25 aprile 2024

Dio ha bisogno che noi fioriamo - 28/4/2024 - V Domenica di Pasqua

frutto della vite
(foto J.C.)



Cristo la vite ed io il tralcio: io e lui la stessa cosa. Dio ed io siamo la stessa pianta, abbiamo la stessa vita, la stessa radice, una sola linfa. Come il figlio e la madre. Indipendentemente da ciò che faccio o non faccio, dai miei meriti, dalle mie virtù, dai miei difetti, dai miei sbagli.

«Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato». Siamo purificati solo per il suo intervento, per la sua parola. Il Vangelo entra e spazza via tutte le cose sbagliate, immature, puerili che ho pensato, che ho detto, che ho fatto. Vengono tolti i fardelli del nostro passato. Siamo liberati dai sensi di colpa, alleggeriti per poterci alzare in volo sospinti dal tiepido soffio dello Spirito Santo.

«Rimanete in me e io in voi ». Sono le parole che usa anche l'amore umano. È il rimanere insieme di due che si amano, è il restare insieme nonostante tutte le distanze e tutti i temporali della vita, nonostante le forze che ci trascinano via, che cercano di allontanarci e dividerci.
"Resta con me" ci supplica Dio. Anche se non lo sembra, in realtà non è difficile. Il primo passo è ricordare che sei già in lui, e che lui è già in te. Non devi costruire nulla, conquistare nulla, dimostrare nulla. Devi soltanto mantenere ciò che ti è già dato. Riscoprire la consapevolezza che c'è un'energia che scorre in te, che proviene da Dio, che non viene mai meno, alla quale puoi sempre attingere. Tu devi solo aprirti, aprire canali a questa linfa. Devi solo lasciarti amare.

Ma il centro di questo brano è nel termine frutto: «Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto ». Il dono della potatura ...
Chi compie queste azioni è il Padre. È un Dio innamorato, che contempla la sua vigna e ne vede tutte le possibilità, anche le più nascoste e segrete. E proprio perché queste potenzialità fioriscano in tutto il loro splendore usa tutto il suo amore in due azioni: tagliare e potare.
"Tagliare". Cioè prendere gli errori, le brutture della nostra vita e gettarle via. Dimenticarsele. Il male verrà bruciato, non noi.
"Potare". È come lo scultore che toglie alla pietra tutto ciò che non è scultura, come l'orafo che fa emergere da un pezzo di metallo un gioiello. Potare non significa amputare, ma dare vita, ogni contadino lo sa. E significa anche dare orientamento, ordine, anche porre dei limiti e, se necessario, anche dire dei no. Ma rinunciare a tutto ciò che è superfluo equivale a fiorire. Il Padre pota per ingigantire.
La vite potata è bella e rigogliosa, le foglie sono grandi e di un verde brillante, sta eretta e riesce così a non perdersi neanche un raggio di sole, che viene trasformato nei suoi grandi grappoli gonfi di acini, pieni di succo.
Esplode di vita, di gioia di vivere che anche altri gusteranno. Nessuna vite sofferente dà buon frutto. Prima di tutto devo essere sano io, gioioso io. È così che Dio mi vuole.
È come se Gesù mi dicesse: non ho bisogno di sacrifici ma di grappoli buoni; non ho bisogno di sofferenze, ma che tu fiorisca.
Infatti il Vangelo termina con queste parole: «In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto».




Amici, mi sento
un tino bollente
di mosto dopo
felice vendemmia:
in attesa del travaso.

Già potata è la vite
per nuova primavera.

David Maria Turoldo



Letture:
Atti 9,26-31
Salmo 21
Prima Giovanni 3,18-24
Giovanni 15,1-8


18 aprile 2024

Per Dio sono 'importante d'amore' - 21/4/2024 - IV Domenica di Pasqua

pastore (*)



«Io sono il buon pastore» dice Gesù. Questa frase mi ha fatto venire in mente il racconto della creazione, quando Dio, al termine di ogni giorno, guardando ciò che aveva creato «vide che era cosa buona» (Gen 1). Gesù è quindi il pastore 'buono' secondo il progetto d'amore di Dio, cioè è il pastore perfetto, quello atteso. È la realizzazione dei sogni di Dio, di tutte le promesse dell'Antico Testamento.

E Gesù si prende cura delle pecore del Padre, cioè delle persone, le ama, le protegge, le fa vivere e vive per loro.
E invita anche noi a fare altrettanto. Ognuno di noi è pecora affidata ad un pastore e allo stesso tempo pastore a cui sono state affidate delle pecore (i figli, il coniuge, gli amici, tutte le persone con cui interagiamo nella nostra vita, solo per fare degli esempi).
Essere "pastore" significa porre attenzione alle persone, non umiliarle, non esigere di sapere sempre tutto, non scaricare addosso agli altri i nostri sbalzi d'umore. La fiducia si merita, non è un diritto.
Essere "pastore" significa credere nelle proprie pecore, valorizzarle, non dimenticare mai che in ogni persona c'è una scintilla di Dio.
Essere "pastore" significa guidare lasciandoci guidare solo dall'amore.
Essere "pastore" significa dare la propria vita, perché le pecore sono la cosa più importante. Le pecore sono più importanti del risultato, del successo. Più importanti della vita dello stesso pastore!
Essere "pastore" significa avere ogni persona incastonata nel proprio cuore.
Essere "pastore" significa non dimenticare mai che le persone ci vengono affidate dal Signore perché noi le aiutiamo a diventare quello che sono, non per farne dei nostri cloni. Dobbiamo aiutarle a realizzare i loro sogni, non i nostri.

Per Dio siamo tutti figli unici! Non ci ama in maniera indistinta, ma sa tutto di noi: le nostre gioie e le nostre fatiche, i nostri sogni e i nostri limiti. Il Signore è capace di adeguare il Suo passo ai nostri ritmi, ma sa anche essere esigente quando la nostra pigrizia lo richiede. Gesù è l'unico che ci conosce veramente, e proprio per questo ama di noi anche quello che gli altri o noi stessi non riusciamo ad amare.

La logica del "pastore" è la logica dell'amore, del "mi importa di te". Per Dio, l'uomo è importante. Più importante della sua stessa vita, difatti ce la dona. A ognuno di noi ripete ogni istante: "ho a cuore i passeri del cielo ma tu vali molto di più; ho a cuore i gigli del campo, ma tu vali molto di più".

"A Dio importa di me!": questo è la notizia che dona gioia, cioè il Vangelo. Per Dio sono 'importante d'amore' (Pierre Talec) anche quando non lo capisco; anche quando sono turbato per il suo silenzio. Perché il "buon pastore" non può stare bene finché non sta bene ogni sua pecora, ogni suo figlio.



Letture:
Atti 4,8-12
Salmo 117
Prima Giovanni 3,1-2
Giovanni 10,11-18


* (Foto di FOYN su Unsplash)


11 aprile 2024

L'intoccabile chiede di essere toccato - 14/4/2024 - III Domenica di Pasqua

Gesù effonde lo Spirito sugli Apostoli nel Cenacolo



La scena del Vangelo di oggi avviene giusto una settimana prima della storia di Tommaso descritta la settimana scorsa.
Una cosa mi ha colpito subito: nel brano della settimana scorsa tutti, ancora fino ai nostri giorni, si scandalizzano perché Tommaso voleva toccare Gesù; ma qui è Gesù che dice «Toccatemi».
Il giovedì sera Gesù aveva detto "mangiatemi", adesso dice "toccatemi".

