31 dicembre 2020

Dio in mezzo a noi - 03/01/2021 - II domenica dopo Natale

«In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.»
In 'principio', all'inizio. Tutto comincia, o ricomincia, da qui. Il nostro viaggio, il nostro cammino di fede incomincia da Dio, e da Dio dobbiamo ripartire dopo ogni nostra caduta, scivolone, sosta. Ogni volta che nella vita ci sembra di aver smarrito la strada, di esserci persi, tornare all'inizio, da dove tutto era iniziato, alle nostre radici, ci aiuta a riprendere il cammino, a ritrovare la rotta. E non solo nella fede!

Ma per ripartire da Dio, da Gesù, dobbiamo sapere dov'è
«E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria»
Non è alzando gli occhi o la mente all'altissimo dei cieli che potremo trovarlo. Perché Dio ha preso i nostri -issimi e li ha rovesciati. Altissimo, potentissimo, con Gesù diventano bassissimo, debolissimo.
Per tornare a Dio non dobbiamo cercare di alzarci verso altezze siderali, ma dobbiamo scendere alla bassezza umana.
Per tornare a Dio non dobbiamo cercare di avere potenze immense, ma dobbiamo scendere fino alla debolezza di un neonato.

Di fronte ad un uomo che da Adamo in poi non ha fatto altro che fuggire, che nascondersi davanti a Lui, Dio ha deciso di farsi prossimo all'uomo.
La carne di Dio è la nostra stessa carne, ecco perché non può che essere il Vicinissimo, ecco perché possiamo contemplare la sua gloria, cioè constatare la sua presenza. Il presepe ci dice proprio questo: possiamo essere piccoli e poveri, sentirci inadeguati, non all'altezza, falliti (e possiamo continuare): Dio sarà sempre il Vicinissimo, presente oggi nella nostra vita, nel nostro dolore, nella nostra inadeguatezza. È per questo che si fa festa a Natale! Perché Dio non si fa i fatti suoi su una nuvoletta, ma vive nel nostro mondo, percorre le nostre strade, soffre il nostro dolore, senza nessuno sconto.

Betlemme e la sua estrema povertà sono lo specchio di chi sei tu: poverissimo, lontanissimo da casa, irregolarissimo, inadeguatissimo.
Betlemme è l'offerta che Dio ti fa, Lui il Vicinissimo, l'innamoratissimo, Lui che fa pazzie per te.
Betlemme è la meta del viaggio per scoprire finalmente che anche tutte le tue miserie sono amate da Dio, per contemplare la sua presenza proprio là dove provi vergogna e imbarazzo.
Betlemme è il nuovo punto di partenza, ma questa volta si viaggia in due: Dio ti prende a braccetto e inizia a camminare con te. Per sempre.


(Sir 24,1-4.12-16; Sal 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18)


25 dicembre 2020

Buon Natale

 Due Presepi un po' particolari, ma che a me piacciono tanto per il ruolo di san Giuseppe

Questo è il primo:


e questo, in cui Giuseppe pare dica "lasciamo riposare la mamma", è il secondo:



B U O N   N A T A L E   A   T U T T I !


24 dicembre 2020

Facciamo il Presepe una statuina alla volta: il BAMBINO

Riprendo (aggiornando) alcune riflessioni proposte anni fa.*


Qualche anno fa su un quotidiano hanno pubblicato una vignetta con questa battuta:"Cosa aspetti per Natale?"-"Gesù Bambino". Ecco, noi questa sera mettiamo nel Presepe la statuina principale: il BAMBINO GESÙ.

Ma dove lo mettiamo? e poi, per cosa è venuto?

