23 marzo 2023

Le lacrime di Dio - 26/3/2023 - V Domenica di Quaresima

La resurrezione di Lazzaro
Giotto (affresco)
(Cappella degli Scrovegni - Padova)



Come sempre il Vangelo di Giovanni è molto ricco di messaggi e significati, ma un particolare mi ha sempre colpito. È un particolare che mostra più di mille parole il grado di intimità e profonda partecipazione con cui Gesù vive il rapporto con l'umanità:
«"Dove lo avete posto?". Gli dissero: "Signore, vieni a vedere!". Gesù scoppiò in pianto. »
Mi colpiscono molto queste lacrime, questo pianto dirotto. Un Dio che prima "si commuove profondamente" e si "turba molto" e poi scoppia in pianto non si era mai visto!
Un Dio così, che piange la morte di un amico, che non si vergogna di apparire umano, che non nasconde i propri sentimenti, è un Dio che senti molto vicino al tuo cuore. È un Dio su cui sai di poter contare sempre. È un Dio da cui ti senti capito, accolto e amato in ogni vicissitudine dalla vita, specialmente di fronte al dolore e allo scandalo della morte.
Le lacrime di Dio sono un miracolo alla pari del richiamare alla vita un morto di quattro giorni.
Quelle lacrime ci dicono che neanche Dio è d'accordo con la sofferenza. Neanche Lui accetta ad occhi asciutti il sepolcro. Neanche Lui si rassegna alla separazione.

Gesù va al sepolcro non come un essere superiore che non condivide o non capisce le nostre debolezze, ma ci va «commosso profondamente». Ed è solo dopo aver condiviso con noi e fino in fondo il nostro dolore e la nostra debolezza, che ritrova il tono del comando: «Togliete la pietra!». Ma Marta gli fa presente che il morto puzza. C'è un significato teologico dietro questo particolare.
Dopo aver creato l'uomo Dio era compiaciuto: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona/bella» (Gen 1, 31). E adesso il creatore si trova di fronte al proprio capolavoro sfregiato, che "manda cattivo odore". È il viaggio fatto dall'uomo nella sua fuga, nella sua disubbidienza, nel suo rompere il dialogo e il rapporto con Dio. Dagli spazi smisurati dell'Eden alla prigione di un sepolcro.

Ma Dio non si rassegna. A Lazzaro, come ad ognuno di noi, 'grida a gran voce' «vieni fuori!»
Vieni fuori dalle tue paure, vieni fuori da tutte le maschere che ti sei messo per nasconderti, vieni fuori da tutte le etichette che ti hanno appiccicato o che hai accettato.
Spezza le bende che impediscono al tuo cuore di volare alto, di sognare il cielo, di fremere per i fratelli e le sorelle.
La nostra resurrezione inizia già ora, quando ubbidiamo a quel comando e usciamo alla luce e alla vita.

"La lacrima di un bambino capriccioso pesa meno del vento, quella di un bambino affamato pesa più di tutta la Terra" ha scritto Gianni Rodari. Le lacrime di Dio non possiamo neanche immaginare quanto pesino. Però queste lacrime di Gesù ci parlano più di tutta la Bibbia.


(Ez 37,12-14; Sal 129; Rm 8,8-11; Gv 11,1-45)


16 marzo 2023

Baci, coccole e carezze - 19/3/2023 - IV Domenica di Quaresima - Laetare

Guarigione del cieco nato (affresco XI secolo)

Sant'Angelo In Formis - Capua CE




Nel suo Vangelo, Giovanni racconta solo sette miracoli di Gesù, segni li chiama, e a quello del cieco nato dedica tutto il nono capitolo.

C'è da notare che nessuno ha chiesto la guarigione del cieco, neanche il diretto interessato. Il miracolo è una libera iniziativa di Gesù. Ma un'altra cosa lascia stupefatti: Gesù dona la vista ad una persona cieca dalla nascita, ma nessuno 'vede' né il cieco né il miracolo. I farisei, di fronte al miracolo avvenuto non vedono altro che la legge trasgredita. Sono così pieni del loro modo di vedere il mondo e di come Dio dovrebbe essere e agire, che non vedono la realtà che avviene sotto i loro occhi. Se il miracolo non avviene secondo i loro schemi e le loro regole, allora lo si deve negare. Loro non vedono una persona guarita, un essere umano che non soffre più, vedono solo dei problemi, solo una norma trasgredita.