Noi abbiamo l'idea che una cosa 'sacra' è una cosa lontana, da guardare a distanza, qualcosa che se la tocchiamo la roviniamo, la sporchiamo, la sconsacriamo. Non parliamo poi di Dio... ci è rimasta troppo spesso la mentalità dell'Antico Testamento per cui Dio non lo potevi neanche vedere, pena la morte, figuriamoci poi toccarlo!
'Dio è l'intoccabile per antonomasia, la sola idea di farlo è una bestemmia', dicono i creduloni.
Ma è Gesù stesso che li smentisce, che chiede di essere toccato.
L'intoccabile chiede di essere toccato. E ri-toccato ancora.
Chiede di essere toccato perché il tatto è una memoria, il tocco ha una sua memoria.
«Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture». Guarire è toccare, e toccare ancora, con amore ciò che prima è stato toccato, o anche solo guardato, con timore quando non con paura. Gesù, Dio, ha fame delle nostre carezze!

Dio si è fatto uomo proprio per ribaltare, per mandare con le gambe all'aria la nostra idea di Dio. Con l'Incarnazione ...
- non siamo più noi che dobbiamo cercare di salire fino a Dio, ma è Lui che scende fino a noi (e anche più in basso);
- non siamo più noi a doverlo servire, ma è Lui che si china fino a lavarci i piedi;
- non siamo più noi a dover fargli dei doni, ma è Lui che di copre di regali senza che neanche glieli chiediamo, senza che neanche li meritiamo (vedi il Magnificat).

Noi siamo abituati a cercare un senso, una spiegazione a ciò che ci è accaduto, dopo che ci è accaduto. Gesù anche qui mette tutto sotto sopra. Prima, durante i tre anni di vita pubblica, non ha fatto altro che spiegare ai discepoli cosa sarebbe accaduto, e adesso presenta la realizzazione di quanto aveva spiegato. È anche a causa di tutto questo che i discepoli, prima non capivano "cosa volesse dire resuscitare dai morti", e dopo fanno fatica a riconoscerlo.

Tornato dai suoi amici, Gesù accende in loro la luce della memoria. Perché la risurrezione è una lampada che fa luce sui passi che hai già fatto, il presente illumina il passato, la speranza riaccende la memoria. Si accorgono, per mezzo di una cena a base di pesce, che stando con Lui non s'illumina il futuro, ma si comprende ciò che è stato. E trovano così la forza di continuare.
E ripensando al discorso del chicco di grano e della spiga, capiscono (e noi con loro) che:
"La spiga è il chicco che ha mantenuto la promessa di diventare grande.
La spiga non è chicco che ti abbandona.
È un chicco pronto a sposarti
" (don Marco Pozza)



Letture:
Atti 3,13-15.17-19
Salmo 4
Prima Giovanni 2,1-5
Luca 24,35-48


04 aprile 2024

Dalla parte di Tommaso - 7/4/2024 - II Domenica di Pasqua

Mio Signore e mio Dio!



L'episodio di s. Tommaso Apostolo mi ha portato a due riflessioni.

1) La potenza delle idee preconcette e delle immagini stereotipate. Se abbiamo presente la quasi totalità dei quadri che raffigurano l'episodio, notiamo che Tommaso è ritratto nell'atto di mettere il dito nel costato. Ricordo un quadro, di cui ho dimenticato l'autore, in cui Tommaso con un paio di occhiali (del tutto anacronistici) scrutava le piaghe!
Eppure se leggiamo bene l'episodio, senza preconcetti né preraffigurazioni, notiamo che da nessuna parte viene detto che Tommaso abbia fatto ciò.
Penso che la migliore rappresentazione di questo passo potrebbe essere un Tommaso a capo chino di fronte a Gesù che ha le braccia aperte, non per mostrare le piaghe, ma per accogliere la sua stupenda professione di fede, una delle più grandi di tutto il N.T.: «Mio Signore e mio Dio».

2) La seconda riflessione riguarda gli Apostoli, ma indirettamente anche tutti noi. Proviamo un po' a pensarci. Dieci Apostoli hanno assistito ad un evento veramente eccezionale: colui che era morto con ignominia, e che quindi secondo la mentalità del tempo doveva essere un maledetto da Dio, è risorto, è apparso in mezzo a loro. E questo fatto rappresenta la realizzazione delle promesse, il pieno avverarsi delle loro speranze e delle parole del Maestro. Provate ad immaginare: ciò che avete sempre sperato, inaspettatamente si realizza. E voi non saltereste di gioia con gli occhi che brillano? Di fronte ad una notizia di questo genere la gioia si deve vedere lontano un miglio, in particolare per chi ha condiviso questa speranza e questa momentanea delusione. Invece ai dieci non traspare niente. Di fronte ad una notizia di questo genere le parole non bastano, è tutta la persona che deve comunicare. E allora mi sa che Tommaso non ha avuto tanti torti a dubitare.
Questa Chiesa nascente, che dovrà portare il messaggio, la lieta novella che proprio su questa Risurrezione si fonda, alla prima prova si è mostrata carente. Forse perché ha cercato di dimostrare invece che mostrare. Forse perché lo Spirito che la sera della prima apparizione Gesù aveva alitato, non era bastato. Ci vorrà lo Spirito della Pentecoste.
Anche a noi tante volte capita lo stesso: ci dimentichiamo di 'saltare di gioia' per tutto ciò che Lui ci dona ogni giorno, e invece ci sforziamo di 'dimostrare' Gesù. Lasciamo parlare la nostra testa invece di lasciar parlare la nostra vita, le nostre azioni, il nostro amore per tutti e verso tutti.
Ma soprattutto non dovremmo fondarci sulle nostre forze, sui nostri piani pastorali, sui nostri convegni di studio. Il fondamento di tutta la nostra azione, della nostra vita e della nostra speranza deve essere solo lo Spirito Santo.

Un amico anni fa mi fece notare che dopo l'episodio citato, Tommaso compare sempre nei versetti successivi. Sta sempre attaccato a Pietro, partecipa attivamente, non si lascia scappare le occasioni...
Per questo mi vengono in mente due motivazioni:
1 - lo fa perché è stato 'conquistato', perché ha trovato il coraggio, perché è stato toccato nel profondo del cuore;
2 - (questa è un po' cattiva) lo fa perché non vuole più essere assente in un momento 'topico', perché ha paura di perdere un'altra volta il treno.
Sinceramente penso sia la prima.