In questi giorni il Bambino lo possiamo trovare un po’ dappertutto: nella carta da regalo, sulle scatole di cioccolatini, sulle bottiglie di spumante, nelle vetrine dei negozi. Ma più noi lo mettiamo in ogni posto, più Lui non si fa trovare. Sembra che non voglia aver niente a che fare con questa confusione. Non vuole essere preso a pretesto per i nostri interessi, per una verniciatura di buoni sentimenti, per una patina di religiosità.
Per "fargli posto" non dobbiamo aggiungere, ma togliere, ripulire, ed è proprio quello che non vorremmo fare. Il Bambino che si fa dono esige purificazione, mani pulite, cuore in ordine. Natale non è un di più, ma una riduzione all'essenziale. Un Natale grandioso, trionfale, è quasi una bestemmia nei confronti di un Dio che sceglie la strada della piccolezza, quasi della clandestinità.
La cosa peggiore non è non fargli posto, ma sistemarlo secondo i nostri gusti. Se Lui arrivasse davvero, magari sotto il travestimento di un immigrato, di un anziano, di un ex-carcerato, per partecipare alla nostra festa, c’è da giurare che il Natale ci andrebbe di traverso. Un presepe che sia da allestire dal vero, spalancando la nostra porta allo sconosciuto, al clandestino, ci fa paura, disturba il "nostro" Natale, non è previsto dal cerimoniale.

Rimane l'altra domanda: per cosa è venuto? Lui viene per essere il Dio-con-noi (Mt 1,23). Ma non viene in visita, per togliere il disturbo subito dopo i festeggiamenti. Viene per rimanere, per condividere, vuole essere il Dio dei giorni feriali, di tutti i giorni.
E qui cominciano i guai. Perché un Dio sempre con noi esige tutto un cambiamento di mentalità, di scala di valori, di vita. Ma non negli altri, lo esige in noi stessi. Perché Lui viene come un amico sincero, come un fratello. Viene per gioire della nostra gioia, festeggiare con noi i nostri successi, consolarci nelle nostre sconfitte, abbracciarci nei momenti del nostro dolore. Ma anche per dirci chiaro e tondo quando sbagliamo, quando facciamo delle cavolate, quando ci comportiamo non proprio onestamente. E ce lo dice senza smettere di amarci, sempre in piena sincerità, ma anche in pieno rispetto della nostra libertà.


* Spunti tratti da "La novena di Natale davanti al presepe" di A. Pronzato - Gribaudi (2001)

BUON NATALE!!

23 dicembre 2020

Gesù, Bambino tra bambini - 27/12/2020 - Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

Per ben cinque volte Luca sottolinea che tutto viene fatto «per adempiere la legge». Giuseppe e Maria dimostrano l'attaccamento al loro popolo e la loro adesione alla tradizione. Non è un semplice atto esteriore, ma è una realtà sentita in maniera profonda da tutto il popolo, è il riconoscimento che tutto è dono di Dio e che tutto a Lui deve tornare. È il ricordarsi che anche la fertilità è dono di Dio.

Però in questo "adempiere la legge" c'è continuità, ma anche rottura. Colui che "non è venuto ad abolire la legge, ma a darle compimento" già ora porta la sua novità. E la profezia di Simeone lo dice chiaramente: Cristo sarà un segno di contraddizione.
Gesù porta a compimento la legge liberandola dalla casistica, dall'attaccamento ai cavilli che oscurano l'intenzione d'amore del Signore che questa legge ha donato. Gesù la purifica dalla caricatura del legalismo. E tutto questo lo inizia proprio qui, sottoponendosi umilmente alla Legge. Soltanto l'obbediente riesce a cogliere lo spirito della legge e ad essere sovranamente libero di fronte ad essa.

Ma il punto cruciale di questo passo sta nella "rivelazione" di chi sia il Bambino che avviene all'interno del Tempio. E questa rivelazione avviene sì nel tempio, ma non da parte della gerarchia, ma per mezzo di due fedeli, due persone anziane che in questo modo di trovano a fare da cerniera, da collegamento tra il Vecchio e il Nuovo Testamento. La Legge ha spinto la Sacra Famiglia a salire a Gerusalemme e al Tempio, e lo Spirito Santo ha spinto Simeone. E da questo incontro, col canto del 'Nunc Dimittis', l'orizzonte si allarga oltre i confini del popolo d'Israele per abbracciare tutti i popoli.

