27 luglio 2023

Tendere alla pienezza del tutto - 30/7/2023 - XVII Domenica Tempo Ordinario




Gesù cerca di spiegare la realtà, un po' misteriosa, del Regno di Dio. E lo fa attraverso le parabole, con una serie di immagini diverse tra loro: la seminagione, un pugno di lievito che fa fermentare una massa di farina, la scoperta di un tesoro nascosto, la ricerca di una perla preziosa, ecc ...
Di fatto nessuna di queste immagini corrisponde all'idea che noi abbiamo di un regno. Pensando ad un regno noi abbiamo in mente qualcosa di ordinato, di potente, di forte e ben organizzato. Qualcosa di fisso, di stabile. Che incute timore e rispetto.
Il Regno che ci presenta Gesù invece non è qualcosa da 'contemplare', qualcosa di già fatto e definito, messo li a nostra disposizione, soltanto da consumare.

Gesù ci presenta il Regno come una realtà dinamica, non statica. Una realtà che richiede che la cerchiamo, che camminiamo, che vuole che ci diamo da fare, scegliamo, decidiamo, ci impegniamo, sacrifichiamo anche qualcosa. Tutte cose di cui faremmo volentieri a meno.
Proprio le due parabole del tesoro nascosto in un campo e della perla di grande valore, mettono in evidenza alcune linee caratteristiche del Regno.

Il primo punto penso lo si possa individuare nel senso della scoperta. E la scoperta presuppone una ricerca, un'esplorazione, un'attenzione alla realtà che ci circonda.
La verità è offerta a tutti. Ma non ci viene messa a disposizione sotto il naso su di un piatto d'argento. Cercare costituisce la condizione essenziale per trovare. Bisogna avere il cuore e la mente aperti alla meraviglia, all'incontro inaspettato. Solo questo ci permette di 'scoprire' il grande tesoro nascosto.
Ed è una scoperta tutt'altro che marginale, si tratta di qualcosa di essenziale, che può cambiarmi la vita, determinare una svolta imprevista, dare un'impronta totalmente diversa alla mia esistenza.
È una conversione. È la scoperta di un tutto, capace di riempirmi la vita, non di un elemento accessorio, un nuovo ornamento da aggiungere agli altri.

Il secondo punto nasce proprio dalla scoperta, perché aver scoperto ci pone davanti una scelta precisa. E tanto è il valore della scoperta, tanto radicale deve essere la scelta.
Aver valutato di enorme valore il tesoro, la perla, ci porta ad una decisione precisa, ma che può essere, per certi aspetti, anche dolorosa, perché richiede dei sacrifici, delle rinunce, dei distacchi.
Se il Regno di Dio è tutto, a questo tutto occorre essere disposti a sacrificare ... tutto il resto.
La scoperta rappresenta l'occasione unica, la possibilità mai avuta prima e assolutamente da non lasciarsi scappare. Questo non significa disprezzare il resto, ma solo relativizzarlo, scoprirne i limiti e vedere che il suo valore è inferiore alla scoperta. È impossibile entrare nel Regno senza passare attraverso una fase di rottura, di rinuncia, di abbandono. Ma non è una rinuncia fine a sé stessa, è una rinuncia per un qualcosa di migliore e più grande. È una rinuncia per un possesso. Il cristiano non è uno che ha 'lasciato' che ha rinunciato. È uno che ha trovato.
Il cristiano non è uno che tende al sacrificio, alla rinuncia. È uno che tende alla gioia e alla pienezza di felicità. E perciò è disposto a pagarne il relativo prezzo.
E una volta che abbiamo acquistato la perla preziosa, il tesoro nascosto, l'amore di Dio ci restituirà ciò che abbiamo 'lasciato' per Lui dopo averlo trasformato da peso ad ali per volare tra le sue braccia.


(1Re 3,5.7-12; Sal 118; Rm 8,28-30; Mt 13,44-52)




Tesori d'azzurro,
che ogni giorno, in volo ripetuto,
porto alla mia terra! Polvere dalla terra,
che ogni giorno porto al cielo!
Quanto ricche le mani della vita,
tutte piene di fiori di cielo!

