25 marzo 2021

Davvero quest'uomo era Figlio di Dio - 28/03/2021 - Domenica Delle Palme



Di fronte al racconto della Passione si sente tutta la nostra piccolezza, ci mancano non solo le parole, ma anche i pensieri. Il dono è così grande e così immeritato da quasi paralizzarci.

Eppure c'è chi è riuscito in poche parole (solo 7) a cogliere il nocciolo di quanto accaduto: «Davvero quest'uomo era Figlio di Dio!»
E non si tratta né di uno dei sacerdoti o di un fariseo, né tanto meno di uno degli Apostoli (anche perché loro erano scappati). Si tratta di un pagano, di un romano occupatore e che era a capo dei crocifissori.

Solo lui è riuscito a vedere in quell'uomo torturato, deriso, insultato, il Figlio di Dio.
C'è da notare che tutti circondano il condannato. Solo di lui viene detto che «si trovava di fronte a lui». Viene in mente il primo comandamento «Non avrai altri dèi di fronte a me» (Es 20,3 e Dt 5,7). Quando realmente non hai altri dèi davanti a Lui, allora riesci a trovare Dio non nel trionfo, nella vittoria, nella potenza, ma nell'ignominia di un condannato a morte, di un rifiutato e deriso da tutti, in particolare dai potenti.

Dove gli altri hanno visto un essere sopraffatto, annichilito e umiliato, il centurione è riuscito a cogliere la persona che liberamente sceglie di donare la sua vita. I suoi occhi non vedono una persona che soffre, ma una persona che ama. Che ama fino alla fine, fino a dare l'unica dimostrazione inoppugnabile, l'unica che non lascia alcun dubbio: morire per la persona amata!
Veramente Gesù vive fino in fondo le sua parole: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici»(Gv 15,13)
Stare "di fronte a lui" gli ha permesso di non fermarsi a guardare il "dito" della Croce e della sofferenza immensa, ma di riuscire a vedere ciò che quel "dito" indica: l'amore infinito, immeritato, di Dio per noi!

«Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5, 8) dirà qualche anno più tardi san Paolo. Una verità che il centurione ha colto nel momento in cui si realizzava.
Dovremmo andare a scuola di sguardi proprio da questo centurione, per riuscire a vedere l'amore immenso di Dio per noi, per riuscire a scoprire che Dio non ci chiede sacrifici, ma che è Lui a sacrificarsi per noi.


(Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Mc 14,1-15,47)


18 marzo 2021

Mostrare Gesù, non 'dimostrare' - 21/03/2021 - V Domenica Quaresima



Lascio ad altri, più bravi di me, tutte le considerazioni sul bellissimo discorso di Gesù. Io invece mi soffermo su quella richiesta che, proprio all'inizio di questo brano, alcuni ebrei della diaspora, di madrelingua greca, rivolgono all'apostolo Filippo: «vogliamo vedere Gesù»

In questa civiltà moderna in cui tutto sembra a portata di mano, tutto sia raggiungibile e ottenibile, basta avere soldi a sufficienza, abbiamo dimenticato che le cose più importanti, le cose veramente necessarie, non si possono comprare. Il denaro non ci può dare l'amore, l'amicizia, il sorriso di un bambino, l'abbraccio di una persona cara, una carezza data solo per affetto.
Abbiamo perso il senso della gratuità, cioè abbiamo perso il senso del divino.

Noi, che cerchiamo di essere cristiani, abbiamo un grande compito: far sì che l'essere umano torni ad essere una 'creatura di desiderio', dobbiamo ridare al mondo la voglia di Dio. Ma non dobbiamo cercare di insegnare Gesù, il mondo è stanco di discorsi su di Lui, anche quelli intelligenti. Dovremmo parlare di Lui solo col linguaggio degli innamorati. Dobbiamo «mostrarlo», non «dimostrarlo».
Non si insegna Dio, lo si racconta. Non è qualcosa letto sui libri, ma qualcuno incontrato nel viaggio della nostra vita.
Se abbiamo trovato la 'perla preziosa' dobbiamo mostrarla, non tenerla nascosta. Mosè quando discese dal monte Sinai dopo aver incontrato Dio, aveva il 'volto incendiato', il viso splendente.