Ma sotto traccia c'è un altro tema: quello della giovinezza. Simeone e Anna appaiono come due vecchi, ma in realtà sono riusciti a rimanere giovani. Più che accumulare esperienze e delusioni, loro hanno accumulato speranza. Hanno avuto il coraggio dei propri sogni, non hanno rinunciato ad un'attesa impossibile. Sono rimasti «creature di desiderio».
Nel cortile del Tempio, il Bambino è stato preso in braccio da un fanciullo di nome Simeone e da una ragazzina di nome Anna. Maria stessa è una fanciulla. E pure Giuseppe, nonostante una certa iconografia, era un giovane.

Dio si concede esclusivamente ai bambini. Anche a quelli con tanti anni.


(Gen 15,1-6; 21,1-3; Sal 104; Eb 11,8.11-12.17-19; Lc 2,22-40)


19 dicembre 2020

Facciamo il Presepe una statuina alla volta: GIUSEPPE

Riprendo (aggiornando) alcune riflessioni proposte anni fa.*


Dopo Maria e i pastori, un’altra statuina immancabile è quella di san Giuseppe.
Immancabile anche se la mettiamo sempre in un angolino della grotta, un po' in fondo e un po' in disparte, dove avanza un posticino.
Ma non penso che questo gli dispiaccia. In fondo tutta la sua vita è stata all'insegna del nascondimento. La sua azione è poco appariscente, e anche la sua paternità è all'insegna della discrezione e del riserbo.
Di fronte all'annuncio dell’angelo, che non fornisce spiegazioni esaurienti, lui ubbidisce, accetta una realtà misteriosa, ma anche tormentosa, nella propria vita, non rifiuta il mistero.

Noi vorremmo sempre tutto chiaro, avere una soluzione convincente a qualsiasi problema, una risposta sempre chiara a ogni dubbio. Ragioniamo, discutiamo, chiariamo, e solo poi facciamo (ma tante volte ci accontentiamo di dire).
Proprio l’opposto di Giuseppe. Lui prima fa e poi, eventualmente, capisce. Noi invece vogliamo prima capire e poi eventualmente fare.

Anche il suo mestiere, falegname dice la tradizione, in realtà a quel tempo era un po’ il tuttofare della comunità, colui che aggiustava, riparava, sistemava ogni cosa, mobili, utensili, case. Anche noi dovremmo imparare l’arte di Giuseppe. Dopo gli incidenti, gli scontri, le liti, quando qualcosa dentro si rompe o si blocca nel nostro rapporto con gli altri, dovremmo avere la pazienza e la delicatezza di riparare i guasti, tentare di rimediare agli inconvenienti, cercare di ricucire, rimettere insieme.
Soprattutto dovremo resistere alla tentazione di fare come si usa oggi con le cose che non funzionano bene: buttare via. Dovremmo resistere alla tentazione di gettare le persone, scartarle, ignorarle, dichiarare che non c’è più niente da fare. Ma soprattutto nel mettere nel presepe la statuina di Giuseppe dovremmo pregarlo perché aggiusti tutto ciò che non funziona. Non nel presepe, ma nella nostra vita di credenti, nella nostra vita di uomini.

Ricordo che dall'8/12/2020 e fino al giorno dell'Immacolata 2021, per volere di Papa Francesco, ricorre l'Anno di san Giuseppe


* Spunti tratti da "La novena di Natale davanti al presepe" di A. Pronzato - Gribaudi (2001)


17 dicembre 2020

Diventa la casa di Dio - 20/12/2020 - IV domenica Avvento

Nella prima lettura sentiamo che il re Davide è preoccupato perché, mentre lui ha una casa per ripararlo dal freddo e dal maltempo, l'Arca dell'Alleanza, cioè Dio stesso, è costretto in una tenda, è senza una dimora adeguata. E invece Dio gli risponde, per mezzo del profeta Natan, che sarà Lui, Dio, a costruire una casa per la discendenza di Davide e per tutto il popolo d'Israele.
Dio dice che la casa che fisserà come dimora universale per tutti gli uomini sarà Lui stesso nel suo Verbo, che verrà a dimorare fra gli uomini per essere la loro stessa dimora, luogo d'incontro. E tutto questo si realizza nell'estrema umiltà, nella semplicità, in quella piccolezza in genere rigettata dagli uomini, ma che invece è esaltante per il Creatore del mondo.