«Mio Signore e mio Dio»
'Mio' perché ti appartengo:
stringimi in te,
stringiti a me.
Mio come lo è il cuore.
E senza non sarei.
Mio come lo è il respiro.
E senza non vivrei.

padre Ermes Ronchi



Letture:
Atti 4,32-35
Salmo 117
Prima Giovanni 5,1-6
Giovanni 20,19-31


28 marzo 2024

L'amore di Dio è più forte della morte - 31/3/2024 - Pasqua di Risurrezione (Messa del giorno)




Maria di Magdala esce di casa quando è ancora buio, buio nel cielo e buio nel cuore. Non ha niente fra le mani, ha soltanto il suo amore, che si ribella all'assenza di Gesù.
Maria va al sepolcro e non ha paura. Scrive Meister Eckhart: "Non ha paura lei che è donna, mentre hanno paura gli uomini, perché lei gli apparteneva e il suo cuore era presso di lui. Dove era lui era anche il cuore di lei, perciò non aveva paura". L'amore profondo riesce a vincere anche la paura.
Non a caso chi si reca alla tomba in quell'alba sono coloro che hanno avuto più forte l'esperienza dell'amore di Gesù: le donne, la Maddalena, Pietro e Giovanni. Sono loro che capiscono che un amore come quello di Gesù non poteva essere annullato dalla morte, che un amore come quello di Gesù è più forte della morte.
«E vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro». Il sepolcro è spalancato, vuoto, risplendente nel fresco dell'alba, e fuori è primavera. È aperto come il guscio di un seme.
Qualcosa si accende in Maria: un'urgenza, un'ansia, un fremito che improvvisamente ribaltano il ritmo del racconto. «Corse allora da Pietro e dall'altro discepolo». Può correre, perché ora sta nascendo il giorno; deve correre, perché è la nascita di un universo nuovo, sono le doglie della vita.
E Maria senza saperlo dice parole che sono segno di fede profonda: «Hanno portato via il Signore ». Non dice che hanno preso 'il corpo' del Signore, ma 'il Signore'. Ne parla come fosse vivo, come si parla di una persona viva. Perché per lei è vivo. "Amare è dire: tu non morirai!" dirà qualche secolo più tardi il filosofo Gabriel-Honoré Marcel (1889-1973) e lei lo urla con tutto il suo cuore.

«Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro ». Tutti corrono al mattino di Pasqua! Corrono sospinti da un cuore in tumulto, perché l'amore ha sempre fretta. Chi ama si sente sempre in ritardo sulla sua fame di abbracci, si sente sempre assetato della gioia dell'incontro.
Ma l'altro discepolo, quello che Gesù amava, corre più veloce e arriva per primo al sepolcro, cioè arriva per primo a capire la risurrezione e a credere in essa. Perché chi ama e sa di essere amato capisce di più, capisce prima, va più a fondo. "Si vede bene solo con il cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi" (Antoine de Saint-Exupéry)

Pasqua è il tema più bello e più arduo di tutta la Bibbia. La risurrezione di Cristo fu un evento talmente inaudito che gli evangelisti, per raccontarla, non trovarono una parola specifica, ma usano verbi come svegliarsi e alzarsi, usano i verbi del nostro mattino.
E allora è bello pensare che la Pasqua è raccontata con i verbi di ognuno dei nostri mattini, quando ci svegliamo e ci alziamo. È bello pensare che ogni mattina sia la nostra piccola risurrezione quotidiana.




Io auguro a noi occhi di Pasqua
capaci di guardare
nella morte fino alla vita
nella colpa fino al perdono,
nella divisione fino all'unità,
nella piaga fino allo splendore,
nell'uomo fino a Dio,
in Dio fino all'uomo,
nell'io fino al tu.
E insieme a questo, tutta la forza della Pasqua!

Klaus Hemmerle, vescovo di Aquisgrana (1929-1994)



Letture:
Atti 10,34a.37-43
Salmo 117
Colossesi 3,1-4
Giovanni 20,1-9


21 marzo 2024

Dio è dall'altro capo della tua croce - 24/3/2024 - Domenica delle Palme

Gesù e Simone di Cirene
(Sieger Köder)



Davvero misteriosa la Via Crucis: Dio entra nella sofferenza umana, la porta sulle proprie spalle; però nello stesso tempo offre all'uomo la possibilità di condividere il suo dolore, di partecipare alla sua Passione, di dargli una mano a portare la croce. L'episodio del Cireneo ci racconta questo mistero. Dio che interviene nella pena dell'uomo e l'uomo che interviene nella pena di Dio; Dio che porta il peso dell'uomo e l'uomo chiamato a portare il peso di Dio.
Quando scopriamo questo, allora la croce, da sofferenza personale e faticosa, diventa sofferenza partecipata. Allora ogni circostanza dolorosa, da qualcosa che 'mi' capita, diventa qualcosa che 'ci' capita. Questo perché non siamo più noi a portare la nostra croce, ma ci scopriamo ad essere coloro che aiutano Gesù a portare la nostra croce.

Non c'è salvezza senza partecipazione;
non c'è redenzione senza fatica condivisa;
non c'è croce, ma neanche felicità, solitaria
.

Certo non è una cosa facile, difatti il Cireneo è stato requisito, obbligato. Di fronte alla croce voglio girare al largo, dire che è troppo per le mie forze, che non è giusto, mi chiedo che male abbia mai fatto per meritarmi tutto questo. Invece è questa la croce che oggi devo portare, proprio nel momento meno opportuno, proprio nelle circostanze meno propizie.
Ma anche di fronte alla croce degli altri si scantona facilmente, si finge di non vedere. 'Sono cose che succedono' si dice sperando che succedano sempre e solo agli altri.
Troppo spesso dimentichiamo che a Gesù è capitata, nello stesso nostro momento, la stessa nostra cosa. Quando c'è di mezzo la croce, ogni croce, lui c'è già, lui è già sotto quel peso, l'ha già portato e lo porterà fino alla fine del mondo. Una sola cosa gli manca: la mia presenza accanto a lui.

Chi come me ha studiato il catechismo di Pio X ricorda che una delle prime domande era "dov'è Dio?". Dopo tanti anni non ricordo più la risposta esatta, però oggi saprei ugualmente dare una risposta: "Dio è all'altro capo della croce". Della mia croce. Ma anche della croce dell'altro. Dovunque ci sia una croce, non c'è che da tirarla su e siamo certi che dall'altra parte c'è Lui. Adesso sappiamo dove trovarlo!

Ma il Cireneo ci insegna anche che ogni croce la debbo portare per un tratto più o meno lungo, ma poi alla fine è Lui che ci sale sopra e mi sostituisce. E sale sulla mia croce. Gesù mi chiede di sollevare e di portare la mia croce e di andargli dietro fino al momento in cui Lui ne prenderà possesso con i chiodi, e la farà sua definitivamente.
È proprio per questo che noi non siamo dei condannati, ma dei graziati.



Parla Simone il Cireneo
Simon the Cyrenian Speaks


Egli non mi disse una parola,
Eppure mi chiamò per nome;
Egli non mi fece neppure un cenno,
Eppure io capii e venni.
Dapprima dissi: «Non voglio portare
La sua croce sulla mia schiena;
Egli vuole caricarmela addosso
Solo perché la mia pelle è nera ».

Ma Egli moriva per un sogno
Ed era molto mite,
E nei suoi occhi splendeva una luce
Che gli uomini fanno molta strada per trovare.