In fondo è un po' quello che accade a volte anche a noi. A volte quando chiediamo al Signore con insistenza qualcosa nella preghiera, ci sentiamo delusi se non la otteniamo subito o come lo pensavamo noi. Ci sembra che lui non ci voglia accontentare, che non ci ascolti. E così ci dimentichiamo di tutti gli infiniti miracoli che ci accompagnano ogni giorno e che prendiamo come dovuti, come ovvi.
Non ci accorgiamo di tutti quei miracoli che non abbiamo mai chiesto ma che pure ci accadono! Quanti sono i miracoli che non abbiamo mai chiesto ma che rendono incredibilmente bella la nostra vita!

La mamma andò a svegliare il piccolo T. e gli chiese: "Hai fatto una bella nanna?" "Sì, perché ho fatto bei sogni" fu la risposta. "E cosa hai sognato?" "Baci, coccole e carezze" rispose T.

I sogni non dipendono da noi, ci vengono e basta. Ma anche a noi, ogni giorno, Dio regala tanti baci, coccole e carezze: il sorriso di una persona cara, l'incontro con un amico, una bella canzone che sentiamo alla radio, un fiore in un prato, qualcosa di bello che vediamo inaspettatamente, ma anche il solo fatto di essere vivi, di poter vedere il giorno che avanza, di poter cantare, ridere… Sono davvero tantissimi i miracoli che non abbiamo chiesto mai, ma di cui possiamo gioire ogni giorno!

Sarebbe bello che Gesù aprisse anche i nostri nostri occhi, che anche noi riuscissimo a vedere tutti i 'baci, coccole e carezze' che il Signore ci dona ogni giorno.
Sarebbe bello fare ogni sera, non l'elenco delle nostre mancanze, ma l'inventario dei tanti miracoli inaspettati della nostra giornata.


(1Sam 16,1.4.6-7.10-13 ; Sal 22; Rm Ef 5,8-14; Gv 9,1-41)


09 marzo 2023

Una sete che genera sete - 12/3/2023 - III Domenica di Quaresima

Gesù e la samaritana al pozzo
Giorgia Eloisa Andreatta
(2017 - acrilico su tavola)



Questo brano del Vangelo mi ha fatto venire in mente quel verso del salmo che dice: «L'anima mia ha sete di Dio» (Sal 42, 3). È vero che nel passo evangelico è tutto un parlare di acqua, ma il cuore del discorso riguarda la sete.

E alla base di tutto, il punto di partenza è la sete di Gesù, che è la sete di Dio. Perché Dio ha sete. Ha sete dell'uomo.
Dio, che ha creato l'uomo per amore, non si rassegna alla lontananza dell'amato. Lo ha sempre cercato, e alla fine si è fatto uomo tra gli uomini per raggiungerlo, per dimostrargli tutto il suo amore, per fare breccia nel suo cuore.
E in questa ricerca non si impone, ma sommessamente chiede, si fa mendicante: «Dammi da bere».

E questa umiltà, questo mettersi nelle mani di un altro, in questo caso una donna, e una donna 'chiacchierata', ci fa scoprire che in fondo anche noi siamo assetati.
La sete di Dio genera la nostra sete.
Smaschera tutte le nostre false 'seti': sete di automobili sempre più nuove, sete di telefonini che fanno di tutto e forse ci si può pure telefonare, sete di vacanze all'ultimo grido, sete di tutto e di più. Ma seti che non si placano mai, anzi, più cerchi di placarle e più aumentano. Seti che ti divorano, ti prosciugano dal di dentro.
La sete che Dio genera in noi è sete di giustizia, sete di verità, sete di onestà, sete di serenità, sete di vita eterna, sete di senso della vita. Sete di Dio. E quando Dio ti asseta, nello stesso momento fa sgorgare in te una sorgente inesauribile che inizia a lenire la tua sete.
Riempie la tua vita della sua «acqua viva», e la fa anche traboccare in modo che tu possa donarla agli altri, che anche tu possa diventare 'generatore di sete di Dio'.