Dio per costruire questa sua casa in mezzo a noi ha fatto le cose con calma, senza clamori ed effetti speciali. Il Vangelo di oggi ci ricorda che Gesù ci ha messo anche lui, come tutti noi, nove mesi per venire al mondo. Gesù non era un bambino speciale, e alla sua nascita non c'è stato nulla di spettacolare, anzi, la nascita del figlio di Dio è posta sotto il segno del rifiuto degli uomini. Gesù non ha bruciato le tappe, non ha fatto salti mortali, è semplicemente cresciuto, poco a poco come ognuno di noi. Ogni nascita è qualcosa di lento, che chiede tempo, pazienza, rispetto; se un seme diventa subito albero, vuol dire che c'è qualche forzatura. Gesù è cresciuto nella fatica, come tutti, nessun privilegio, nessuna scorciatoia. Non è "nato imparato", ma come tutti noi ha dovuto imparare tutto, a parlare, a camminare, a mangiare, a leggere e scrivere, insomma, ha dovuto anche lui imparare a vivere.

Il Vangelo di oggi ci dice che Dio è venuto tra di noi per mezzo di una giovane ragazza sconosciuta, senza meriti particolari; in una ragione, la Galilea, molto periferica e con una brutta fama; in una "città" (che in realtà contava solo circa un centinaio di abitanti) chiamata Nazareth mai prima nominata nella Bibbia; in una casa qualunque, ma che viene visitata da Dio.
Dio è un visitatore. E se noi vogliamo incontrarlo dobbiamo farlo qui, in questa nostra vita quotidiana, perché per rendersi presente, per raggiungere l'intera umanità, Lui ha scelto la comunissima e banalissima quotidianità di Nazareth.

Ma Dio per nascere ha bisogno degli uomini, ha bisogno di una donna e del suo grembo! Una donna, Maria, ha messo a disposizione sé stessa. La grandezza dell'uomo sta in questo: mettere a disposizione sé stesso! È bellissimo quello che chiede il vangelo: non accontentarti di costruire a Dio una chiesa, diventa invece la sua casa, come ha fatto la Vergine Maria! Diventa la casa di Dio!
Dio non si vede ed è vero! Ebbene, anche duemila anni fa non si vedeva, quando una donna lo portava in grembo. È necessario tornare al tempo della gravidanza di Dio; anche questo è il tempo di un Dio che non si vede, il tempo di un Dio nascosto nella vita degli uomini e delle donne di oggi.

Il Vangelo di oggi ci ricorda che non siamo noi ad allestire il presepe per accogliere il Signore, ma è il Signore che crea un solo presepe per accogliere ciascuno di noi.
Quella dei nostri presepi non è un'immagine sentimentale, una semplificazione del vangelo. Al contrario, ne esprime l'essenza. Il Signore stabilisce la sua dimora nella nostra casa. Vive con noi. La nostra storia e la sua storia sono una sola cosa. Stabilisce con noi un'alleanza, una amicizia eterna. Il nostro destino è per sempre legato al suo.


(2Sam 7,1-5.8-12.14.16; Sal 88; Rm 16,25-27; Lc 1,26-38)


15 dicembre 2020

Facciamo il Presepe una statuina alla volta: i PASTORI

Riprendo (aggiornando) alcune riflessioni proposte anni fa.*


Un presepe senza pastori non è un Presepe. In effetti proprio loro sono stati i primi invitati, i primi destinatari della "buona notizia", portata a loro direttamente dagli angeli.

Però nella realtà loro non erano come quelle statuine belle pulite che usiamo noi per i nostri presepi. Anzi!
Nella società ebraica di quei tempi erano considerati al pari di soldati, marinai, prostitute, usurai, esattori delle imposte, cioè dei pubblici peccatori.
A motivo della loro vita errabonda non potevano studiare e quindi osservare la Legge. E quindi erano gente senza legge.
E invece proprio loro, che a causa del loro mestiere, non potevano testimoniare in tribunale, sono chiamati a diffondere la notizia della nascita di Dio in terra, sono chiamati ad esserne i primi testimoni.