Fu Lui a conquistare la mia pietà;
Ho fatto solo per Cristo
Ciò che tutta Roma non avrebbe potuto ottenere
Con lividi di frustate o sassate.

He never spoke a word to me,
And yet He called my name;
He never gave a sign to me,
And yet I knew and came.
At first I said, "I will not bear
His cross upon my back;
He only seeks to place it there
Because my skin is black."

But He was dying for a dream,
And He was very meek,
And in His eyes there shone a gleam
Men journey far to seek.

It was Himself my pity bought;
I did for Christ alone
What all of Rome could not have wrought
With bruise of lash or stone.

Countee Cullen (1903 - 1946)



Letture:
Isaia 50,4-7
Salmo 21
Filippesi 2,6-11
Marco 14,1-15,47


14 marzo 2024

Diventare specchio che rifletta l'amore di Dio - 17/3/2024 - V Domenica di Quaresima

semi germogliati (*)



Nei Vangeli ci sono due domande che ogni volta che le leggo, le sento come fossero rivolte a me personalmente. Una la pone Gesù: "e tu, Julo, chi dici che io sia?" (cfr. Mc 8, 29; Mt 16, 15 e Lc 9, 20). La seconda, nel Vangelo di oggi, la pongono dei Greci: «vogliamo vedere Gesù»

Penso che il 'mondo', le persone siano stufe di discorsi dotti, stanchi di prediche auliche, di norme e regole fumose. Non c'è bisogno di dimostrazioni di Dio. C'è bisogno di fedeli che 'mostrino' Dio; che lo rendano presente con la loro vita, con i loro gesti.
In una società delle immagini, dell'apparire, c'è bisogno di 'influencer' che ci facciano venire voglia di Dio.
Quando morì in un incidente d'auto, l'abbé Amédée Ayfre, il creatore della teologia dell'immagine, aveva 42 anni. La sua epigrafe più bella è stata detta, sia pure involontariamente, da un'attrice che confessò ad un giornalista che la intervistava: "Che cosa volete che vi dica, quello era un uomo che quando lo incontravi, ti faceva venire voglia di Dio".
Penso a fr. Roger, che ogni volta che lo vedevi, che parlavi con lui, con il suo sguardo, con la dolcezza del suo sorriso ti faceva venire nostalgia di Dio.
Mosè quando discese dal monte Sinai dopo aver incontrato Dio, aveva 'il volto incendiato', il viso splendente (Es 34, 29).
È la nostra vita che deve mostrare Gesù, che deve diventare uno specchio che rifletta l'amore di Dio per tutti gli uomini, che sia segno della misericordia divina per tutti noi, pecorelle smarrite del suo gregge.
«Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza..."» (Gen 1, 26) In ogni essere umano c'è questa impronta, questo 'marchio di fabbrica', magari nascosto sotto mucchi di polvere, seppellito sotto valanghe di varia paccottiglia. La nostra vita dovrebbe diventare quello specchio che permetta agli altri di riscoprire quel pezzo di DNA divino che hanno nella loro persona.

È questo il senso dell'immagine del chicco di grano usata da Gesù. Noi ci lasciamo colpire da quel "se muore..., se non muore..." e trascuriamo tutto il resto. Quella parola, 'morire', è solo il dito che ci indica il vero nocciolo del discorso: "produrre vita". La gloria di Dio non sta nel morire, ma nel dare molto frutto. Perché il chicco di grano, come qualsiasi seme, anche se sembra qualcosa di secco e arido, in realtà è una bomba di vita. Perché il seme, una volta posto nel terreno, in realtà non muore, ma si trasforma. Il seme offre al germe (ma seme e germe non sono due cose diverse, sono la stessa cosa) il suo nutrimento, come una madre offre al bimbo il suo seno. E quando il seme ha dato tutto, il germe si lancia verso il basso con le radici e poi verso l'alto con la punta fragile e potentissima delle sue foglioline. Allora sì che il chicco muore, ma nel senso che la vita non gli è tolta ma trasformata in una forma di vita più evoluta e potente, gli viene donata più vita.



Dio ama racchiudere
il grande nel piccolo:
l'universo nell'atomo
l'albero nel seme
l'uomo nell'embrione
la farfalla nel bruco
l'eternità nell'attimo
l'amore in un cuore
se stesso in noi.

versi tratti da 'Ho buttato tutto ciò che potevo per fare più spazio al cuore' di Ferruccio Parrinello




Letture:
Geremia 31,31-34
Salmo 50
Ebrei 5,7-9
Giovanni 12,20-33



* (Foto di Adrian Infernus su Unsplash)


07 marzo 2024

L'unico modo giusto di amare è esagerare - 10/3/2024 - IV Domenica di Quaresima

Foto di Patty Brito su Unsplash



«Dio infatti ha tanto amato il mondo».
È immenso quell'avverbio di quantità. "Tanto", senza misura, in maniera esagerata.
La misura esagerata è la misura dell'amore. Perché di amore non ne riceviamo mai abbastanza. Perché di amore non ne doniamo mai a sufficienza.
Gesù è venuto non per dare una nuova legge, ma per mostrarci l'amore di Dio e spronarci ad imitarlo.
Perché con la legge, una volta che la segui, sei a posto.
Ma con l'amore non sei mai a posto. Non puoi mai dire "ho amato abbastanza". Hai sempre la possibilità e la capacità di amare ancora un po' di più, ancora un po' meglio. Perché l'amore più lo doni, più cresce in te e attorno a te.
L'unico modo giusto di amare è esagerare.

L'amore scalda il cuore, illumina la vita dell'amato e dell'amante. Illumina le nostre notti come ha illuminato la notte di Nicodemo (lui era andato da Gesù di notte). L'amore è una forza immensa, che "move il sole e l'altre stelle" (Paradiso, XXXIII, v. 145) ci ricorda Dante. È una forza che mi fa rinascere alla fiducia, alla speranza, alla serena pace, alla voglia di amare, di custodire e coltivare persone, talenti, creature, tutto intero il piccolo giardino che Dio mi ha affidato.
Non solo l'uomo, ma anche il mondo è amato, la terra è amata, e gli animali e le piante e la creazione intera.
E se Dio ama la terra, anch'io posso e devo amarla, con i suoi spazi, i suoi figli, il suo verde, i suoi fiori.
E se Egli ha amato il mondo e la sua bellezza fragile, allora anche tu amerai il creato come te stesso, lo amerai come il prossimo tuo: "mio prossimo è tutto ciò che vive" (Gandhi).

Gesù è venuto per amore, per portare tutti a Dio. Perché a Dio non interessano i tribunali. A Dio non interessa fare processi contro di noi, né per condannare né per pareggiare i conti. Ma neppure per assolverci. La vita degli amati da Dio non è a misura di tribunale, ma a misura di abbracci, di carezze, di sorrisi, di pane condiviso. Di amore sparso senza misura, seminato su tutti i terreni (Mt 13,1-23, Mc 4,1-20 e Lc 8,4-15).