È la nostra vita che deve mostrare Gesù, la luce del nostro volto che deve mostrare che abbiamo trovato un tesoro nascosto. La nostra vita deve diventare uno specchio che rifletta l'amore di Dio per tutti gli uomini.
«Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza..."» (Gen 1, 26) In ogni essere umano c'è questa impronta, questo 'marchio di fabbrica', magari nascosto sotto mucchi di polvere, seppellito sotto valanghe di varia paccottiglia. La nostra vita dovrebbe diventare quello specchio che permetta agli altri di riscoprire il 'timbro di Dio' che hanno nella loro persona.

Quando l'abate Amedeo Ayfre morì in un incidente d'auto, un'attrice, intervistata da un giornalista, disse di lui: "era un uomo che quando lo incontravi ti faceva venire la voglia di Dio". A noi, è mai successo di aver fatto venire la voglia di Dio a qualcuno?


(Ger 31,31-34; Sal 50; Eb 5,7-9; Gv 12,20-33)


11 marzo 2021

Nulla di ciò che esiste andrà perduto - 14/03/2021 - IV Domenica Quaresima (Laetare)



«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna»
Il cristianesimo è la risposta ad un invito: Dio chiama, e aspetta una risposta dall'uomo. Ed è una risposta libera, che l'essere umano darà quando, come, e soprattutto se, vorrà. Il cristianesimo è tutto qui: prima Dio chiama, dopo l'uomo risponde. Invertire i termini - l'uomo chiama, Dio risponde - è stravolgere il cristianesimo.

E c'è da notare che l'iniziativa di Dio è tutta a nostro favore: «(Dio) non ha mandato il Figlio per condannare il mondo ma perché il mondo sia salvato per mezzo di Lui».
Direi che è di una semplicità e chiarezza uniche. Eppure, nonostante tutto si sente spesso dire, e se siamo onesti dobbiamo ammettere che tante volte anche noi lo abbiamo pensato se non anche detto, "Ci penserà Dio a punirti!"
È una falsificazione dell'immagine divina, è l'incapacità di accettare che Dio ci voglia salvare tutti, costi quel che costi, anche la vita del proprio Figlio.
"Salvare" è azione divina (non umana, si viene salvati, non 'ci si salva') meticolosa. Dio sposta gli armadi, alza il tappeto, fa luce nello sgabuzzino e in ogni angolo, anche il più nascosto e irraggiungibile, per non tralasciare niente e nessuno. Nulla di ciò che esiste andrà perduto. È per questo che il Figlio si è fatto uomo: perché ogni essere umano venga salvato. E se l'uomo accetta, allora tutta la sua vita viene salvata dalla misericordia divina, dall'amore di Dio. Tutta la persona viene salvata, peccato compreso: la vergogna, in questo caso, è anticipo di risurrezione. Noi dobbiamo solo accettare, lasciarci abbracciare dallo Spirito Santo e farci trasportare 'dalle stalle alle stelle'.

Ma lasciare che Dio lavori 'per-noi' è il difficile della sequela cristiana: è accettare che qualcuno abbia già pensato a me e per me prima ancora che io abbia avvertito bisogno di un qualcosa. È riconoscersi creature, un gradino al di sotto del creatore, ammettere che, in materia di restauro, non c'è restauratore più fidato di chi quell'opera l'ha creata dal nulla. Per Lui è un gesto amoroso.
Ma per noi invece pare proprio che fare cose 'per-Dio' sia il mestiere più facile da compiersi: fioretti, processioni, rinunce e digiuni. Siamo più propensi a fare che a 'lasciarci fare'.