Decisamente i modi di Dio non sono i nostri modi. Quando noi dobbiamo diffondere una notizia riempiamo i social, indiciamo una conferenza stampa a cui ci preoccupiamo di invitare le persone più importanti, cerchiamo di metterci sotto le luci più forti.
Dio invece viene di notte, e chiama solo gli ultimi, i reietti, gli esclusi.
I pastori nel presepe ci dicono che le preferenze di Dio non sono le nostre, che la sua lista degli invitati boccia sonoramente la nostra. Lui gradisce la presenza, ma soprattutto la vicinanza, della gente da niente, degli individui che non contano, di quelli che non hanno le carte in regola perché le carte non le hanno (e in effetti sono i primi 'senza permesso di soggiorno').
Ci dicono che c'è sempre qualcuno, che noi magari disprezziamo, che è più vicino al Bambino di quanto noi pretendiamo di essere; e questo perché lui è arrivato prima di noi, ha capito meglio le esigenze del Vangelo, e fa la verità, mentre noi ci accontentiamo di conoscerla.

Ma soprattutto ci ricordano il dovere di accogliere i diversi, gli esclusi, gli immigrati, gli extracomunitari. Quando mettiamo i pastori nel presepe occorre farlo con uno stile penitenziale, domandando perdono per tutti i nostri razzismi, per tutte quelle volte che abbiamo detto, o anche solo pensato, che gli zingari ... i romeni ... i cinesi ... gli arabi ... e via dicendo. Dobbiamo chiedere perdono per tutte quelle volte che abbiamo diviso l'umanità in due: da una parte "noi", i buoni, i giusti, i sani; e dall'altra gli "altri", cioè i cattivi, gli sbagliati, i delinquenti.


* Spunti tratti da "La novena di Natale davanti al presepe" di A. Pronzato - Gribaudi (2001)


12 dicembre 2020

Trieste by night

 Come ogni città, la notte Trieste ha un fascino particolare:

Politeama Rossetti

albero davanti al politeama Rossetti

Politeama Rossetti














luna dietro palazzo Carciotti

le rive

chiesa greco ortodossa di san Nicolò

palazzo della regione

castello di Miramare da piazza Unità

piazza Unità


11 dicembre 2020

Facciamo il Presepe una statuina alla volta: le PECORE

Riprendo (aggiornando) alcune riflessioni proposte anni fa.*


Riprendiamo a mettere nel nostro presepe degli animali. Gesù spesso ci ha parlato di loro e quindi un "discorso su Dio" in cui mancassero sarebbe incompleto, zoppicante.
Oggi metteremo le pecore, gli agnelli. È questa una presenza necessaria, direi insostituibile, per due motivi. Primo, l’agnello ci ricorda il destino "sacrificale" di Gesù, è la profezia della sua Passione (come il suo essere "deposto" (si depone un cadavere) in una "mangiatoia", cioè dove si mette il cibo, è profezia dell’Ultima Cena, dell’Eucaristia). E secondo, la pecora ricorda al futuro Pastore il suo programma di "sollecitudine" verso il gregge: "Il pastore offre la vita per le pecore" (Gv. 10,11-15).

Il Battista ci presenta Gesù proprio così: "Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo" (Gv. 1,29). Al peccato, alla potenza del demonio, Dio non contrappone la forza, ma l’innocenza e la debolezza. Il peccato vede minacciato il suo dominio sul mondo dall'essere più innocuo, indifeso, fragile, vulnerabile.
Il peccato sghignazza di fronte alle voci roboanti, alle condanne implacabili, anche di tanti predicatori. Trema unicamente di fronte alla voce silenziosa, direi quasi al silenzio assordante, del candore, della debolezza, dell’amore che si dona. Tutta la sua potenza non può nulla contro la forza dell’amore.