(Es 17,3-7; Sal 94; Rm 5,1-2.5-8; Gv 4,5-42)


02 marzo 2023

Una candela accesa nel buio delle nostre paure - 5/3/2023 - II Domenica di Quaresima

La Trasfigurazione (icona)
Scuola di Novgorod (Ultimo quarto XV secolo)
Museo di Storia e di Architettura, Novgorod (Russia)



Il mio primo figlio nacque nel 1980 e allora non c'era ancora l'ecografia (c'era al massimo la misurazione della crescita del cranio). Ma quando nacque il secondo, nel 1987, si faceva ogni mese. Ricordo ancora la prima volta che fui presente: non capivo niente di quelle ombre sul monitor, ma l'idea che potessi 'vedere' mio figlio, che ci fosse una fotografia, lo rendeva più reale, più concreto. Era un'anticipazione di futuro, la concretizzazione tangibile dell'amore.

E Gesù con noi fa lo stesso, ci dona una 'ecografia del suo Regno'. Sa, proprio perché vero Dio e vero uomo, che a noi le parole non bastano, abbiamo bisogno anche di segni, di gesti.
In questo periodo, in questi giorni in cui vediamo guerre a atrocità, gente che scappa dalla fame e dalla violenza per poi morire annegata a pochi metri dalla riva, tutto ci può far dubitare che il Regno di Dio sia già in mezzo a noi. Anche se ce lo dice Gesù.

Con la Trasfigurazione però Gesù ci fa vedere che il Regno è già qui, che sta crescendo nella pancia del Creato come un bimbo cresce nella pancia di sua madre. La Trasfigurazione è un segno di speranza che Dio ci manda, una candela accesa nel buio dei nostri problemi, delle nostre paure.
Illuminati da questa luce, la 'luce taborica' la chiamano gli iconografi, potremo anche noi riuscire a vedere e sentire questo 'figlio' che cresce.
José Saramago ha scritto: "Non è ancora cresciuto il ventre, ma i figli brillano già negli occhi delle madri". Come brillano gli occhi dei santi, di chi riesce a 'vedere' la 'candela' della Trasfigurazione.

P.S.: l'idea della Trasfigurazione come una 'ecografia del Regno' è di don Marco Pozza, cappellano del carcere Due Palazzi di Padova.

(Gen 12,1-4; Sal 32; 2Tm 1,8-10; Mt 17,1-9)


23 febbraio 2023

Tentazione: momento della verità - 26/2/2023 - I Domenica di Quaresima

La prima tentazione di Gesù
Salterio miniato (circa 1222)
(Det Kongelige Bibliotek, Copenaghen)



Nel vangelo le Tentazioni vengono immediatamente dopo il Battesimo. Quello stesso Spirito che sotto forma di colomba aveva proclamato a Gesù "Tu sei il Figlio prediletto", subito dopo lo spinge nel deserto per essere tentato.
Satana gli chiede di provare che è realmente ciò che lo Spirito ha affermato. Ma Gesù resiste alle tentazioni del potere, del successo e della popolarità (perché il succo delle Tentazioni è proprio questo).

Noi ci ritroviamo ogni giorno non nel deserto, ma in un mondo che ci dice che noi non siamo amati, che non siamo degni di essere amati, che dobbiamo conquistare l'amore. Ci dice che solo se abbiamo successo, solo se siamo popolari, solo se siamo potenti, avremo la possibilità di essere amati.

Ma Gesù si è lasciato tentare per farci vedere come si fa a sfatare quelle voci, a smascherare Lucifero: fidarsi unicamente del Signore, ricordarsi delle sue Parole. Avere fede che l'amore è più forte del male, è più forte anche della morte.
Il momento della tentazione è il momento in cui ti trovi in mezzo tra il bene e il male che sono faccia a faccia. È il momento in cui dobbiamo decidere da che parte stare. Il Signore attende con timore e tremore la nostra decisione. Basta che gli diciamo "aiutami, perché se mi lasci sono guai", e Lui, in mezzo a questo canto delle sirene, ci farà sentire la dolce voce dello Spirito che, come fa ogni giorno, ogni istante, ci dirà: “Tu sei il figlio prediletto”.