Quanto pura ogni stella,
nel bruciar pene della vita!
E quanto ricco io, nel regalare a tutti
tutto quello che raccolgo
e cambio coi miei sogni!

Che gioia questo volo quotidiano,
questo libero servizio,
dalla terra ai cieli,
dai cieli alla terra!

(Juan Ramón Jiménez
premio Nobel per la letteratura 1956)


18 luglio 2023

Preservare ogni chicco di bene - 23/7/2023 - XVI Domenica Tempo Ordinario

 

è grano o è zizzania? (*)



"Se Dio esiste, da dove viene il male?" "Perché Dio permette il male?"
Domande vecchie come l'uomo, tentazioni che di fatto sono la riedizione di quelle del serpente ad Eva. E a cui, nel brano del Vangelo di oggi, Gesù cerca di dare una risposta.

Innanzi tutto dobbiamo ricordare che siamo noi il campo in cui Dio, soffiandoci il suo Spirito di vita (Gen 2, 7) ha sparso con abbondanza (ricordiamo il Vangelo di domenica scorsa) il suo buon seme. Ed è dentro di noi, dentro di me, che il nemico è riuscito a seminare la zizzania.
Il male non è un qualcosa che ci è estraneo. Il male è umano, dorme con noi, mangia alla nostra tavola, frequenta le nostre giornate, i nostri discorsi, i nostri problemi e le nostre gioie.
Dentro di noi il seme divino del bene cresce a stretto contatto con la zizzania del male. E quando queste piantine sono piccole è difficilissimo distinguerle. Il male, per prendere forza, spesso si traveste da bene, solo che è un bene minore, e a volte solo apparente.

Il mondo è un posto pericoloso non perché c'è chi fa il male, ma perché c'è chi, vedendo il male, non si decide a fare il bene. Non si può combattere il male non facendo nulla, ma neanche facendo il male, cioè rendendo 'pan per focaccia'. La nostra risposta di fronte al male è un po' come quella dei discepoli: "andiamo ad estirparla?", cioè 'partiamo alla guerra contro il male'.
Ma la risposta di Gesù ci spiazza, è un NO senza appello. Il fatto è che la nostra vista è difettosa, vediamo che c'è tanto male, ma quanto di ciò che noi reputiamo male lo è realmente?, quanto la nostra paura del male ci impedisce di vedere il bene?
"Se Dio esiste, da dove viene il male?" chiede l'uomo.
"Se Dio non esiste, da dove viene tutto questo bene?" chiede Gesù.

Il Dio seminatore azzarda molto, ma nel suo cuore la salvaguardia della più infinitesima parte di bene vale molto più dell'estirpazione totale del male. Sembra una forma pericolosa di pazzia, ma è l'Amore: nessuna forzatura alla libertà, ma solo un'infinita pazienza di attendere fino allo scadere del tempo. In quel tempo, poi, alla zizzania non verranno concesse proroghe: "Il male ha la sua ora, ma Dio ha il suo giorno" (Fulton John Sheen)


(Sap 12,13.16-19; Sal 85; Rm 8,26-27; Mt 13,1-23)

(*) quella nella foto è una spiga di zizzania

13 luglio 2023

L'importante è seminare - 16/7/2023 - XV Domenica Tempo Ordinario

Seminatore
Vincent van Gogh
(olio su tela - 1888)

 


È abbastanza normale, quando si ascolta questa parabola, passare subito alla spiegazione che viene data subito dopo e cercare di vedere quale tipo di terreno siamo noi e gli altri (dimenticando che ognuno di noi è un miscuglio di tutti i tipi di terreno). Ma non è di questo che parla Gesù, ciò che Cristo mette a fuoco, prima di tutto, è la figura del seminatore. Ed è a questa figura, ai suoi gesti, che dobbiamo prestare attenzione.