Noi invece oggi non ci fidiamo più dell’agnello, siamo convinti che per combattere il male del mondo ci vuole ben altro. L’agnello è troppo timido, remissivo, insomma, troppo "buonista". In fondo pensiamo che Gesù è vissuto in un altro tempo, molto diverso dal nostro, che oggi occorre essere equipaggiati, e anche molto bene, per la lotta, bisogna avere armi efficaci. E non ci si accorge che questo agnello così equipaggiato per la lotta, per il dominio, invece di togliere il male dal mondo, finisce per incrementarlo.
Ci dimentichiamo che Gesù ha già definito la nostra società un mondo di lupi. Però non ci ha detto: "siccome dovete affrontare i lupi, attrezzatevi di conseguenza, mostrate i denti, azzannate prima di essere azzannati". Invece ci ha detto: "Vi mando come pecore in mezzo ai lupi" (Lc 10,3). Che ci piaccia o no, i lupi dobbiamo affrontarli, ma con la debolezza dell’Agnello.

L’agnello deve comportarsi da ciò che è, sempre, senza mai neanche travestirsi da lupo. Solo così potremmo contare sul Suo aiuto. «Finché siamo agnelli, noi viviamo. Se diventiamo lupi veniamo vinti. Perché ci mancherebbe l'aiuto del Pastore, il quale pasce agnelli, non lupi» ci ricorda s. Giovanni Crisostomo.


* Spunti tratti da "La novena di Natale davanti al presepe" di A. Pronzato - Gribaudi (2001)


10 dicembre 2020

Mandati da Dio - 13/12/2020 - III domenica Avvento (GAUDETE)

Nel Vangelo di oggi torna Giovanni il Battista, che l'evangelista ci presenta come 'testimone della luce'.
Il Battista è testimone di qualcosa che è molto più grande di lui. Ma questo qualcosa si affida proprio a lui, ad un semplice e umile uomo in un deserto, per manifestarsi.
Ed è bellissima la testimonianza di Giovanni Battista: quando viene interrogato sulla sua identità dice subito chi lui NON è ("non sono il Cristo", "non sono Elia", "non sono il profeta"). Non mette al centro la sua persona. Sa benissimo che lui deve diminuire, per lasciar crescere la luce che viene (Gv 3,30), ed è felice di questo. È importante sapere e accettare ciò che non si è. Solo così è possibile realizzare dei progetti rimanendo sereni e contenti.

E il progetto del Battista è di essere 'voce'. Voce di qualcun altro. Voce che grida nel deserto, luogo dove c'è desolazione e vuoto. Ma è un vuoto che può riempirsi di Dio. Non per niente per gli ebrei il deserto è il luogo dell'incontro con Dio, luogo in cui Dio, per mezzo della Legge, di dona al suo popolo.
E proprio qui questa voce grida: "Rendete diritta la via del Signore", cioè rendetela semplice e accessibile a tutti. Date a tutti la possibilità di incontrare il Signore, di farlo entrare nella propria vita. Giovanni Battista con le sue parole e con la sua vita, indica Qualcuno che è più grande, che sta oltre ma nello stesso tempo è vicino, viene.

Ma il Battista è anche "un uomo mandato da Dio". Un titolo che ci fa pensare a tutti quei piccoli incontri, quelle piccole esperienze che fanno parte della nostra vita e che sono state occasioni di crescita umana e di fede, di conversione e di consolazione. Esperienze e persone che, proprio come Giovanni Battista, non hanno indicato sé stesse, non hanno portato alla dipendenza mentale e non hanno cercato il successo personale. Chi è mandato da Dio come il Battista, attraverso quello che fa e quello che dice, libera il prossimo, indica la strada e lascia andare. È una persona che fa sentire le carezze di Dio, te lo fa sentire vicino.
Ognuno di noi è un 'mandato da Dio' quando aiuta qualcun altro a trovare il proprio posto nel mondo e gli fa sentire Dio vicino, senza fare di sé stesso il metro di tutto .

Come cristiani siamo chiamati a fare come Giovanni: chi sta con noi dovrebbe vedere, dietro il viso, le parole, i gesti e le scelte, che tutto questo richiama qualcun Altro di più grande da cui riceviamo luce e amore, e che è oltre di noi. Dobbiamo essere come belle finestre che si aprono su di un panorama splendido!
Questa è la vera testimonianza cristiana, questo ci fa essere "mandati da Dio"


(Is 61,1-2.10-11; Lc 1; 1Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28)


07 dicembre 2020

Facciamo il Presepe una statuina alla volta: MARIA

Riprendo (aggiornando) alcune riflessioni proposte anni fa.*


Domani è l'Immacolata, e allora oggi nel presepe metteremo la statuina di Maria.