(Gen 2,7-9; 3,1-7; Sal 50; Rm 5,12-19; Mt 4,1-11)


16 febbraio 2023

Non accettare l'inimicizia - 19/2/2023 - VII Domenica Tempo Ordinario

Colomba della pace e sole giallo
Picasso (1962)
Litografia a colori



Continua il 'Discorso della Montagna', questa rivoluzione copernicana del nostro modo di pensare e di agire, questo ribaltamento totale della scala delle nostre priorità e dei nostri valori.
Troppo spesso abbiamo la convinzione che essere cristiani voglia dire prima di tutto essere contro, essere anti-qualcuno o anti-qualcosa.
Gesù invece ci invita ad andare 'oltre'. Andare oltre le valutazioni della ragione o del torto. Andare oltre il rigido perimetro della giustizia o dell'ingiustizia. Andare oltre sulla decisione di chi debba fare il 'primo passo'.
Possono esserci mille ragioni umane per dire che 'non tocca a me', ma tutte mi pongono fuori dal Vangelo.

E il punto fondamentale di questa logica 'paradossale' è l'atteggiamento nei confronti dei nemici.
E con nemici non dobbiamo pensare solo a persone che vogliono farci del male. Nemico è anche colui con cui non riesco proprio ad andare d'accordo, anche senza che ci sia cattiva volontà. Nemico è lo scocciatore, o quello che mi passa davanti alla fila, o quello che mi 'ruba' il parcheggio.
Nemico è ogni persona che mi verrebbe da mandare a quel paese, ogni persona che mi porta a cambiare marciapiede quando la vedo da lontano.
Se guardiamo la nostra realtà attraverso gli occhiali del Vangelo, dobbiamo ammettere che sono tante le persone che trattiamo da 'nemico'.

Gesù ci dice che non dobbiamo accettare questa situazione come definitiva, non dobbiamo lasciarla cristallizzare. Ci invita a darci da fare per superarla, per smuoverla. Ci spinge ad impegnarci di persona, a metterci la faccia, per rovesciarla, per trasformarla in una situazione di amicizia, di amore.
E se faccio fatica, se il compito mi pare al di là delle mie possibilità, devo pensare che non sono mai da solo. Gesù mi accompagna in ogni passo. Gesù, con la sua Croce, ha fatto entrare nel mondo una possibilità infinita di riconciliazione.
Perché Gesù è morto per ogni uomo, nessuno escluso. E se è morto per la salvezza anche dei suoi nemici, tanto più lo è anche per i miei. Sotto la Croce, il mio nemico diventa un fratello di sangue: quello del Cristo che gocciola sul suo capo come sul mio.

Ma Gesù, con la sua Resurrezione, mi ricorda anche che l'amore è più forte dell'odio. E quindi non devo mai rassegnarmi, non devo accettare i bisticci senza fine, il gioco delle ripicche.
La volontà di riconciliazione è già opera di pace. Quando non accetto come ineluttabile la separazione sto già camminando verso un fratello.


(Lv 19,1-2.17-18; Sal 102; 1Cor 3,16-23; Mt 5,38-48)


09 febbraio 2023

Al di sopra di tutto, l'Amore - 12/2/2023 - VI Domenica Tempo Ordinario

Decalogo
Santuario Divina Misericordia (Częstochowa - Polonia)
(mosaico - Centro Aletti)



A prima vista, con questa raffica di «ma io vi dico ...» sembra che Gesù voglia quasi rendere più difficile il bersaglio, spostarlo più lontano.
In realtà però lo sta cambiando. Ci sta mettendo in guardia: fate attenzione che state mirando dalla parte sbagliata: il bersaglio , la meta è un'altra!

Gesù porta a compimento la Legge, non perché aggiunge codicilli, o modifica articoli. La realizza pienamente perché la porta al suo giusto posto: la Legge è il dito che indica la luna, non è la luna!
La luna, il fine della nostra vita, è la gioia di scioglierci nell'abbraccio amoroso di Dio.
«Mi indicherai il sentiero della vita, / gioia piena alla tua presenza, / dolcezza senza fine alla tua destra.» (Sal 16, 11) È questa la meta finale: la piena gioia e una dolcezza infinita.