Come dicevo domenica scorsa, per Gesù non è un momento facile. Attorno a sé sente delusione e incertezza, anche nei suoi seguaci. Da una parte sembra che sia proprio Lui l'atteso, però i suoi comportamenti lasciano perplessi: non si impone, si circonda di persone che non contano, parla sempre di perdono, frequenta i peccatori, si mostra comprensivo verso coloro che andrebbero condannati duramente secondo la Legge. La sfera politica pare non interessarlo, parla di Regno, ma evita di affrontare la questione della dominazione romana.
Allora, come adesso, vorremmo un Dio che definisse esattamente le posizioni: da questa parte i giusti, da quell'altra i farabutti. Vorremmo, adesso come allora, che Dio eriga un muro invalicabile tra i buoni (chi la pensa come noi) e i cattivi (chi non la pensa come noi).

Gesù, con la parabola del seminatore (attenzione, non dice UN seminatore, ma IL seminatore, identificandosi quindi con questa figura), spiega il significato autentico della propria persona e della sua missione. Vuole dire: «sì, io sono il Messia, ma non nello stile che pensate voi. Non sono venuto a giudicare, ma a salvare. Non sono stato mandato a sistemare le cose, ma a iniziare qualcosa. Il mio compito non è quello di tirare le somme, ma di dare l'avvio. Il tempo che io inauguro non è il tempo del giudizio, ma della pazienza. La mia missione è sotto il segno della semina, non della mietitura».
È una parabola che riguarda il presente, ci dice che il Regno di Dio è già qui anche se nascosto, e viene in abbondanza nonostante gli apparenti insuccessi. Questa è la parabola del "lieto inizio". Non è importante sapere come andrà a finire la semina. È la semina che è importante, non il raccolto.

Cristo ci dice che il Regno è una semina, Lui è "uscito", cioè si è incarnato, proprio per questo. Seminare è il suo compito.
Questo ci invita a non badare alle apparenze. Il premio non è nel raccolto più o meno abbondante, il premio è nel seme, il risultato è già presente negli inizi. La 'messe' è già nei semi, la 'messe' è lo stesso gesto del seminare.

Un'altra osservazione. Il seminatore non sceglie il terreno, non decide qual è il terreno fertile e quello sfavorevole, quello da cui ci si può aspettare qualcosa, e quello per cui non vale la pena darsi da fare, quello dove buttare più semi, quello dove gettarne meno e quello dove cercare di evitare che cadano i semi. Il terreno rivela la sua qualità dopo la semina, non prima.
Dobbiamo spargere la Parola dovunque, dobbiamo imparare a 'sprecare' la semente. Non dimentichiamo che il seme, che è la Parola di Dio, ha anche il potere di trasformare il terreno, può sfaldare le rocce, aprirsi un varco sulla strada battuta fin alle profondità dell'essere umano. Non è detto che il seme si rassegni alle condizioni che trova.
La Parola è creatrice, anche del terreno. Basta lasciarla operare.
È la Parola che può trasformare il "cuore di pietra" in "cuore di carne".
La semente va veramente sprecata soltanto quando rimane nelle mani chiuse di un seminatore 'ragionevole', che non esce per non mettere in pericolo la Parola. E non s'accorge che bisogna, invece, mettere in pericolo il terreno.

Una volta la frase finale veniva tradotta «Chi ha orecchi, intenda». Bisogna "in-tendere", ossia tendere in direzione di Qualcuno. Essere affascinati da Lui. Rivolgersi a Lui con tutto il proprio essere.
Bisogna convertirsi ogni momento, cioè 'volgersi verso...', tendere verso Gesù, in modo da riuscire, alla fine, a capirlo.



Don Camillo spalancò le braccia:
- “Signore, cos’è questo vento di pazzia? Non è forse che il cerchio sta per chiudersi e il mondo corre verso la sua rapida autodistruzione?”
- “Don Camillo, perché tanto pessimismo? Allora il mio sacrificio sarebbe stato inutile? La mia missione tra gli uomini sarebbe fallita perché la malvagità degli uomini è più forte della bontà di Dio?”
- “No Signore. Io intendevo soltanto dire che oggi la gente crede soltanto in ciò che vede e tocca. Ma esistono cose essenziali che non si vedono e non si toccano: amore, bontà, pietà, onestà, pudore, speranza. E fede. Cose senza la quali non si può vivere. Questa è l’autodistruzione di cui parlavo. L’uomo, mi pare, sta distruggendo il suo patrimonio spirituale. L’unica vera ricchezza che in migliaia di secoli aveva accumulato […] Signore, se è questo che accadrà, cosa possiamo fare noi?”
Il Cristo sorrise:
- “Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa fertile dal limo del fiume, il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pace, vita e speranza. Bisogna salvare il seme: la fede …”

Giovannino Guareschi, Don Camillo e i giovani d’oggi.


