22 settembre 2022

Ogni povero è amico di Dio - 25/9/2022 - XXVI Domenica tempo ordinario

 

Illustrazione dall'Evangeliario di Echternach (*)



Per molti, troppi, secoli questa parabola è stata usata dai potenti, e purtroppo anche da tanti uomini di chiesa, per tenere 'rassegnati' e sottomessi i poveri e gli indigenti: i poveri devono solo lasciare che i ricchi finiscano in pace il loro banchetto e abbiano la loro sepoltura, così poi, in Paradiso, avranno la loro rivincita.
Niente di più lontano dal senso biblico di 'rassegnazione'. Mai nella Bibbia si invita a rimandare all'al di là la soluzione alle ingiustizie del presente. La fede è anche indignazione, denuncia delle disuguaglianze, lotta contro le ingiustizie. Il giudizio di Dio non è rimandato all'ultimo giorno, ma inizia e va proclamato nel presente, oggi.
Cerchiamo quindi di capire meglio cosa ci vuole comunicare questa parabola.

Innanzi tutto c'è una particolarità: in tutto il vangelo di Luca questa è l'unica parabola in cui uno dei protagonisti ha un nome. È un nome peraltro comune nell'ebraismo (significa "Dio aiuta", "Yahweh viene in soccorso"). Ma soprattutto è il nome di un amico carissimo di Gesù (Gv 11, 5). È un nome che sa di affetto e vicinanza, che ha il sapore di cene condivise nella gioia e nella semplicità (Lc 10, 38), che ha l'odore del nardo (Gv 12, 3). È un nome che sa di resurrezione (Gv 11, 38-44).
Il povero ha il nome dell'amico perché ogni povero è amico di Dio, così come ogni povero dovrebbe avere, per me, il nome, e il posto, di un amico.

Il ricco invece non ha nome. Per i semiti il nome esprime la realtà della persona, la sua storia e la sua missione. Il ricco non ha nome perché non ha realtà,non ha storia, non ha missione. Ha costruito la sua vita sul vuoto, sulle cose e alla fine è divenuto 'cosa'. Ha perso il vero senso della vita, perché non si può vivere per «fare lauti banchetti» tutti i giorni.
Lui si è isolato, separato dalla vita. La ricchezza l'ha imprigionato nell'egoismo. La sua sarà anche, all'apparenza, una prigione dorata, ma sempre prigione è. Impegnato a guardare nel suo piatto ricolmo non vede il povero che sta alla sua porta. I cani vedono meglio di lui!
La sua è una vita apparentemente piena. Ma in realtà è vuota. Piena di cose, ma a ben guardare sono cose inutili. Se queste facciate posticce, queste maschere, cadessero non rimarrebbe niente, se non un'estrema solitudine e mancanza di senso. Una disperazione. Cioè un inferno, e non nell'al di là, ma già qui sulla terra.

La morte non è un ribaltamento di quello che succede qua adesso, ma è il presente che viene 'fissato' nell'eternità.
Il ricco si accorge che ha bisogno degli altri (Abramo e anche Lazzaro) quando è dall'altra parte, quando ormai non è più in tempo. Lui si preoccupa degli altri (i suoi cinque fratelli) in ritardo.
Ma questa impossibilità non è dovuta ad una 'punizione' da parte di Dio. Anche se all'inferno il ricco rimane sempre un «figlio» (è così che lo chiama Abramo). Il fatto è che non è la morte che converte, ma la vita!

«Hanno Mosè e i profeti», hanno il grido dei poveri, che sono la parola e la carne di Dio («tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» Mt 25, 40). Nella loro fame è Dio che ha fame, nelle loro piaghe è Dio che è piagato. Non c'è apparizione o miracolo o preghiera che conti quanto il loro grido: "Se lasciate l'orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa." (San Vincenzo de' Paoli).

Con questa parabola "Gesù non cerca di spaventarci con un inferno futuro o di consolarci con un paradiso futuro. Piuttosto intende mostrarci come il Cielo cammini là dove risuona la Parola di Dio che permette ad un uomo di trovare il proprio fratello" (Alphonse Maillot)


(Am 6,1.4-7; Sal 145; 1Tm 6,11-16; Lc 16,19-31)


(*)Pannello superiore: Lazzaro alla porta dell'uomo ricco.
Pannello centrale: L'anima di Lazzaro è trasportata in Paradiso da due angeli; Lazzaro nel petto di Abramo.
Pannello inferiore: L'anima del ricco è trasportata da due diavoli all'inferno; il ricco è torturato nell'inferno


15 settembre 2022

La scoperta degli altri - 18/9/2022 - XXV Domenica tempo ordinario


Sagrada Familia - Barcellona (Spagna)
Particolare dell'interno (foto J.C.)