La Legge ci è data perché, un passo alla volta, possiamo aprirci a vivere l'amore di Dio fino in fondo. Man mano che progrediamo nel sentiero dell'amore, scopriamo che non è la fedeltà alla Legge che fa di noi dei giusti, che ci sono delle situazioni in cui Legge e giustizia non sono due gemelle, ma due lontane parenti che non si parlano da secoli.
La Legge ci dovrebbe aiutare a non disprezzare nessun essere umano, a non considerare niente e nessuno come mezzo per il soddisfacimento dei propri interessi, o degli interessi esclusivi della famiglia, del partito, della nazione.
La Legge dovrebbe aiutarci a capire che non è una questione di regole, ma è soprattutto una questione di cuore.

Finché rispettiamo l'esteriorità delle regole, noi ci limitiamo a sopravvivere. Ma Gesù ci chiama alla vita piena, ci chiama ad entrare nell'abbraccio trinitario con la stessa sua dignità.

Dio ci ha fatto un grande dono: la vita. E ci ha anche dato un foglietto che le istruzioni principali: la Legge. Non fermiamoci alle istruzioni.
Dio vuole che usciamo a giocare assieme a Lui (dimenticandoci in tasca il foglietto delle regole base)


(Sir 15,16-21; Sal 118; 1Cor 2,6-10; Mt 5,17-37)


02 febbraio 2023

Il Sale e la Luce - 5/2/2023 - V Domenica Tempo Ordinario




Il Vangelo di oggi parla di «sale» e di «luce». Cose normali, che però hanno una caratteristica in comune: generalmente ci fai caso quando mancano o quando sono troppo 'forti'.

Il sale dà gusto al cibo, ma viene anche usato per 'conservare' gli alimenti. È così importante che una volta veniva usato per pagare i soldati e i dipendenti (è proprio da questo che deriva il temine 'salario', cioè la retribuzione data al lavoratore).
Se però in una pietanza mettiamo troppo sale, questa diventa immangiabile, ma anche se ne mettiamo troppo poco il cibo non è buono. La quantità giusta di sale è quella che non avvertiamo.
Quando Gesù dice che dobbiamo essere il sale della terra, ci dice che dobbiamo dare 'sapore' al mondo, ma il mondo deve sentire il 'sapore del creato', non il sapore del sale.
Dobbiamo riuscire ad essere la giusta quantità di sale.
Ma come fare per esserlo? Innanzi tutto lasciarci guidare dallo Spirito Santo.
Però da un punto di vista concreto possiamo partire dalla lingua ebraica. In ebraico il sale si dice "melach" che si scrive con le tre consonanti mem-lamed-chet (in ebraico non si scrivono le vocali). Ma queste tre consonanti, solo in ordine diverso, sono le stesse della parola 'pane' (lechem). E queste tre lettere sono anche le stesse della parola 'sogno': chalom.
Gesto tipico dell'accoglienza nella cultura semitica è l'invito a pranzo in cui il padrone di casa intinge un pezzo di pane nel sale e lo offre all'ospite. L'accoglienza, la condivisione possono essere il modo di essere sale nel mondo, sono un modo di trasmettere al mondo una scintilla si speranza, di dare il sapore del sogno, del paradiso, alle giornate e alle persone.

Chi si diletta di fotografia ha ben presente l'importanza della luce. Già la parola 'fotografia', cioè 'scrivere con la luce', lo dice. Una luce sbagliata può rovinare completamente una foto, come una giusta illuminazione può renderla stupenda.
D'altra parte quando abbiamo il sole negli occhi non vediamo niente. Troppa luce ci fa male agli occhi.
Anche qui, come per il sale, si tratta di avere la giusta quantità di luce.
Ma c'è anche un'altra cosa da ricordare. Come in fotografia la luce serve ad esaltare, presentare al meglio il soggetto della fotografia, ma non è essa il soggetto, così la nostra luce deve servire a esaltare, presentare al meglio Dio e la sua opera. Non siamo noi il soggetto da illuminare; più che stare davanti ai riflettori dovremmo starci dietro per poter illuminare al nostro meglio.
Parafrasando santa Madre Teresa di Calcutta, direi che noi siamo candele nelle mani del Signore. Cerchiamo di essere accese!