Gesù è venuto perché il mondo sia salvato. Salvare vuol dire curare, vuol dire conservare. Nulla andrà perduto, non un sospiro, non una lacrima, non un filo d'erba. Non andrà perduta nessuna generosa fatica, nessuna dolorosa pazienza, nessun gesto di cura per quanto minuscolo e nascosto.



If I can stop one heart from breaking
Se io potrò impedire a un cuore di spezzarsi


If I can stop one Heart from breaking
I shall not live in vain
If I can ease one Life the Aching
Or cool one Pain
Or help one fainting Robin
Unto his Nest again
I shall not live in Vain

Se io potrò impedire a un cuore di spezzarsi
non avrò vissuto invano
Se allevierò il dolore di una vita
o guarirò una pena
o aiuterò un pettirosso caduto
a rientrare nel nido
non avrò vissuto invano

Emily Dickinson



Letture:
2 Cronache 36,14-16.19-23
Salmo 136
Efesini 2,4-10
Giovanni 3,14-21


29 febbraio 2024

Purificare il tempio che sono io - 3/3/2024 - III Domenica di Quaresima

Cacciata dei mercanti dal tempio (bronzo)
Lorenzo Ghiberti
Porta nord del battistero di San Giovanni (Firenze)



«Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio»
Questo brano viene in mente spesso a chi non crede, magari quando visita Lourdes o qualche altro centro religioso molto frequentato. E non hanno del tutto torto.

Ma a me ultimamente fa venire in mente san Paolo quando dice che noi siamo tempio di Dio (1Cor 3, 16).
Io sono tempio di Dio, e io ho lasciato entrare i mercanti, ho lasciato che questo tempio di Dio che sono io sia diventato 'una spelonca di briganti'.
Ogni volta che sono andato in chiesa per mercanteggiare col Signore per comprare un pezzetto di Paradiso sono stato un mercante.
Ogni volta che ho pregato e implorato solo quando mi trovavo con l'acqua alla gola sono stato un mercante.
Ogni volta che ho preteso che Dio mi esaudisse quando e come volevo io, che Lui fosse a mia disposizione, sono stato un mercante.
Questo tempio di Dio che sono io sarà veramente purificato quando le sue frustate avranno cacciato fuori questa mia mentalità mercantile, questo mio cercare di acquistare il Paradiso, questa mia concezione utilitaristica della religione.
Questo tempio di Dio che sono io sarà veramente purificato quando il Signore da persona religiosa mi avrà trasformato in persona di fede. Quando da uno che ha una religione mi avrà fatto uno che vive una fede.

Ma c'è un particolare, presente solo in Giovanni, che mi colpisce: Gesù fustiga tutti, sparge a terra banchetti, merci e soldi, ma ai venditori di colombe rivolge la parola!
La colomba era l'offerta dei poveri, era l'offerta fatta da sua mamma Maria e suo papà Giuseppe. In questo 'non infierire' mi pare ci sia come un riguardo verso i poveri, verso gli umiliati dalla vita e dall'egoismo dei potenti.
Mi sembra che Gesù ci voglia dire che l'alternativa al tempio 'covo dei briganti', non è il 'tempio dei perfetti', ma il tempio aperto alle persone che sanno di essere imperfette, ma che si sforzano di vivere meglio che possono. Delle persone che cercano in Dio il compagno di strada che ci guida verso la rettitudine, spronandoci, confortandoci e aiutandoci ad rialzarci quando inciampiamo e ruzzoliamo a terra.




Letture:
Esodo 20,1-17
Salmo 18
Prima Corinzi 1,22-25
Giovanni 2,13-25


22 febbraio 2024

Luce che mette ali alla nostra speranza - 25/2/2024 - II Domenica di Quaresima

La Trasfigurazione 
Sacro Monte di Varallo (VC)
Cappella XVII (seconda metà 17° secolo)




Domenica scorsa avevamo la luce colorata dell'arcobaleno. Oggi nel Vangelo abbiamo la luce bianca della Trasfigurazione. Questa luce accende la nostra vita, questo Vangelo mette le ali alla nostra speranza.
La luce che viene dal Tabor proclama che il buio, il male, la violenza non vinceranno. Sembrano dilagare, soverchiare tutto ciò che incontrano, ma non è questo il destino dell'uomo. Il buio non avrà l'ultima parola.
Perché nell'uomo c'è luce! E se i tuoi occhi sono luminosi, scoprono la luce degli altri.

Gesù porta i suoi amici su un alto monte. La cima di una montagna è il primo luogo illuminato dal sole nascente e l'ultimo su cui giunge la luce al tramonto. La montagna è la terra che si innalza verso il cielo, verso la luce. È il punto d'incontro tra Dio e l'uomo, il luogo che Dio ha scelto, nella Bibbia, per rivelarsi. E difatti accanto a Gesù compaiono Mosè ed Elia, gli unici che hanno veduto Dio.

Nessuno dei Vangeli che raccontano la Trasfigurazione (Mt 17,1-9, Mc 9,2-10 e Lc 9,28-36) racconta i particolari di quello che è successo, tranne quello delle vesti che diventano splendenti. Talmente bianche che «nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche» specifica Marco.
Ma se le vesti sono così splendenti, come risplenderà il corpo? e il cuore?
Quando il cuore gioisce e risplende, lo splendore si comunica anche agli occhi, il volto si illumina, e anche il corpo e le vesti si 'colorano' di festa.
Nel passo parallelo, Matteo dice che il volto di Gesù «brillò come il sole» (Mt 17, 2). Chiunque riempie la propria vita di amore, fa dell'amore la bussola che lo dirige, ha già dentro di sé la vita eterna, è già resuscitato.
Ho avuto la fortuna di conoscere delle persone che vivevano di Dio e per Dio. Nonostante l'età avanzata avevano degli occhi da fanciullo, uno sguardo luminoso che ti illuminava e ti scaldava il cuore.
Come ha detto don Pino Puglisi, "l'amore di Dio purifica". Non veniamo spersonalizzati dall'amore di Dio, anzi. La nostra personalità, la nostra unicità viene esaltata e potenziata. Viene donata una luce nuova alle nostre capacità, alla nostra volontà, a tutta la nostra persona. E allora possiamo essere candela nella notte per gli altri.

Il racconto termina con la voce che esce dalla nube e che dice «ascoltatelo!» Ecco cosa dobbiamo fare perché la luce lavori in noi, dobbiamo ascoltarlo. E ascoltarlo significa fare le scelte che ha fatto Lui, preferire le cose che Lui preferiva, lavorare per le cose per cui lavorava Lui.
Dobbiamo ascoltare la luce. Il mondo è intriso di luce, lo sanno tutte le religioni, ma lo sanno anche gli innamorati, i puri di cuore, i giusti. Lo spiega molto bene Olivier Clément: "ora io so che alle sorgenti della bellezza, della pace e dell'energia, all'origine di quelle falde di fuoco presenti nel cosmo e nell'uomo è posto Gesù di Nazareth".
Ascoltiamolo, e potremo vedere il divino affacciarsi dal fondo di ogni creatura.



Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.

Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace.

Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri,
coloro che mungono le nuvole.

Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,
non dimenticare i popoli delle tende.