Il Vangelo della Natività non riporta neanche una parola della Madonna. E neanche di Giuseppe. Loro due nel presepe custodiscono il silenzio. Avvolgono il Bambino nel silenzio, ed è questo il loro modo di custodirlo.
L'evangelista Luca è quello che ci parla di più di Maria. E usa spesso questa frase: "serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore".
Noi viviamo in un tempo in cui l'ultima notizia cancella tutto ciò che è accaduto solo pochi minuti prima. Abbiamo la memoria corta, l'ultima emozione cancella ogni altro sentimento. E in questo modo tutto ci scivola addosso, niente ci rimane, ma soprattutto finiamo per non capire più niente, per essere sballottati qua e la come una foglia secca nella corrente di un fiume tumultuoso.

Invece occorre custodire, avvolgere nel silenzio il mistero. Bisogna leggere gli avvenimenti alla luce della fede. Aprirsi progressivamente (e tante volte anche faticosamente, tra molte incertezze e tanti dubbi) alla rivelazione e alla comprensione.
I "valori" vanno prima di tutto custoditi nel profondo dell'anima, riscaldati da un cuore. Senza una fase di raccoglimento, di meditazione, di interiorità non ci può essere racconto, annuncio.
In fondo sia il "riferire" dei pastori che il "serbare in cuore" di Maria fanno parte di una stessa esigenza missionaria. Si tratta di essere attivi nella contemplazione e contemplativi nell'azione. 'Contempl-attivi', secondo una formula di alcuni anni fa.

Ma c'è un'altra cosa. Maria che offre il Bambino all'adorazione dei pastori è una patena. La Vergine ha letteralmente "messo al mondo" il proprio Figlio. Perché lo ha donato al mondo, agli uomini, ai legittimi destinatari. Maria nel presepe è ostensorio e patena. Compie una specie di liturgia eucaristica, ci dice, senza bisogno di parlare: "Questo è il mio Figlio che è per voi ...". A Betlemme, ossia nella "casa del pane" (perché questo è il significato di 'Betlemme'), Maria offre il proprio Figlio per la fame degli uomini.


* Spunti tratti da "La novena di Natale davanti al presepe" di A. Pronzato - Gribaudi (2001)


04 dicembre 2020

Facciamo il Presepe una statuina alla volta: l'ASINO

Riprendo (aggiornando) alcune riflessioni proposte anni fa.*


La Bibbia (Dt 22,10) vieta di mettere insieme, per l’aratura, il bue e l’asino, ma siccome nel nostro presepe noi non dobbiamo lavorare i campi, li possiamo benissimo mettere insieme.
E qui nel nostro presepe la presenza dell'asino può avere due significati.

C’è un episodio molto famoso nella Bibbia (Nm 22,22 e ss.), quello dell'asina del profeta Balaam, che si mette a parlare e salva il profeta. Anche s. Pietro (2 Pt 2,16) fa un commento a questo fatto e sembra che ci suggerisca che se gli uomini ascoltassero gli asini, non commetterebbero tante sciocchezze.
Cioè la verità può benissimo uscire dalla bocca di un asino (anche di quelli a 2 zampe). E questo non ci dovrebbe meravigliare: la verità non dipende dalla nostra supposta grandezza, dai nostri studi o dalla nostra intelligenza. La sua luce dipende unicamente da se stessa, non da chi la dice o la proclama. La verità anzi non è mai così grande come nell'umiltà e nella piccolezza di chi l’annuncia.