(Is 58,7-10; Sal 111; 1Cor 2,1-5; Mt 5,13-16)


26 gennaio 2023

Più della felicità! - 29/1/2023 - IV Domenica Tempo Ordinario

Le Beatitudini
(Dipinto - Centro Aletti)



Tutti gli esseri umani hanno sempre desiderato la felicità, tanto che nella costituzione degli Stati Uniti viene detto che tutti hanno diritto alla felicità. Istintivamente percepiamo che la felicità e più del semplice 'piacere'. Il piacere riguarda la sfera fisica, la felicità è qualcosa di più. Ma Gesù alza il tiro, ci dona una nuova dimensione: la beatitudine. Il piacere è animale, la felicità è umana, ma la beatitudine è divina!

Facendoci questo dono, Gesù ribalta completamente il nostro modo di vedere, di pensare, di sentire.
Noi non siamo molto distanti dalla mentalità ebraica che vedeva nella ricchezza, nel successo, un segno della benevolenza e del favore di Dio.
Ma Gesù proclama: "Tu che sei nato scalognato, tu che sei stato bastonato dalla vita e dagli uomini, tu che hai il viso solcato dalle lacrime, tu che sei stato condannato e gettato via anche se innocente, tu che hai perdonato chi non ha fatto altro che vomitarti addosso insulti e maledizioni, tu che sei stato sommerso di ironia e insulti perché 'sei dei miei', tu, si, proprio tu, sei beato!"
Il mondo ammira, invidia, ritiene 'beato' chi riesce a superare gli altri, ad avere più potere, più ricchezza, a prendere tanto dando il meno possibile. Gesù dice invece 'beati coloro che possono dare senza ricordare e prendere senza dimenticare'.

Gesù ci dice che la felicità è una bella cosa, ma c'è qualcosa che è ancora più grande: la beatitudine. Il vero metro dell'esame di coscienza non dovrebbe essere il decalogo, ma le Beatitudini. Perché le Beatitudini sono il modo con cui Dio ci vede. Riuscire a vivere le Beatitudini vuol dire riuscire a vedere gli uomini con gli occhi, con lo sguardo di Dio.
E siccome «Dio è amore» (1Gv 4, 8), vedere col suo sguardo vuol dire vedere col suo amore. Per essere beati dobbiamo vivere l'amore, ma non basta il nostro amore piccolo, ci vuole l'amore folle di Dio. L'amore che rovescia tutto, quello che prima ama e poi, proprio perché ama, rende amabile l'oggetto dell'amore.
Quello che dice all'amato "Mi piaci tu, proprio tu. Non per quello che sei, ma perché sei, perché esisti".
Quello che vede nell'altro anche ciò che egli ancora non vede, che sotto i segni delle sofferenze e degli affanni vede la luce di mille capacità e possibilità.

Un amore folle, esagerato, che ci mette anche un po' di paura. Troppe volte è la luce, non l'ombra, che ci fa paura quando siamo nel buio.
Dio vede tutta la bellezza che siamo. Se ci lasciamo amare da Lui, se non ascoltiamo le nostre tenebre, la nostra paura, allora Lui riuscirà a tirare fuori tutta la nostra bellezza.


(Sof 2,3; 3,12-13; Sal 145; 1Cor 1,26-31; Mt 5,1-12)



Vorrei salire molto in alto, Signore,
sopra la mia città, sopra il mondo, sopra il tempo.
Vorrei purificare il mio sguardo e avere i tuoi occhi.
Vedrei allora l'universo, l'umanità, la storia
come li vede il Padre.
Vedrei la bella, eterna idea d'amore del tuo Padre
che si realizza progressivamente:
tutto ricapitolare in te, le cose del cielo e della terra.
E vedrei che, oggi come ieri, i minimi particolari
vi partecipano,
ogni uomo al suo posto, ogni gruppo ed ogni oggetto.
Vedrei la minima particella di materia e il più piccolo
palpito di vita;
l'amore e l'odio, il peccato e la grazia.
Commosso, comprenderei che dinanzi a me
si svolge la grande avventura d'amore
iniziata all'alba del mondo.
Comprenderei che tutto è unito insieme,
che tutto non è che un minimo movimento
di tutta l'umanità e di tutto l'universo verso la Trinità
in te e per te, Signore.