Mentre dormi contando i pianeti , pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.

Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,
coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.

Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,
e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio.

Mahmoud Darwish (1941-2008)



Letture:
Genesi 22,1-2.9.10-13.15-18
Salmo 115
Romani 8,31-34
Marco 9,2-10


15 febbraio 2024

L'arcobaleno, un abbraccio colorato tra il cielo e la terra - 18/2/2024 - I Domenica di Quaresima

Arcobaleno nel deserto
(Foto di Dan Meyers su Unsplash)



Marco in tutto il suo Vangelo è sempre molto laconico, di poche parole, ma qui raggiunge una sobrietà imbattibile, da vero record: in due frasi stringatissime ci sono le Tentazioni e l'inizio della predicazione!
Sono questi i due temi di questa domenica.

Nella prima frase siamo subito dopo il battesimo nel Giordano, e abbiamo la prima sorpresa. Lo stesso Spirito che si era posato su di Lui come colomba, adesso, invece di proteggerlo, lo butta nel deserto.
«Sospinse Gesù nel deserto» letteralmente sarebbe "lo spinse fuori". Marco usa un verbo che indica non una dolce pressione, ma una spinta decisa, quasi violenta. È un verbo molto simile a quello usato per indicare la cacciata di Adamo ed Eva dall'Eden (Gen 3,24). Gesù, nuovo Adamo, affronta il mondo percorso dalle potenze del male («stava con le bestie selvatiche»), per iniziare il ritorno dell'umanità verso il Giardino perduto («gli angeli lo servivano»).
Lo Spirito non tiene al sicuro, al calduccio, il credente, ma è "soffio" che sospinge verso il mondo. 'Caccia fuori' dal tepore del pietismo, dagli schemi collaudati, dalle strutture che invece di favorire la vita favoriscono solo la loro esistenza. Lo Spirito fa uscire allo scoperto, ci butta proprio dentro alle difficoltà. Dopo averci immerso nelle acque del battesimo, ci immerge nelle acque dell'esistenza quotidiana.
È il 'battesimo nell'umanità'.
Lo stesso Spirito che ci fa diventare figli di Dio, ci fa diventare 'fratelli di tutti gli uomini'. Ci unisce verso l'alto e verso il basso

L'atteggiamento con cui dovremmo affrontare la Quaresima ci viene indicato dalla seconda parte del brano di oggi. Non dobbiamo cominciare la Quaresima con il volto accigliato, ma con un sorriso. Gesù inizia con un annuncio gioioso, che dalla Galilea raggiunge tutte le strade del mondo. Apre la sua missione con una buona notizia: «Il regno di Dio è vicino».
Gesù è venuto ad annunciare, non a denunciare. Non viene come un riformatore religioso o come un rigido moralista, ma come il messaggero di una bella notizia straordinariamente gioiosa: puoi vincere il male, dentro e fuori di te!
Il male è ciò che fa male all'uomo, ed è evocato oggi dal racconto dei quaranta giorni passati da Gesù nel deserto, tentato da Satana. Per fare questo non basta il tuo sforzo, devi prima conoscere la bellezza del dono di Dio che sta accadendo: il regno di Dio è qui.
Dio viene e guarisce la vita, ti dà il suo respiro, il suo sorriso, la sua vita. A tutti e senza misura. E non ti lascia più, se tu non lo lasci. Dio viene perché il mondo sia totalmente diverso, un mondo dove sia possibile vivere bene, trovare la pienezza della vita, della felicità.
Con il suo annuncio Gesù ci fa il primo regalo, ci dice "voi siete immersi in un mare d'amore ma non ve ne rendete conto". E aggiunge: "convertitevi!", cioè 'cambiate sguardo, guardate questo mare d'amore, guardate verso questa luce che è il volto di Dio e scoprite che ogni uomo può essere un amico'.

La prima lettura ci svela un Dio che inventa l'arcobaleno, questo ponte colorato tra cielo e terra. Ci racconta di un Dio inventore di comunione con tutto ciò che vive. Ci dice che tu puoi lasciare Dio, ma Lui non ti lascerà mai.

Ma allora come si può vincere il male che è dentro di noi e fuori di noi? La strada ce la indica Gesù: non contare sul tuo sforzo, sulla tua volontà, ma sulla forza del Regno che è già dentro di te, una forza che è potente ma mite, pacifica.
Si può vincere il male solo contando sul bene, seguendo l'esempio di Gesù scegliere sempre l'amore. Padre David Maria Turoldo ha scritto: "Noi moriamo perché adoriamo cose da nulla, perché scegliamo amori da nulla". La tentazione è sempre tra due amori. Io vinco se scelgo l'amore più grande. L'amore che è già qui.
Si tratta di credere alla 'Buona Notizia' che è l'amore, a questa realtà che è dentro e fuori di noi e che ha la bellezza di un arcobaleno.



Nomade d'amore,
ho lasciato la ricchezza del palazzo
per un arcobaleno.
Tu hai spalancato la mia vita
sei vento che soffia e gonfia le vele
seguirti è cosa da gente coraggiosa.
lo mi sono lasciata afferrare da te
e catturandomi mi hai liberata:
ora cammino a un passo da regina.

Come in un tuffo in acque profonde
dapprima ho avuto paura
ma ora ho in dono da te
un nuovo respiro.

Scintilla d'eterno mi sento
vicino a te
eretta, regale.

Con gli occhi nel sole
a ogni alba io so
che rinunciare per te
è uguale a fiorire.
Marina Marcolini




Letture:
Genesi 9,8-15
Salmo 24
Prima Pietro 3,18-22
Marco 1,12-15


08 febbraio 2024

Non c'è legge che Dio non sia disposto ad infrangere per salvarti - 11/2/2024 - VI Domenica Tempo Ordinario

Gesù e il lebbroso
(Duomo di Monreale - mosaico)



«Andiamocene altrove» aveva detto Gesù nel Vangelo di domenica scorsa. E sono andati altrove.
Solo che l'altrove di Gesù non è lo stesso che pensavano i discepoli. Loro pensavano di andare di successo in successo («Tutti ti cercano!» gli avevano detto), vedevano già tappeti rossi stesi per accoglierli in un tripudio di folla.
L'altrove di Gesù lo incontrano oggi: è un lebbroso.

Abbiamo sentito dalla prima lettura quale siano le regole per i lebbrosi: esclusione totale da ogni contatto. Vengono trattati e considerati peggio della spazzatura. E alla gogna sanitaria si aggiunge il fatto che per la mentalità del tempo la lebbra era una punizione di Dio per una qualche colpa gravissima.
L'altrove di Gesù è la persona rifiutata e scartata dagli uomini e, secondo le persone 'pie', anche da Dio.

«Se vuoi, puoi purificarmi!» gli ha urlato il lebbroso. Un grido che risuonerà spesso nella vita di Gesù. Da questo lebbroso, passando dal cieco di Gerico «Gesù, abbi pietà di me!» (Mc 10, 47b) per arrivare fino al ladrone crocifisso accanto a lui «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23, 42).
Non c'è nulla di ciò che affligge l'uomo che non affligga anche Dio. Non c'è nessuna legge che Dio non sia disposto ad infrangere per salvare l'uomo.
Perché Lui ha una sola legge: l'amore per ogni essere umano, nessuno escluso!