A un primo sguardo sembra quasi che Gesù lodi la disonestà, che ammiri questo amministratore disonesto che cerca di rimediare ad una irregolarità per mezzo di altre irregolarità. È forse per questo che la parabola viene omessa nella forma breve?

Battute a parte, per capire questo brano bisogna andare al centro, al motivo dominante, senza lasciarsi 'distrarre' dagli elementi secondari, di sfondo.

Innanzi tutto c'è da dire che la lode di Gesù non è rivolta all'amministratore disonesto o alla sua disonestà, ma alla furbizia di cui ha dato prova, cioè Gesù loda la capacità di tirarsi fuori da una situazione difficile. Dio ci ha donato un cervello ed è contento se lo usiamo. Usare la propria capacità di ragionare, la propria fantasia, ragionare con la propria testa è già un rendere grazie al Signore.
Il Signore ama le persone che di fronte a situazioni nuove non si chiudono dietro ad un 'si è sempre fatto così', ma usano le proprie capacità per leggere i segni dei tempi, per capirli, per dare nuove risposte e scoprire nuove strade.

Ed è quello che ha fatto questo amministratore, ha fatto una scoperta decisiva: ha scoperto gli altri. Fino a quel momento in pratica non si era accorto della loro esistenza, aveva pensato esclusivamente a sé stesso, ai propri interessi. E adesso scopre la realtà dei rapporti personali, dell'amicizia oserei dire. Continua ad usare ingiustamente della proprietà altrui, ma adesso non lo fa a suo vantaggio, ma a vantaggio degli altri.
La sua salvezza passa attraverso questa sua apertura agli altri.

Questo deve essere ben chiaro a tutti noi. Come Chiesa dovremmo sempre ricordarci che elezione non vuol dire privilegio, ma servizio. Non dobbiamo 'appropriarci' dei beni del Signore, ma li dobbiamo 'dilapidare' a vantaggio dell'umanità. Anche noi, come Chiesa, dovremmo fare come l'amministratore, che ammette di non essere capace di maneggiare la zappa, e ammettere che non possiamo fare altro mestiere che perdonare, usare misericordia, compatire (nel senso di patire insieme), aprire, liberare.

Ma anche come semplici cristiani la parabola ci insegna ad essere 'irregolari', ma in altra maniera, cioè a vantaggio del prossimo. Dovremmo imparare a minimizzare le colpe degli altri, cancellarne le offese, non ragionare in termini di diritti o di chi ha ragione ma in termini di dono, di amore. Dovremmo imparare ad aprire le mani per donare, per regalare gioia, speranza.

Certo, i nostri conti col Signore saranno sempre in rosso, ma Lui troverà quello che ci manca negli altri.


(Am 8,4-7; Sal 112; 1Tm 2,1-8; Lc 16,1-13)


08 settembre 2022

Siamo 'importanti di amore' - 11/9/2022 - XXIV Domenica tempo ordinario

Suo padre lo vide

Cattedrale di Santo Domingo de la Calzada (Spagna)

Portone (bronzo - Centro Aletti)




Quello che emerge dalle tre parabole del Vangelo di oggi, è che Dio ha un modo molto diverso dal nostro di tenere la contabilità. Lui non è disposto ad accettare neanche un piccolo segno meno. Qualsiasi sottrazione per Lui è inaccettabile. Non si accontenta delle 99 pecore, non si rassegna ai due euro (più o meno il valore di una delle monete citate da Luca) mancanti. E fa di tutto per ritrovare ciò, ma sarebbe meglio dire 'chi', era perduto. Per lui il gioco vale sempre la candela, non esiste limite allo sforzo per trovare ciò che manca alla pienezza del suo amore.

Per Dio, ognuno di noi ha un valore unico, ognuno di noi è irripetibile, insostituibile. Ciascuno di noi per Dio è prezioso, importante. "Importante di amore" diceva Pierre Talec. Cioè è 'importante' di ricerca senza sosta, di preoccupazione, di sollecitudine, di attesa infinita, di ansioso ma paziente scrutare dalla finestra.
Dio non si rassegna ad essere impoverito anche di una sola di una delle sue creature. Nel suo cuore un figlio perduto, anche fosse il peggiore degli uomini, rappresenta un danno irreparabile che non può essere riparato, una ferita profonda che non si può rimarginare in nessuna maniera. Solo il recupero di quel minuscolo ma incalcolabile tesoro la può far smettere di sanguinare e richiudere.