(Is 55,10-11; Sal 64; Rm 8,18-23; Mt 13,1-23)


06 luglio 2023

Uno stupore quotidiano - 9/7/2023 - XIV Domenica Tempo Ordinario

... e sboccia lo stupore
(foto J.C.)



Se leggiamo i versetti che precedono in questo capitolo il brano di oggi, scopriremmo che Gesù è in un momento molto sfavorevole: il Battista è stato appena incarcerato e cresce l'ostilità della gerarchia contro di lui, tanto che le parole subito precedenti sono una serie di "Guai a te" rivolto alle città dove aveva compiuto i suoi prodigi e che non si erano convertite. Proprio in questo momentaccio Gesù se ne esce con un'esclamazione di gioioso stupore: «Ti rendo lode, Padre, perché queste cose le hai rivelate ai piccoli».

L'incontro con il Dio che fa nuove tutte le cose dovrebbe aprirci allo stupore. "Stupore di un amore" diceva fr. Roger. Dovremmo aprirci a trovare il meraviglioso in ciò che ci circonda, al di là delle preoccupazioni e delle batoste che la vita ci infligge. "Io continuo a stupirmi. È la sola cosa che mi renda la vita degna di essere vissuta" scriveva Albert Einstein. Oltre al pane quotidiano, nel Padre Nostro, dovremmo chiedere anche lo stupore quotidiano. Necessitiamo di almeno un boccone di meraviglia quotidiana.

Ma non una meraviglia qualunque, bensì la meraviglia dei piccoli, dei bambini. L'attrice Gracie Allen ha detto "quando sono nata ero così sorpresa che non ho parlato per un anno e mezzo". È questa la meraviglia di Gesù, la meraviglia di un bambino di fronte al mai visto, ad un dono inatteso, al volto di una persona cara.

Meraviglia che non viene dal nostro sapere o dalla nostra intelligenza, ma viene dal nostro cuore. Il nostro valore non è dato dalla misura della nostra sapienza o della nostra intelligenza, ma dalla grandezza del nostro cuore. Più il nostro cuore si aprirà a tutto ciò che ci circonda e avremo un atteggiamento di delicatezza, di rispetto verso ogni creatura che ci avvicina che sia mendicante, straniero, sconosciuto, più troveremo motivi perché lo stupore sia più forte del lamento.

«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» Ecco un altro motivo di stupore: Gesù non viene con obblighi e divieti, ma offrendo un bicchiere di acqua fresca, un boccone di pane, un abbraccio e un sorriso. Gesù non è venuto a portare nuove norme o nuovi dogmi. È venuto a portare una promessa: il Regno di Dio è vicino ed è un regno di pace e di gioia. È un regno pieno della vita di Dio donata a noi. È invito ad entrare nell'abbraccio della Trinità.
Perché Dio non è un concetto, non è una regola o un sapere intellettuale: è cuore dolce e straboccante di vita.
Nel linguaggio biblico 'giogo' indica la legge. Gesù quindi vuol dire: prendete su di voi la mia legge, cioè l'amore.
Abbraccia in te l'amore: è un re che non ferirà mai il tuo cuore, ma che è instancabile nel partorire, curare, confortare, vivificare, dare ristoro.
L'amore non è uno fra i maestri, è il maestro di una vita che abbia dentro il gusto e la fragranza di Dio.



Per favore, non rubatemi
la mia serenità.

E la gioia che nessun tempio
ti contiene,
o nessuna chiesa
t'incatena:

Cristo sparpagliato
per tutta la terra,
Dio vestito di umanità:

Cristo sei nell'ultimo di tutti
come nel più vero tabernacolo:

Cristo dei pubblicani,
delle osterie dei postriboli,
il tuo nome è «colui
che-fiorisce-sotto-il-sole»
(David Maria Turoldo)


(Zc 9,9-10; Sal 144; Rm 8,9.11-13; Mt 11,25-30)