Noi troppo spesso pensiamo che essere cristiani voglia dire amare Dio.
Dimentichiamo che invece essere cristiani significa sapersi amati da Dio, sempre e comunque. («In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa.» 1Gv 3, 19-20)


(2Cr 36,14-16.19-23; Sal 136; Ef 2,4-10; Gv 3,14-21)


04 marzo 2021

I mercanti sono dentro di noi - 07/03/2021 - III Domenica Quaresima



L'evangelista Giovanni mette il famoso episodio della cacciata dei mercanti del tempio proprio all'inizio della predicazione di Gesù. Così ci avverte che per rinnovare la nostra fede, il nostro vivere da cristiani, è necessario partire da qui, dal venire liberati dai numerosi 'mercanti', sia 'ufficiali' che abusivi, che si mettono in mezzo tra noi e Dio.

Leggere questo brano da semplici spettatori, usarlo cioè come frusta per scagliarsi contro i negozi che nei pressi dei santuari vendono oggetti religiosi, contro i preti che 'fanno pagare' le messe o i matrimoni, contro i viaggi organizzati verso vari luoghi di apparizioni più o meno miracolose (solo per fare alcuni esempi), ci impedisce di capire il senso profondo del gesto di Gesù, cosa esso significhi per noi e per la nostra fede.
San Paolo ci ricorda che il nostro corpo «è tempio dello Spirito Santo» (1Cor 6,19). È dentro di noi, nel tempio che è il nostro corpo, che dobbiamo lasciar entrare Gesù perché scacci i mercanti che vi hanno preso dimora.

Il primo mercante è quello dell'interesse, cioè quello che ci fa usare la chiesa e la fede per il nostro tornaconto, per avere un qualche potere, dei privilegi, del prestigio. Invece di servire cerchiamo di essere serviti, invece di essere servitori cerchiamo di servirci. Tutte le volte che ci sentiamo più meritevoli, migliori degli altri solo perché noi 'crediamo', siamo come quei mercanti che profanano il tempio di Dio.

Un altro mercante che ci profana è quello che ci spinge a mercanteggiare col Signore, a cercare di 'comprarsi' il suo favore, di piegarlo alla nostra volontà. Quello che ci fa pensare 'io ti ho dato ..., ho rinunciato a ..., ho fatto questo e quello, e allora adesso Tu, Signore, devi fare come voglio io'.
È instaurare col Signore non un rapporto Padre-figlio, un rapporto d'amore, ma un rapporto do-ut-des, un rapporto 'commerciale'. È un 'comprare' che in fondo denota che non ci fidiamo fino in fondo di Dio. È come se ascoltassimo, e in qualche maniera ne tenessimo conto, le parole che il serpente ha rivolto ad Eva nel giardino in Eden: 'non ti fidare di Dio, sta cercando di imbrogliarti'.

Sono questi i mercanti che Gesù è venuto a scacciare dal nostro tempio. Lo fa perché sono incompatibili col Padre che conosce Lui e che vuole farci conoscere e amare. Lo fa all'inizio della sua missione proprio perché solo se ci liberiamo di loro possiamo aprirci ad accogliere il Padre che il Cristo ci rivela. Un Padre che non sta in cielo ad osservare il nostro comportamento con la lente d'ingrandimento, che non pesa col bilancino di precisione il bene e il male che facciamo.
Gesù ci rivela un Padre che scende tra di noi per incontrarci, che percorre tutte le strade per abbracciarci, che non si stanca mai di amarci, di soffrire per ognuno di noi e con ognuno di noi.
Ma soprattutto un Padre che non smette mai di donarci la sua pace, che non smette mai di sperare che noi accettiamo il suo dono: fare festa con Lui per l'eternità.


(Es 20,1-17; Sal 18; 1Cor 1,22-25; Gv 2,13-25)