L'uomo può cessare di essere figlio, può fare a meno del padre, può fuggire lontano.
Ma Dio non si rassegna, non riesce a stare senza l'uomo. E impazzisce di gioia, obbliga tutti a far festa appena la sagoma di chi è andato via in malo modo si intravede all'orizzonte. E non gli importa del perché è tornato, né se sia pentito o meno. L'unica cosa che importa è che sia tornato, che sia di nuovo a casa.

E tornando a casa il figlio riceve un dono grandissimo. Non riceve delle cose (quelle le ha avute quando se n'è andato), ma riceve dei 'simboli' (i sandali, il vestito e l'anello) che indicano a lui, ma anche a tutta la famiglia e al mondo, che la sua dignità di figlio gli è stata pienamente restituita.

È quello che succede anche a noi nel sacramento della Riconciliazione. Anche a noi viene restituita la nostra piena dignità. Ma non solo. Anche noi, come il figlio fuggito, restituiamo a Dio qualcosa che gli avevamo rubato, qualcosa che Lui cercava disperato: la nostra comunione con Lui.
Confessarsi vuol dire ricevere e dare, accogliere e restituire. La gioia è di tutti e due.
Quando ci confessiamo, dobbiamo ricordare che non stiamo solamente portando a Dio i nostri peccati. Soprattutto noi gli stiamo riportando la nostra presenza. Gli stiamo restituendo la possibilità della festa; la possibilità di essere Padre "ricco" di un figlio.


(Es 32,7-11.13-14; Sal 50; 1Tm 1,12-17; Lc 15,1-32)


01 settembre 2022

Il "più" dell'amore di Dio - 4/9/2022 - XXIII Domenica tempo ordinario

Cristo Pantocratore
Santuario del Cristo Re a Zouk-Mosbeh (Libano)
(mosaico - Centro Aletti)


Le parole di Gesù sembrano dure, difficili, addirittura inumane. Però se andiamo al di là della prima impressione, se le cogliamo nella loro essenza, scopriamo che sono stupende. Di primo acchito sembrano che ci inchiodino alla croce, ma in realtà ci chiamano alla resurrezione, ad una vita più piena e più felice.

Noi pensiamo che l'amore per Dio ci debba portare ad una 'sottrazione' nei nostri amori umani. Ma Gesù usa una parola precisa: "più". Gesù non fa sottrazioni, Lui fa solo addizioni!
A noi, che sentiamo sempre le parole del serpente che ci invita a diffidare di Dio, sembra quasi che Dio si metta in competizione con i nostri cari, che ci chieda di rinunciare a loro per poter accogliere Lui.
Ma l'accento delle parole di Gesù non è sulla rinuncia, ma sulla conquista. Non indicano un punto di partenza, indicano una meta. In pratica Gesù ci dice: "Tu sai quant'è bello amare tuo padre, tua madre, il tuo coniuge, i tuoi figli, quanto ti fa bene e ti rende felice. Ecco, io ti dono qualcosa di più, qualcosa che rende il tuo amore ancora più bello, qualcosa che ti fa stare ancora più bene, che ti rende ancora più felice",
Dio non toglie niente, anzi. Lui aggiunge il suo amore al nostro amore, accoglie il nostro amore per amare ancora di più le persone, il mondo.

«Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo». Attenzione: 'portare la croce' non significa 'sopportare' le sofferenze e le difficoltà della vita. Non è un sopportare passivo, ma un 'prendere' attivo.
Perché la croce è il riassunto della vita di Gesù, quindi 'portare' la croce significa vivere una vita che assomigli a quella di Gesù, fare le sue scelte, preferire chi lui preferiva. Cioè vivere una vita come la sua, che sapeva amare come nessun altro.
Prendere la croce vuol dire prendere l'amore, perché se no non vivi, e prendere anche la parte di dolore che ogni amore porta con sé, perché se no non ami.
Perché Dio non ci salva dalla croce, ma nella croce, non protegge dal dolore ma nel dolore, non dalla tempesta ma nelle tempeste della vita.

Essere figli di Dio non vuol dire essere figli di una sottrazione, ma di un'addizione, di un qualcosa di molto di più. I credenti non sono uomini e donne diminuiti, ma sono uomini e donne che hanno più amore, più libertà, più consapevolezza. "Il cristiano è un essere umano finalmente promosso a uomo" diceva don Primo Mazzolari.
Il cristiano non è uno che crede di amare il cielo perché non ama nessuno sulla terra. È invece uno che ha scoperto che il vivere il Vangelo rende più belle le esperienze belle che facciamo sulla terra.


(Sap 9,13-18; Sal 89; Fm 1,9-10.12-17; Lc 14,25-33)