11 dicembre 2020

Facciamo il Presepe una statuina alla volta: le PECORE

Riprendo (aggiornando) alcune riflessioni proposte anni fa.*


Riprendiamo a mettere nel nostro presepe degli animali. Gesù spesso ci ha parlato di loro e quindi un "discorso su Dio" in cui mancassero sarebbe incompleto, zoppicante.
Oggi metteremo le pecore, gli agnelli. È questa una presenza necessaria, direi insostituibile, per due motivi. Primo, l’agnello ci ricorda il destino "sacrificale" di Gesù, è la profezia della sua Passione (come il suo essere "deposto" (si depone un cadavere) in una "mangiatoia", cioè dove si mette il cibo, è profezia dell’Ultima Cena, dell’Eucaristia). E secondo, la pecora ricorda al futuro Pastore il suo programma di "sollecitudine" verso il gregge: "Il pastore offre la vita per le pecore" (Gv. 10,11-15).

Il Battista ci presenta Gesù proprio così: "Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo" (Gv. 1,29). Al peccato, alla potenza del demonio, Dio non contrappone la forza, ma l’innocenza e la debolezza. Il peccato vede minacciato il suo dominio sul mondo dall'essere più innocuo, indifeso, fragile, vulnerabile.
Il peccato sghignazza di fronte alle voci roboanti, alle condanne implacabili, anche di tanti predicatori. Trema unicamente di fronte alla voce silenziosa, direi quasi al silenzio assordante, del candore, della debolezza, dell’amore che si dona. Tutta la sua potenza non può nulla contro la forza dell’amore.

Noi invece oggi non ci fidiamo più dell’agnello, siamo convinti che per combattere il male del mondo ci vuole ben altro. L’agnello è troppo timido, remissivo, insomma, troppo "buonista". In fondo pensiamo che Gesù è vissuto in un altro tempo, molto diverso dal nostro, che oggi occorre essere equipaggiati, e anche molto bene, per la lotta, bisogna avere armi efficaci. E non ci si accorge che questo agnello così equipaggiato per la lotta, per il dominio, invece di togliere il male dal mondo, finisce per incrementarlo.
Ci dimentichiamo che Gesù ha già definito la nostra società un mondo di lupi. Però non ci ha detto: "siccome dovete affrontare i lupi, attrezzatevi di conseguenza, mostrate i denti, azzannate prima di essere azzannati". Invece ci ha detto: "Vi mando come pecore in mezzo ai lupi" (Lc 10,3). Che ci piaccia o no, i lupi dobbiamo affrontarli, ma con la debolezza dell’Agnello.

L’agnello deve comportarsi da ciò che è, sempre, senza mai neanche travestirsi da lupo. Solo così potremmo contare sul Suo aiuto. «Finché siamo agnelli, noi viviamo. Se diventiamo lupi veniamo vinti. Perché ci mancherebbe l'aiuto del Pastore, il quale pasce agnelli, non lupi» ci ricorda s. Giovanni Crisostomo.


* Spunti tratti da "La novena di Natale davanti al presepe" di A. Pronzato - Gribaudi (2001)


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