E la risposta di Gesù è da far tremare i polsi: «Lo voglio». Dico che fa tremare i polsi perché in tutto l'Antico Testamento il rapporto tra Dio e il popolo d'Israele viene presentato come un matrimonio, e quindi mi fa venire in mente il matrimonio, quando il coniuge, risponde così alla domanda "vuoi tu prendere ... nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, amarla e onorarla tutti i giorni della tua vita?".
Non importa quanto la vita ti abbia sfigurato o quanti errori tu abbia fatto. Se quando Gesù ti passa accanto hai l'istinto ti rivolgergli un tuo sospiro, Lui lo accoglie e ti accoglie. Ti dice che starà con te qualunque cosa accada, "nella salute e nella malattia, nella gioia e nel dolore", che ti sarà sempre fedele e che ti amerà per l'eternità.
Ti dice che la sua fame e la sua sete di te sono senza fine.




Un ricordo di padre Ernes Ronchi:
Tempo fa ho visitato un lebbrosario in Amazzonia e un lebbroso alla messa pregò così: «Chiediamo al Signore che aiuti padre Ermes, perché in Europa è tanto difficile mantenere la fede». Invece di pregare per sé, pregava per me. Alla fine della messa gli ho chiesto: «Ma tu, quando incontrerai il Signore, gli domanderai perché sei stato lebbroso?». E lui: «Io non gli chiederò niente, mi sono sempre fidato».



Letture:
Levitico 13,1-2.45-46
Salmo 31
Prima Corinzi 10,31-11,1
Marco 1,40-45


01 febbraio 2024

La 'giornata tipo' di Gesù - 4/2/2024 - V Domenica Tempo Ordinario

Foto: Patrick Schneider (Unsplash)




Il brano del Vangelo di oggi, insieme a quello di domenica scorsa, racconta la prima giornata della 'vita pubblica' di Gesù, e il fatto che sia nel primo capitolo di Marco ci dice che rappresenta la giornata tipica del maestro.
Questa giornata inizia con la preghiera comunitaria, in sinagoga, e finisce, aprendosi alla giornata successiva, con la preghiera personale. In mezzo ci sono l'insegnamento (la predica in sinagoga) e le opere (liberazione dallo spirito maligno in sinagoga, guarigione della suocera di Pietro, guarigioni e liberazioni dai demoni alla sera).
Una giornata piena, con impegni e contemplazione, stare con gli amici e mescolarsi alla gente comune, attenzione alla miseria umana e attenzione a Dio, entrare e uscire.

Ad una prima lettura può sembrare che ci sia un contrasto: città-deserto; folla-solitudine. Cioè la città come momento dell'attività e il deserto come momento della preghiera; la folla come 'luogo' dell'incontro con gli altri, la solitudine come 'luogo' dell'incontro con Dio.
Ma dobbiamo fare attenzione che in Dio le due cose non sono contrapposte. Il 'darsi' e il 'sottrarsi' sono complementari, si completano a vicenda. Le due braccia della preghiera comunitaria e della preghiera solitaria servono ad abbracciare e sostenere le azioni della predicazione, dell'incontro con gli altri e della loro guarigione. Senza l'abbraccio le azioni fanno fatica a stare in piedi, e senza le azioni le braccia stringerebbero il vuoto.
Gesù non ritiene esaurito il proprio compito perché ha insegnato, guarito, liberato, alleviato le sofferenze umane. La solitudine e la preghiera fanno parte integrante del suo ministero, completano la sua agenda degli impegni.

E dopo la preghiera Gesù non rimane fermo, si spinge (e spinge gli Apostoli) altrove. La preghiera non è solo il culmine dell'attività, ma ne è anche sorgente.
Il deserto è il luogo delle decisioni imprevedibili, la preghiera deve aprirsi, e aprirmi, alla dimensione dell'imprevedibilità, della sorpresa, della creatività.
Nella preghiera scopriamo nuovi sentieri da percorrere. La vera preghiera spinge 'altrove' perché ci rende docili allo Spirito, perché ci libera dai calcoli e dalle prudenze umane.

Se il deserto non ci fa aprire lo sguardo sul nuovo, sul 'non ancora', sull'inesplorato per il Regno, allora può trasformarsi nel luogo della falsa sicurezza, della pigrizia mascherata da fedeltà. Si tratta di scoprire una geografia inedita e infinita o di adagiarsi nella ripetitività, nel 'si è sempre fatto così'.




Letture:
Giobbe 7,1-4.6-7
Salmo 146
Prima Corinzi 9,16-19.22-23
Marco 1,29-39


25 gennaio 2024

Ogni uomo è 'faccenda' di Dio - 28/1/2024 - IV Domenica Tempo Ordinario

La fede ha il sapore del pane condiviso
(foto: Gustavo Di Nucci)



Nella sinagoga di Cafarnao Gesù compie il primo miracolo, ed è un miracolo di liberazione.

Il primo miracolato, è un indemoniato che sta pregando nella comunità. È un habitué del sabato, uno che di prediche e di spiegazioni della Torah ne deve aver ascoltate un mucchio. Eppure ha dentro di sé ha «uno spirito impuro». Può capitare di passare tutta una vita andando ogni sabato in sinagoga, ogni domenica in chiesa, pregare, ricevere i Sacramenti, eppure mantenere dentro uno spirito malato. "Si può vivere tutta una vita come cristiani della domenica senza farsi mai toccare dalla Parola di Dio" (Gaetano Piccolo s.j.). È questione di lasciare che la fede resti un 'sapere' (precetti, comandamenti, latino, paramenti e giaculatorie varie), senza mai far sì che diventi un 'sapore'.
Perché la vera fede ha il sapore del pane condiviso con chi si trova vicino a te in quel momento, ha il profumo di un abbraccio, il calore di un sorriso fatto a chi non se lo aspetta. La vera fede scende dal cervello e si radica nel cuore. La vera fede non si preoccupa di stabilire chi è dentro o fuori dalla Chiesa, ma sogna di farci entrare tutti.

Ma cerchiamo di capire un po' di più cosa ha fatto Gesù. Lui ha individuato alla radice le forze che impediscono ad un uomo di essere uomo. E si impegna a denunciarle ed esorcizzarle. Si impegna a liberare l'uomo da tutto ciò che deturpa l'immagine di Dio che egli è, da tutte quelle forze come il denaro, il potere, la paura, la brama di dominare e tante altre, che gli danno una falsa sicurezza, ma in realtà lo incatenano e lo schiacciano sempre più in basso.
Questo perché i nemici dell'uomo sono i nemici di Dio. Tutto ciò che attenta alla dignità di un essere umano, di una persona, è bestemmia alla gloria di Dio. Tutto ciò che minaccia l'uomo è un oltraggio a Dio. Difendere Dio vuol dire innanzi tutto difendere la sua "immagine e somiglianza". Dio non sa che farsene degli omaggi alla sua santità quando la poi deturpiamo sfregiando la sua immagine che è ogni essere umano. Ogni offesa ad un essere umano, a qualsiasi essere umano, è contraria alla dottrina e alla morale.

