26 aprile 2013

Dalla teoria alla pratica - Seconda parte: La pratica (prima tappa)


Giovedì 18/4 sono riuscito a ritagliarmi la mattina. E ho pensato di verificare sul campo. Primo bus della mattina fino a Opicina. Un caffè e una brioche (fatta mettere in un sacchetto per dopo) nel bar Vatta. E scopro con piacere che a quest'ora il tutto costa solo 1 euro!

Da qui, zaino in spalla e via, sentiero verso Monrupino in modo da andare a incrociare il mio tracciato e poi seguirlo. 

Imbocco via degli alpini (e da ex alpino è sempre un piacere) e qui proprio nel primo giardino vedo uno splendido pirus in fiore. E poco più avanti un altro giardino pieno di tulipani. Quando la via si allontana dai binari della ferrovia si prosegue per il sentiero che li costeggia, e dopo aver attraversato la provinciale si continua sul sentiero verso la foiba 149, o 'Foiba di Opicina Campagna', monumento nazionale. Prima della foiba ci si inoltra nel bosco. Mi meraviglia sempre quando attraverso un bosco all'alba sentire quanti tipi di uccelli ci sono, è tutto un cinguettare con innumerevoli voci, infiniti toni. L'aria fresca, il canto degli uccelli, il sole che si intravede tra le fronde, ma soprattutto il fatto di essere in cammino mi fanno sentire leggero e felice. Mi viene in mente il Benedictus "verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge". Trovo che l'alba sia sempre un momento magico, poetico, al contrario del tramonto che è un momento spettacolare.

Intanto, passo dopo passo arrivo alla foiba. Subito dopo incrocio il sentiero che arriva da Monrupino, e qui devo svoltare a destra per prendere il largo cammino che corre parallelo all'autostrada. Ma dopo poche decine di metri trovo tutto sbarrato, cartelli di divieto di accesso e fili elettrificati. Vedo se è possibile aggirare il tutto ma la palizzata va dalla rete dell'autostrada a quella della ferrovia.

L'unica possibilità è andare verso Monrupino, subito dopo i due sottopassaggi sotto i binari, prendere il sentiero a destra per andare a Monrupino percorrerlo fino all'incrocio con quello che porta a Fernetti, e quindi andare verso questa località.

Ma nella rabbia, e col fatto che non mi porto dietro le carte, mi dimentico che è il secondo sentiero a destra quello che devo prendere, e imbocco il primo. Mi accorgo quasi subito dell'errore e visto che comunque il sentiero va nella direzione giusta faccio il secondo errore: non torno indietro. E difatti, quando ormai è troppo tardi per rimediare, il sentiero di colpo finisce nel nulla del bosco. Individuo nel sottobosco una pista degli animali che va circa verso dove vorrei andare e inizio a seguirla. Il bosco diventa sempre più pieno di arbusti (ma anche di violette in fiore). E anche la pista degli animali scompare. Per fortuna anche se le carte le lascio a casa, la bussola la porto sempre dietro. So che devo puntare a nord perché così incontrerò o il sentiero giusto o mal che vada la provinciale per Fernetti. Farsi strada del fitto sottobosco, facendo attenzione a dove si va (non vorrei cadere in una foiba o in un abisso) e evitare doline varie, è stata una faticaccia, ma alla fine sono arrivato al 
sentiero. Questo mi ha portato all'autoporto e alla strada che dal confine di Fernetti porta verso Opicina. 

Adesso mi aspetta un po' di asfalto e di traffico. Si deve seguire la strada fino a dopo il cavalcavia sulla ferrovia. Dopo la discesa si vede sulla destra uno slargo in cui arriva una strada in terra battuta e sulla sinistra un'interruzione del guard-rail in corrispondenza di un sottopassaggio che passa sotto l'autostrada. Si gira a sinistra e finalmente si lascia l'asfalto e si torna sulla terra battuta. Dall'interruzione a qui senza la deviazione avrei dovuto metterci 10 minuti, invece ci ho messo più di un'ora. Una chiusura di un tratto di circa 600 metri mi ha costretto a una deviazione di 6 km, di cui metà circa su asfalto con l'autostrada a pochi metri di distanza.

Ma per fortuna poco dopo aver imboccato la strada in terra battuta tutti i rumori scompaiono, rimangono solo i suoni della natura e il ticchettio dei miei bastoncini. Le varie zone di fango lasciate dalle numerose piogge di quest'anno sono piene di impronte: mountain-bike, scarpe, cani, ma anche cinghiali. E quest'ultime sono le più fresche. Mi colpiscono due: una grossa e a fianco quella del cucciolo. E dopo poco ecco tra il canto degli uccelli si sente proprio il grufolare dei cinghiali. Ma solo li sento, non riesco a vederli. E per fortuna, penso.

