15 dicembre 2020

Facciamo il Presepe una statuina alla volta: i PASTORI

Riprendo (aggiornando) alcune riflessioni proposte anni fa.*


Un presepe senza pastori non è un Presepe. In effetti proprio loro sono stati i primi invitati, i primi destinatari della "buona notizia", portata a loro direttamente dagli angeli.

Però nella realtà loro non erano come quelle statuine belle pulite che usiamo noi per i nostri presepi. Anzi!
Nella società ebraica di quei tempi erano considerati al pari di soldati, marinai, prostitute, usurai, esattori delle imposte, cioè dei pubblici peccatori.
A motivo della loro vita errabonda non potevano studiare e quindi osservare la Legge. E quindi erano gente senza legge.
E invece proprio loro, che a causa del loro mestiere, non potevano testimoniare in tribunale, sono chiamati a diffondere la notizia della nascita di Dio in terra, sono chiamati ad esserne i primi testimoni.

Decisamente i modi di Dio non sono i nostri modi. Quando noi dobbiamo diffondere una notizia riempiamo i social, indiciamo una conferenza stampa a cui ci preoccupiamo di invitare le persone più importanti, cerchiamo di metterci sotto le luci più forti.
Dio invece viene di notte, e chiama solo gli ultimi, i reietti, gli esclusi.
I pastori nel presepe ci dicono che le preferenze di Dio non sono le nostre, che la sua lista degli invitati boccia sonoramente la nostra. Lui gradisce la presenza, ma soprattutto la vicinanza, della gente da niente, degli individui che non contano, di quelli che non hanno le carte in regola perché le carte non le hanno (e in effetti sono i primi 'senza permesso di soggiorno').
Ci dicono che c'è sempre qualcuno, che noi magari disprezziamo, che è più vicino al Bambino di quanto noi pretendiamo di essere; e questo perché lui è arrivato prima di noi, ha capito meglio le esigenze del Vangelo, e fa la verità, mentre noi ci accontentiamo di conoscerla.

Ma soprattutto ci ricordano il dovere di accogliere i diversi, gli esclusi, gli immigrati, gli extracomunitari. Quando mettiamo i pastori nel presepe occorre farlo con uno stile penitenziale, domandando perdono per tutti i nostri razzismi, per tutte quelle volte che abbiamo detto, o anche solo pensato, che gli zingari ... i romeni ... i cinesi ... gli arabi ... e via dicendo. Dobbiamo chiedere perdono per tutte quelle volte che abbiamo diviso l'umanità in due: da una parte "noi", i buoni, i giusti, i sani; e dall'altra gli "altri", cioè i cattivi, gli sbagliati, i delinquenti.


* Spunti tratti da "La novena di Natale davanti al presepe" di A. Pronzato - Gribaudi (2001)


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