25 agosto 2022

Un Dio 'capovolto' - 28/8/2022 - XXII Domenica tempo ordinario

Il Banchetto Celeste
Catacomba di San Callisto - Roma


Questo brano del Vangelo è tutto un gioco di sguardi. Gli invitati osservano Gesù e Gesù osserva gli invitati. Ma sono sguardi molto diversi. Gli invitati osservano per cogliere in fallo. Gesù per trovare la strada per aprire i cuori all'amore di Dio («non sono venuto per condannare, ma per salvare» Gv 12,47).

Gesù nota che i farisei sono anche loro, dentro di sé, pieni di ambizione. Non si accorgono però che il loro zelo per Dio, a poco a poco, si è trasformato in ricerca della propria affermazione. E allora Gesù cerca di correggerli citando un brano del libro dei Proverbi che loro dovrebbero conoscere bene: «Non darti arie davanti al re e non metterti al posto dei grandi, perché è meglio sentirsi dire: "Sali quassù", piuttosto che essere umiliato davanti a uno più importante» (Prov 25,6-7).
Non dice questo per umiliarli né tanto meno per dettare un nuovo galateo, ma per ricordare, a loro come a noi, che l'ultimo posto non va scelto per umiltà o modestia, né tanto meno per 'farsi vedere'. Va scelto per amore: mi metto ultimo perché tu venga prima di me, tu abbia il meglio prima di me!

L'ultimo posto non è umiliante, è il posto di Dio. È il posto per chi vuole agire come Gesù, che è venuto per servire e non per essere servito. Gesù ci ricorda che il Dio che ci svela, è un Dio 'capovolto', che non se ne sta su nei cieli ad aspettare che noi arriviamo fino a Lui, ma che scende fin sotto i nostri piedi per poterci, da sotto, sollevare fino al suo Regno.

Gesù ci invita, come diceva don Tonino Bello, a "opporre ai segni del potere il potere dei segni". Il linguaggio dei gesti lo capiscono tutti, perché è una lingua che va da un cuore ad un altro cuore. E certi gesti ribaltano totalmente la nostra scala di valori, creano una vertigine, un'inversione di rotta nella nostra storia, aprono la strada per un nuovo modo di abitare la terra. Sono veramente la primizia del Regno.

Ecco perché quando accogli chi non viene accolto, chi viene calpestato, «sarai beato perché non hanno da ricambiarti». La vera gioia la trovi quando fai le cose non per interesse, ma per generosità.
L'uomo per star bene deve dare. È la legge della vita. Perché è anche legge di Dio.
È il segreto delle beatitudini: Dio regala gioia a chi produce amore.


(Sir 3,17-20.28-29; Sal 67; Eb 12,18-19.22-24; Lc 14,1.7-14)


18 agosto 2022

Una porta fatta su misura per noi - 21/8/2022 - XXI Domenica tempo ordinario

Salita al Sinai - porta di S. Stefano
(foto A. Pronzato)


La porta è stretta non perché sia particolarmente piccola o angusta, ma perché è stata fatta proprio a nostra misura. Il Signore ha fatto per ognuno di noi una porta personalizzata, adatta a noi e a nessun altro.
Ci ha fatto una silhouette, una fotografia in contro luce, e sulla base di questa ha intagliato la nostra porta.
Solo che in quel momento eravamo nudi, senza niente addosso, eravamo solamente noi stessi.
È per questo che la porta è stretta, perché è giusta al decimo di millimetro, ma per passarci dobbiamo lasciare andare tutte le 'cose' che abbiamo accumulato nel corso della nostra vita.

Dobbiamo lasciar andare le cose materiali, cioè le ricchezze e gli oggetti a cui ci siamo legati, ma anche i brandelli di potere e prestigio più o meno gradi che abbiamo raggiunto, tutte le maschere che abbiamo indossato per celare le nostre debolezze e le nostre paure, tutti i ruoli di cui ci siamo rivestiti per prevaricare e scavalcare gli altri.

«Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze». Dobbiamo lasciar andare anche tutti quelli che riteniamo i nostri meriti. Tutte le Messe, le preghiere, le pratiche religiose fatte solo per 'salvarci'. Dobbiamo aver imparato a passare dal praticare una religione al vivere una fede.
E infine dobbiamo abbandonare anche tutte le nostre 'buone azioni'.

Davanti a Dio ci si deve presentare a mani vuote. Vuote perché abbiamo donato tutto.
Perché solo se abbiamo le mani vuote Lui ce le può riempire di doni, solo a mani vuote possiamo rispondere al Suo abbraccio e abbracciarlo a nostra volta.
Perché Dio, e la salvezza, non si meritano, si accolgono.


(Is 66,18-21; Sal 116; Eb 12,5-7.11-13; Lc 13,22-30)


11 agosto 2022

Il fuoco della vita - 14/8/2022 - XX Domenica tempo ordinario

Il roveto ardente
Nostra Signora di Aparecida - Brasile
(mosaico - Centro Aletti)



«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra»
Troppo spesso nel corso della storia i cristiani hanno interpretato queste parole come un invito a bruciare i nemici, i peccatori, coloro che non si conformavano al 'pensiero corrente'.
Invece il fuoco che è venuto a portare Gesù è il fuoco dell'amore, il fuoco della vita. "La vita xe fiama" diceva il poeta Biagio Marin. È il fuoco dello Spirito, quelle fiamme che la mattina di Pentecoste si sono posate sugli apostoli e che li hanno resi capaci di portare la Buona Novella in tutto il mondo. È il roveto ardente che lo Spirito accende lungo le strade della nostra vita.

«Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione»
Sembra che ci sia una contraddizione tra questa frase e il Gesù che chiede di amare i nemici (Mt 5,44), di benedire chi ci maledice (Lc 6,28), che ha pregato fino all'ultimo per l'unità, «perché siano una cosa sola» (Gv 17, 11), che ha dato il nome di diavolo, cioè 'divisore', al peggior nemico dell'uomo.
Tutta la vita pubblica di Gesù è stata un segno ci contraddizione, una pietra d'inciampo per i 'benpensanti'. Il suo messaggio, il suo Vangelo, è una sconvolgente liberazione. Liberazione per le donne sottomesse e schiacciate dal maschilismo; per i bambini proprietà dei genitori; per gli schiavi in balia dei padroni; per i lebbrosi, i ciechi, i poveri, gli stranieri.
Dio non è neutrale, ma si mette sempre dalla parte dei più deboli. E Gesù fa di un bambino il modello di tutti, dei poveri i prìncipi del suo regno, dei derelitti e degli emarginati gli invitati al suo banchetto di nozze.
Gesù vuole risvegliare la nostra coscienza, rompere le nostre 'paci' fatte di sopraffazione degli altri, di cancellazione delle voci che non ci piacciono, di negazione delle parole che non ci fanno comodo.
Donarsi, perdonare, non attaccarsi al denaro o alle cose, non voler dominare ma servire, diventa divisione con chi pensa a vendicarsi, salire, dominare, con chi pensa che è vita solo quella di chi riesce a mettere i piedi sulla testa degli altri.

In fondo è questo il fuoco che Gesù vorrebbe fosse acceso: il fuoco del Vangelo che ci fa voce di chi non ha voce, che ci fa lottare per la giustizia, che non ci fa restare passivi, arrendevoli di fronte all'ingiustizia, alla violenza, alla prevaricazione.


(Ger 38,4-6.8-10; Sal 39; Eb 12,1-4; Lc 12,49-53)


04 agosto 2022

Dio è contento di donarci il Regno - 7/8/2022 - XIX Domenica tempo ordinario

Angelo (particolare)
Santa Maria del Campo - Ljubljana-Polje (SLO)
(mosaico - Centro Aletti)



La prima parte del Vangelo di oggi (che purtroppo non viene letta se viene proclamata le versione breve) è quella che mi tocca di più.
Gesù, nel suo viaggio verso Gerusalemme, continua la catechesi rivolta soprattutto ai discepoli, ma anche alla folla.

«Non temere, piccolo gregge». In quattro parole Luca riesce a condensare tutta le tenerezza di Gesù, tutto l'amore di Dio per l'umanità.
Qui c'è tutta la maternità di Dio, tutte le sue viscere che fremono di compassione e d'amore per tutti i suoi figli, per tutti noi.
E questa tenerezza si premura subito di darci una bellissima notizia: Dio è contento di donarci il Regno. Non dobbiamo fare imprese eroiche, sacrifici indicibili, per avere il Regno di Dio, cioè Dio stesso. È Lui che ce lo dona, dobbiamo solo accogliere questo regalo.
E se noi accetteremo questo dono, se ne faremo il nostro tesoro, allora riusciremo a fare tanto bene. Perché il bene che facciamo non è il prezzo da pagare per avere il Regno, ma il segno che abbiamo accolto il dono del Regno.

«Dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore»
Le cose non sono neutre, se noi mettiamo il nostro cuore nelle cose, un po' alla volta siamo noi che diventiamo 'cosa', che perdiamo la nostra umanità. Non siamo più persone ma oggetti, merce di scambio in mano ai potenti e ai violenti.
Ma se noi mettiamo il nostro cuore in Dio, allora diventiamo sempre più simili a Lui, sempre più capaci di operare come Lui, di amare come Lui. Sempre più persone libere, soprattutto dalle paure.

Ma Gesù ci invita anche ad un'attesa che deve essere vigilante, ma senza essere angosciata. Dio ci vuole attivi, ma sereni, mai agitati.
Si tratta di imparare ad attendere. Letteralmente, attendere vuol dire 'tendere verso', cioè essere proiettati verso una meta, verso un futuro. Dobbiamo essere tesi verso il futuro, ma allo stesso tempo essere testimoni della speranza. Il cristiano è uno rivolto al futuro, ma impegnato nel presente. "L'unica maniera per essere fedeli all'eternità è di essere attuali" scriveva un romanziere francese.
Non si tratta di scegliere tra cielo e terra. Si tratta di permettere che il cielo mandi la sua luce su questa terra. Le «lampade accese» (cioè la fede) che ci sono affidate dal Vangelo, non servono solo ad attendere il Signore, ma anche ad illuminare la 'casa' in cui ci troviamo. A farci vedere meglio, a illuminare le nostre scelte, rendere meno precaria la nostra strada.
Le lampade accese non servono ad illuminare la strada verso il cielo, ma a non smarrirci per i sentieri intricati di questa terra.


(Sir 24,1-4.12-16; Sal 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18)