Il sentiero è uno spettacolo, pieno di fiori, anche dei peschi selvatici lo colorano di rosa. Dappertutto è pieno di violette. E intanto il sole si alza sempre di più, e quindi anche la temperatura. E siccome il camminare scalda rimango con solo la maglietta tecnica MC. Arrivo al paese di Trebiciano e seguo la strada più esterna (non si entra in paese). Proprio alla fine del paese scopro che c'è un 'laghetto' della cui esistenza non sapevo nulla. È molto piccolo e d'estate è quasi sicuramente asciutto. Il sentiero prosegue verso sud-sud-est fino ad arrivare a Padriciano. Subito prima di arrivare in paese mi imbatto in una macchia di primule in fiore. E tra le primule ci sono anche delle onnipresenti violette.

Qui bisogna attraversare il paese e visto che c'è l'unico bar fino a Bagnoli, mi fermo per un caffè e per riempire una delle cue bottiglie d'acqua che ormai ho svuotato. La sosta fa bene anche al fisico perché così ho modo di riposare un po' gambe e spalle. Lasciato il bar si prosegue lungo la provinciale 1 per circa 100 metri fino a che si vede di fronte una chiesetta. Prima di arrivare a questa chiesa si prende, a destra della provinciale, una stradina perpendicolare che all'inizio è asfaltata ma che quasi subito diventa in terra battuta. Iniziano ad esserci molti ciliegi in fiore, che fanno un bel accompagnamento ai cespugli gialli di forsizie. Si prosegue dritti per il largo sentiero fino a che si vede in lontananza sulla destra il complesso di edifici dell'Area di Ricerca. Qui bisogna girare di circa 120 gradi a sinistra, lasciando alla nostra destra tutta un'area in cui sono state piantati alberelli per il rimboschimento.

Nel terreno ci sono tante impronte. Non ci sono, e da un pezzo, quelle dei cinghiali. Ma oltre alle sempre presenti di biciclette, di scarpe e di cani, ce ne sono molte di cavalli. Ma ce n'è una che attira la mia attenzione, vecchia di un paio di giorni, ma molto chiara e nitida. Forma molto simile a quelle dei cani ma grossa il doppio e con delle unghie molto nette, molto lunghe e grosse. Quest'inverno in questa zona sono stati avvistati dei lupi e penso che questa sia un'impronta di lupo. A casa, controllando, ne avrò conferma. Evidentemente sono ancora da queste parti, o almeno ce n'è uno.

Da qui in avanti la strada è un piacevolissimo su e giù molto leggero, immersi in un bel prato verde che taglia il bosco. Tutto questo perché camminiamo sopra l'oleodotto che va verso la Germania  È il posto ideale per una sosta. Prima o poi i dovrebbe iniziare a vedere il mare, e quando arrivo in cima ad un dosso mi aspetto sempre di vederlo. Ma ogni volta vedo solo il dosso successivo. Quando poi finalmente vedo il mare mi viene in mente l'Anabasi di Senofonte, con il grido dell'avanguardia greca "MareMareMare". Mi viene da ridere perché la mia situazione non è neanche minimamente paragonabile a quella dell'armata greca. 

Arrivati al parcheggio sotto i campi di golf, si attraversa la strada asfaltata e si prosegue verso sud-est. Dopo aver attraversato il sentiero 1 del CAI si prosegue verso la statale 14 (strada per Basovizza). Quando si arriva a questa strada fare attenzione nell'attraversarla. Appena attraversata prendere subito il sentiero a sinistra. Dopo una cinquantina di metri il primo problema: il sentiero non si vede più, c'è solo un bel prato. Bisogna attraversarlo e dall'altra parte si troveranno altre tracce. Dopo una brevissima salita il sentiero ritorna perfettamente visibile. Inizia però anche una discesa piuttosto ripida che termina nella "Scala delle vacche", che ci porta fino alla provinciale 11 all'altezza dello svincolo per Cattinara e per l'autostrada. 

Proprio dall'altra parte della strada, in corrispondenza di quello che sembra un 'cruzeiro' (ma che in realtà è una vecchia colonna che indicava il confine del comune di Trieste) continua il sentiero. Questo è quasi in piano per un centinaio di metri, ma dopo 'precipita' in una ripida discesa. 
E qui il secondo problema: tutte le carte indicavano che dopo un po' sulla sinistra ci sarebbe stata una deviazione che risparmia un po' di strada. Ma si vede che non è molto frequentata perché ho fatto veramente fatica a vedere una cosa che con un po' di fantasia e molta speranza poteva sembrare un ricordo di un sentiero. Comunque sia l'ho imboccato. Ogni tanto si vedeva che una volta di qui passava gente, ma per la maggior parte era tutto da inventare al momento. Giunto alla fine ho capito perché non era più usato: l'ultima decina di metri era quasi verticale! La prossima volta conviene continuare per il sentiero principale, si allunga un po' ma si va più tranquilli.