L'uomo, ogni uomo è faccenda di Dio, checché ne dica chi cerca di usare Dio per il proprio interesse di parte.

In fondo l'indemoniato ha detto la verità: Dio è venuto per rovinare Satana. Anche se Satana, dal giardino dell'Eden in poi, dice che Dio è venuto per rovinare l'uomo.




Letture:
Deuteronomio 18,15-20
Salmo 94
Prima Corinzi 7,32-35
Marco 1,21-28


18 gennaio 2024

Dio si mette alla ricerca degli uomini - 21/1/2024 - III Domenica Tempo Ordinario o della Parola di Dio

Chiamata di Pietro e Andrea
mosaico secc. V/VI
S. Apollinare Nuovo - Ravenna



Marco, nel sui Vangelo, ci presenta un Gesù sempre in movimento, e che mette in movimento le persone. Questa scena della prima chiamata è essenziale, schematica, e presenta alcuni elementi comuni nelle chiamate dei discepoli.

I primi da sottolineare da parte del Cristo sono lo sguardo e l'iniziativa.
Sguardo - Quel «vide» non è una notazione banale. Qui è uno sguardo che mette a fuoco una persona, che ne legge il cuore. Uno sguardo che sceglie, che elegge, che tira fuori dalla folla. L'incontro inizia col 'vedere' la persona al di là delle apparenze. Ma è anche uno sguardo che diventa messaggio, proposta di comunione.
Iniziativa - Nel giudaismo del tempo erano i discepoli che cercavano e sceglievano il maestro. Gesù, fin dal principio, sovverte il 'si è sempre fatto così': è lui che va in giro a scegliersi i discepoli. E sceglie all'insegna dell'assoluta gratuità, cioè senza nessuna motivazione umana. Fin dall'inizio Gesù ci spiega, con il suo operare, che la vita cristiana è risposta al dono della grazia. Se mi decido è perché Qualcuno si è deciso nei miei confronti. Non siamo noi che partiamo alla ricerca di Dio, ma è Dio che si mette alla ricerca degli uomini. La Grazia di Dio non è frutto dei nostri meriti, ma li precede. Sono i nostri 'meriti' ad essere il frutto della Grazia di Dio che abbiamo accolto.

Ma alla chiamata corrisponde una risposta, in cui c'è da sottolineare il distacco, la sequela e il 'lasciarsi fare'
Distacco - La risposta passa attraverso il distacco, si traduce in una separazione, una rinuncia, un allontanamento.
Sequela - Ma l'accento non va posto sul 'lasciare', ma sul 'seguire'. Discepolo non è chi ha abbandonato qualcosa, ma chi ha trovato Qualcuno. Quello che si è trovato vale centomila volte quello che si è lasciato.
Si tratta si seguire, non di imparare. Si impara giorno per giorno seguendo il Maestro, vedendo come si comporta, come opera, come ama! Dobbiamo imparare a imitarlo, la "Imitatione Christi".
Lasciarsi fare - «vi farò diventare pescatori di uomini» il mestiere di pescatori di pesci lo conoscono, quest'altro no. Lo impareranno strada facendo. Lo impareranno lasciandosi plasmare, lasciandosi amare dal Maestro.

Quest'ultimo punto è importante. È impossibile trovare un discepolo, un cristiano già bell'e fatto, completo, arrivato. Cristiano è semplicemente "uno che lo sta diventando". Su ognuno di noi Dio mette il cartello di "lavori in corso".



Letture:
Giona 3,1-5.10
Salmo 24
Prima Corinzi 7,29-31
Marco 1,14-20


11 gennaio 2024

Certi incontri sono 'Grazia' - 14/1/2024 - II Domenica Tempo Ordinario

Giovanni Battista attira l'attenzione di due suoi discepoli su Cristo
Domenico Zampieri detto Domenichino
(affresco 1627-1628)
Catino dell'abside chiesa di Sant'Andrea della Valle (Roma)



Il giorno precedente all'episodio raccontato dal Vangelo di oggi, Giovanni Battista aveva ricevuto la visita di una delegazione che voleva accertare la sua identità (vedi Vangelo del 17/12/23 terza domenica di Avvento). Adesso quel «uno che voi non conoscete» è lì che sta passando. E Giovanni non ha nessuna esitazione: lo indica ai suoi discepoli.
Un gesto molto significativo.
Giovanni non accentra neanche per un momento l'interesse su di sé. Anzi, lo sposta subito sul Personaggio principale. E non si preoccupa se questo gesto gli fa perdere alcuni suoi seguaci, ma ne è contento perché è quello che si aspetta («Lui deve crescere; io, invece, diminuire» Gv 3, 30).
Il dito del Battista che indica senza nessun indugio è il simbolo migliore di ogni testimonianza cristiana. Il vero "testimone della fede" è uno che conosce bene la propria parte, che sa quando deve 'entrare in scena', senza paura, ma soprattutto che sa uscirne al momento giusto e in silenzio. Il vero testimone non è invadente, non pretende di avere tutto il palcoscenico a sua disposizione, È uno che lascia spazio. Lascia spazio ad un Altro, ma anche lascia spazio alla libertà degli altri.

E da questo dito puntato, Giovanni Evangelista inizia il racconto dell'incontro con Gesù. Nonostante i molti dettagli (le indicazioni di luogo, la data e persino l'ora) le parole riportate sono molto poche. L'Evangelista che in altre occasioni (ad esempio i colloqui con Nicodemo o con la Samaritana) ha riferito dettagliatamente quanto detto, qui non dice neanche una parola sulla conversazione di quelle ore.
Sembra quasi che Giovanni ci voglia suggerire che l'importante non è quello che si sono detti, ma il fatto di stare là, insieme a Lui. L'avvenimento cruciale, ciò che conta realmente, era la sua Presenza, non altro.
Certi momenti, certi incontri, sono "Grazia" indipendentemente dalle parole che vengono dette.

Invece Andrea sente il bisogno di parlare, di condividere la scoperta inaudita. «Incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia"». Quel "per primo" lascia intendere che ha comunicato anche ad altri la sua esperienza. Quello che conta è che non si è perso in tante parole, ma che "lo condusse da Gesù". Anche lui come il Battista si è fatto da parte, ha portato il fratello alla fonte.
Possiamo e dobbiamo condividere con gli altri la nostra esperienza, ma non dobbiamo pretendere che loro la ripetano allo stesso modo, seguendo lo stesso schema. Ciascuno deve fare la propria esperienza. La nostra può servire da invito, da spunto. Non da modello da copiare.
Possiamo e dobbiamo dare il gusto dell'avventura, ma poi dobbiamo lasciare che ognuno tenti personalmente, che diventi soggetto della propria strada.
Un fatto personale diventa evento comunitario. La storia di una chiamata, si allarga, diventa racconto di vita attraverso una trama di amicizie.




Letture:
1Samuele 3,3-10.19
Salmo 39
Prima Corinzi 6,13-15.17-20
Giovanni 1,35-42