, si è fatto cibo, pane condiviso in una tavolata di amici.

Gesù non è sceso sulla terra per sconfiggere il male, per castigare i peccatori. Lui è il grande seminatore, è sceso tra di noi per seminare il Paradiso sulla terra, per piantare Dio in ogni essere umano. Il nostro rispetto, la nostra venerazione non gli bastavano, non erano abbastanza.
E allora ci ha chiesto di mangiarlo, di mangiare il suo corpo condiviso. "Ti mangerei di baci" si dice ad un bambino piccolo, e Gesù ci ha preso in parola, si è fatto piccolo per farsi mangiare.

Prendere e mangiare. È il Creatore che chiede alla creatura un abbraccio, chiede il permesso di diventare una cosa sola. San Leone Magno diceva: "partecipare al corpo e al sangue di Cristo non tende ad altro che a trasformarci in quello che riceviamo". Ricevendo Dio, che è Amore, noi possiamo diventare Amore.
E allora il 'prendere' e il 'mangiare' si trasformano in un unico verbo, in un'unica azione: donarsi.


(Es 24,3-8; Sal 115; Eb 9,11-15; Mc 14,12-16.22-26)