Vorrei salire in alto
Michel Quoist


19 gennaio 2023

Fidarsi di Dio - 22/1/2023 - III Domenica Tempo Ordinario (o della Parola di Dio)

San Pietro lascia la barca e le reti per seguire Gesù
Cappella della Nunziatura Apostolica (Parigi)
(mosaico - Centro Aletti)



Con l'Incarnazione Dio ha deciso di non 'stare più al suo posto'. È sceso al livello dell'uomo per incontrarlo sul suo terreno, nel concreto della sua realtà quotidiana.
E con l'arresto del Battista, Gesù, lungi dal lasciarsi spaventare, inizia a mettersi in movimento. Vuole coinvolgere tutto e tutti. Passerà tra gli uomini per raggiungere tutti. Non si fermerà per non lasciarsi legare da nessuno, perché nessuno possa vantare alcuna priorità su di Lui.

Ma il suo passaggio non è mai neutrale, gli esseri umani sono sollecitati a fare una scelta: o il rifiuto o l'adesione. Dopo l'incontro col Cristo la tua vita, in un modo o in un altro, non sarà più la stessa.

Tipico esempio è la chiamata dei primi discepoli narrata nel Vangelo di oggi (spero che sia stata letta la versione lunga, le due parti si illuminano a vicenda: l'andare si concretizza nella chiamata). La prima cosa da notare è che questa chiamata non avviene in una cornice sacra, ma in una scena profana: il lago di Galilea, cioè quanto di più religiosamente lontano dal tempio.
Però è una chiamata sul solco delle grandi chiamate dell'Antico Testamento: Mosè chiamato mentre pascola il gregge del suocero, Gedeone mentre batte il grano sull'aia, Davide mentre pascola le pecore del padre. La chiamata avviene nel contesto delle occupazioni ordinarie. Dio ti viene incontro nel quotidiano, lungo le tue strade, nei luoghi che ti sono familiari.
E la chiamata si può riassumere in due verbi; «vide» e «disse». Le uniche 'armi' di Gesù sono lo sguardo e la voce.

Non è banale quel «vide». È uno sguardo che mette a fuoco la persona, la sceglie, le toglie dall'anonimato della folla e la pone al centro. È uno sguardo che è soprattutto carico di affetto, che esprime amore. È uno sguardo che diventa una proposta di relazione, di comunione.

Il «disse» sottolinea l'importanza della voce. Una voce dal timbro unico, pieno del calore del rispetto e dell'amore. Una voce che ti colpisce il cuore facendo tacere tutte le altre.

Il discepolo non deve fare altro che rispondere a quella voce, deve lasciarsi trovare, lasciarsi fare. L'iniziativa è sempre di Gesù.
La fede è sempre risposta all'iniziativa di Dio. Se 'mi decido' è perché sono stato toccato da Qualcuno che 'si è deciso' nei miei confronti. Non siamo noi che andiamo alla ricerca di Dio, è Dio che si mette alla ricerca dell'uomo ("Adamo, dove sei?" Gen. 3, 9). La vita cristiana non è una conquista, ma un 'essere conquistati'.

Un'ultima considerazione su quel "lasciare" dei discepoli. Discepolo non è chi abbandona o rinuncia a qualcosa, è chi ha trovato Qualcuno. Il distacco non è il fine, ma la condizione per lasciarsi riempire la vita. Si tratta di fidarsi di Gesù.
I discepoli non sono chiamati a sottoscrivere una lista di cose da credere. Sono chiamati a fidarsi di una persona, ad affidarsi totalmente a Lui, a stabilire una relazione personale con Cristo. Fede non significa "credere che...", ma affidarsi al "Signore tuo Dio", fidarsi di Lui fino in fondo.


(Is 8,23-9,3; Sal 26; 1Cor 1,10-13.17; Mt 4,12-23)