Il profeta, nel brano che ho detto, bastona più volte la sua asina. E questo ci da il secondo senso della presenza dell'asino nel nostro presepe: rappresenta le innumerevoli creature "bastonate", umiliate, sfruttate, maltrattate dalla vita e dai propri simili. È l’evidenza agghiacciante di come l’uomo riesca ad essere perverso e disumano nei confronti dei deboli, siano essi animali o esseri umani. Esprime la presenza di tutti gli esseri viventi sottoposti, nei secoli e purtroppo ancor oggi, alle torture più brutali. Porta la protesta di tutti gli uomini e di tutti gli animali maltrattati, violentati, uccisi per i nostri interessi, per la nostra noia o per il nostro egoismo.

Penso che il nostro asino, nel presepe, se ne stia silenzioso. E se farà qualche raglio, lo farà solo per divertire il Bambino. Ma penso anche che non riesca a trattenere qualche sospiro. E Lui capirà: tra deboli ci si intende senza bisogno di parole, basta uno sguardo.


(*) Spunti tratti da "La novena di Natale davanti al presepe" di A. Pronzato - Gribaudi (2001)

03 dicembre 2020

Una notizia che dona gioia - 6/12/2020 - II domenica Avvento

Nella versione greca dei 70 (la versione della Bibbia ebraica per gli ebrei della diaspora che non conoscevano l'ebraico), il libro della Genesi iniziava con la parola 'Arché', la stessa che usa Marco per iniziare il suo Vangelo.
Con Gesù non si ha solo una novità esteriore, di facciata, ma si ha un nuovo inizio della storia. È tutto il creato che rinasce, che ha una nuova vita. E questo nuovo inizio è un Vangelo, cioè una "notizia che dona gioia". La venuta di Gesù è all'insegna della gioia, della felicità!
La gioia è sapere che con Gesù è tutto nuovo, non importa ciò che eri, ma ciò che puoi diventare. Perché Gesù fa nuove tutte le cose e tutte le persone.

E per entrare in questa gioia c'è un posto e una strada: il deserto e la conversione.

Il deserto ha un posto molto speciale nella storia di Israele. È il luogo dell'esodo, del percorso di liberazione dalla schiavitù, ma anche del dono della Legge, dell'alleanza con Dio. È un luogo fisico, ma non solo. Soprattutto è un luogo spirituale, è il momento della vicinanza e dell'intimità con Dio, della purificazione, dell'affidamento totale all'abbraccio di Dio.
È quindi naturale che il tempo definitivo della salvezza inizi proprio da qui. Solo dal silenzio, dal riconoscere i nostri limiti e le nostre debolezze, dallo sperimentare che solo da Dio viene la nostra vita, cioè dai doni del deserto, possiamo aprirci all'incontro con Dio, alla novità di Gesù.

È dall'incontro con Gesù, dal lasciarsi 'fare nuovi' da Lui, che nasce la conversione. Conversione non è un semplice 'smettere di fare il male'. È un cambio totale di mentalità, di modo di pensare, di vedere e percepire il mondo. Smetterò realmente di fare il male solo con un cuore nuovo, solo lasciando che il Signore tolga da noi il cuore di pietra e ci dia un cuore di carne (Ez 36, 26-27).
Convertirsi, più che un 'fare' è un 'lasciarsi fare'. Più che cercare di convertirci, dobbiamo lasciarsi convertire da Gesù. Abbandonare le nostre sicurezze, soprattutto quelle su Dio, per aprirci alla novità di un Dio che si fa piccolo, neonato.

La 'Bella Notizia' è proprio questa: il nostro Dio non se ne sta lassù aspettando che noi facciamo di tutto per arrampicarci fino a Lui. No! Il nostro Dio, il Dio di Gesù, scende fino a noi per prenderci in braccio e portarci fino a Lui. Come una madre amorosa ci porta al suo cuore per consolarci, coccolarci e donarci tutto il suo amore.
La buona notizia è che l'unica fatica che dobbiamo fare è lasciarci abbracciare, lasciarci amare. Nulla di più, nulla di meno.

Oggi è san Nicola. Qui a Trieste è san Nicolò che porta i regali ai bambini, non babbo Natale. Faccio a tutti i bambini gli auguri di un BUON SAN NICOLÒ, che sia l'ultimo che dovete passare lontano dai vostri amici!


(Is 40,1-5.9-11; Sal 84; 2Pt 3,8-14; Mc 1,1-8)