Comunque si arriva ad una strada bianca, girando a sinistra si va verso la ciclabile Trieste-Draga Sant'Elia, che si raggiunge quando questa sbuca da una galleria. Si va per la ciclabile allontanandosi da Trieste. È un tratto piacevole, e il cammino, fino ad ora solitario, inizia a popolarsi, soprattutto di ciclisti, ma anche di runner.

E qui l'ultimo problema: le carte indicavano un sentiero che dalla vecchia stazione di Sant'Antonio-Moccò andava verso il paese di Sant'Antonio in Bosco. Questo sentiero non c'è più. Bisogna proseguire sulla ciclabile per un centinaio di metri e subito dopo un ponticello sulla destra c'è un'uscita. Arrivati sulla sottostante strada si svolta a destra fino ad arrivare nuovamente alla provinciale 11, dove si gira a sinistra.

Poco dopo si arriva alla fermata del bus di Sant'Antonio in Bosco. Qui il cammino prosegue proprio di fronte, ma io ero troppo stanco, soprattutto mentalmente, e dovevo essere a casa max per le 13, per cui mi sono seduto ad aspettare il bus.


Le considerazioni alla prossima.

E intanto qui un po' di foto

24 aprile 2013

Dalla teoria alla pratica - Prima parte: La teoria


Sono molto affezionato al santuario di Monrupino (qui e qui), tanto che vi sono andato a piedi da casa seguendo (e inventando) varie strade: la più lunga passava per Miramare  per poi salire a Prosecco. 
Da Roiano a Monrupino per Miramare
La più corta si inerpicava per via Scala Santa 
Da Roiano a Monrupino per via Scala Santa
(2 km con pendenza media del 16,2%, con tratti al 20% e mai sotto al 10%)
Profilo altimetrico (il picco iniziale è la Scala Santa)

(maggiori info qui e qui). 


Ci sono andato in estate e in inverno, col bello e col brutto tempo. 

E poi l'anno scorso alla radio ho sentito che a Strugnano (qui e qui), in Slovenia, venivano celebrati i 500 anni dell'apparizione della Madonna. Mi colpì subito un fatto: Monrupino è un santuario mariano sloveno in Italia, Strugnano è un santuario mariano italiano in Slovenia. Sono questi i frutti di tutti gli spostamenti dei confini che in meno di un secolo sono avvenuti in queste zone. Subito mi è venuto in mente: che bello sarebbe un pellegrinaggio che unisca questi due santuari, quale occasione per creare un ponte, o meglio un cammino di amicizia tra i due popoli!

Ho lasciato che questa idea covasse, quasi un seme messo nella terra che dovesse schiudersi. E intanto una notizia qua, una la, mantenevano accesa la brace. All'inizio pensavo che la parte più difficile sarebbe stato il percorso in Slovenia, mentre per il tratto italiano, visti i numerosi sentieri della zona, non ci sarebbero stati problemi.
Poi qualche mese fa ho scoperto l'esistenza della Parenzana, una pista ciclabile che dal confine italiano arriva fino a Parenzo in Istria e ricavata dalla vecchia ferrovia austro-ungarica. Una delle fermate di questa ferrovia era proprio Strugnano. Il più è fatto, ho pensato, anche perché giorni dopo ho parlato con un collega che l'aveva fatta in bici più volte e mi ha assicurato essere veramente ben fatta.

E così una sera ho tirato fuori la carta Tabacco e ho iniziato a buttar giù qualche percorso. Prima difficoltà: tra Monrupino e la meta c'è da attraversare una ferrovia e un'autostrada. Se si vuole rimanere su sentieri c'è, stando alle carte, un solo passaggio. Passando su asfalto un paio di più. Facendo un paio di misurazioni scopro che il passaggio su sentiero è anche il più corto! 
Più avanti i problemi, stando alle carte, sono solo di imboccare le deviazioni giuste, ma riesco a disegnare un percorso che riesce a ridurre al minimo indispensabile l'asfalto, abbastanza piacevole e interessante paesaggisticamente parlando e con pochissime difficoltà, salvo un paio di discese un po' ripide.
In totale poco più di 50 km, circa 25 in territorio italiano e circa 27 in quello sloveno. In linea teorica si potrebbe fare in due giorni. Il problema è dove dormire a metà. All'arrivo i frati del convento che gestisce il santuario a volte fanno accoglienza e la mattina c'è una corriera che arriva a Trieste.

È stato un progetto che mi ha divertito fare e che alla fine mi ha lasciato soddisfatto. E che pensavo rimanesse a livello teorico, uno dei tanti progetti che riempiono i miei cassetti.
Il mio progetto: da Monrupino a Strugnano (il più possibile per sentieri)