«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna»
Il cristianesimo è la risposta ad un invito: Dio chiama, e aspetta una risposta dall'uomo. Ed è una risposta libera, che l'essere umano darà quando, come, e soprattutto se, vorrà. Il cristianesimo è tutto qui: prima Dio chiama, dopo l'uomo risponde. Invertire i termini - l'uomo chiama, Dio risponde - è stravolgere il cristianesimo.
E c'è da notare che l'iniziativa di Dio è tutta a nostro favore: «(Dio) non ha mandato il Figlio per condannare il mondo ma perché il mondo sia salvato per mezzo di Lui».
Direi che è di una semplicità e chiarezza uniche. Eppure, nonostante tutto si sente spesso dire, e se siamo onesti dobbiamo ammettere che tante volte anche noi lo abbiamo pensato se non anche detto, "Ci penserà Dio a punirti!"
È una falsificazione dell'immagine divina, è l'incapacità di accettare che Dio ci voglia salvare tutti, costi quel che costi, anche la vita del proprio Figlio.
"Salvare" è azione divina (non umana, si viene salvati, non 'ci si salva') meticolosa. Dio sposta gli armadi, alza il tappeto, fa luce nello sgabuzzino e in ogni angolo, anche il più nascosto e irraggiungibile, per non tralasciare niente e nessuno. Nulla di ciò che esiste andrà perduto. È per questo che il Figlio si è fatto uomo: perché ogni essere umano venga salvato. E se l'uomo accetta, allora tutta la sua vita viene salvata dalla misericordia divina, dall'amore di Dio. Tutta la persona viene salvata, peccato compreso: la vergogna, in questo caso, è anticipo di risurrezione. Noi dobbiamo solo accettare, lasciarci abbracciare dallo Spirito Santo e farci trasportare 'dalle stalle alle stelle'.
Ma lasciare che Dio lavori 'per-noi' è il difficile della sequela cristiana: è accettare che qualcuno abbia già pensato a me e per me prima ancora che io abbia avvertito bisogno di un qualcosa. È riconoscersi creature, un gradino al di sotto del creatore, ammettere che, in materia di restauro, non c'è restauratore più fidato di chi quell'opera l'ha creata dal nulla. Per Lui è un gesto amoroso.
Ma per noi invece pare proprio che fare cose 'per-Dio' sia il mestiere più facile da compiersi: fioretti, processioni, rinunce e digiuni. Siamo più propensi a fare che a 'lasciarci fare'.
Noi troppo spesso pensiamo che essere cristiani voglia dire amare Dio.
Dimentichiamo che invece essere cristiani significa sapersi amati da Dio, sempre e comunque. («In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa.» 1Gv 3, 19-20)
(2Cr 36,14-16.19-23; Sal 136; Ef 2,4-10; Gv 3,14-21)
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