08 settembre 2022

Siamo 'importanti di amore' - 11/9/2022 - XXIV Domenica tempo ordinario

Suo padre lo vide

Cattedrale di Santo Domingo de la Calzada (Spagna)

Portone (bronzo - Centro Aletti)




Quello che emerge dalle tre parabole del Vangelo di oggi, è che Dio ha un modo molto diverso dal nostro di tenere la contabilità. Lui non è disposto ad accettare neanche un piccolo segno meno. Qualsiasi sottrazione per Lui è inaccettabile. Non si accontenta delle 99 pecore, non si rassegna ai due euro (più o meno il valore di una delle monete citate da Luca) mancanti. E fa di tutto per ritrovare ciò, ma sarebbe meglio dire 'chi', era perduto. Per lui il gioco vale sempre la candela, non esiste limite allo sforzo per trovare ciò che manca alla pienezza del suo amore.

Per Dio, ognuno di noi ha un valore unico, ognuno di noi è irripetibile, insostituibile. Ciascuno di noi per Dio è prezioso, importante. "Importante di amore" diceva Pierre Talec. Cioè è 'importante' di ricerca senza sosta, di preoccupazione, di sollecitudine, di attesa infinita, di ansioso ma paziente scrutare dalla finestra.
Dio non si rassegna ad essere impoverito anche di una sola di una delle sue creature. Nel suo cuore un figlio perduto, anche fosse il peggiore degli uomini, rappresenta un danno irreparabile che non può essere riparato, una ferita profonda che non si può rimarginare in nessuna maniera. Solo il recupero di quel minuscolo ma incalcolabile tesoro la può far smettere di sanguinare e richiudere.

L'uomo può cessare di essere figlio, può fare a meno del padre, può fuggire lontano.
Ma Dio non si rassegna, non riesce a stare senza l'uomo. E impazzisce di gioia, obbliga tutti a far festa appena la sagoma di chi è andato via in malo modo si intravede all'orizzonte. E non gli importa del perché è tornato, né se sia pentito o meno. L'unica cosa che importa è che sia tornato, che sia di nuovo a casa.

E tornando a casa il figlio riceve un dono grandissimo. Non riceve delle cose (quelle le ha avute quando se n'è andato), ma riceve dei 'simboli' (i sandali, il vestito e l'anello) che indicano a lui, ma anche a tutta la famiglia e al mondo, che la sua dignità di figlio gli è stata pienamente restituita.

È quello che succede anche a noi nel sacramento della Riconciliazione. Anche a noi viene restituita la nostra piena dignità. Ma non solo. Anche noi, come il figlio fuggito, restituiamo a Dio qualcosa che gli avevamo rubato, qualcosa che Lui cercava disperato: la nostra comunione con Lui.
Confessarsi vuol dire ricevere e dare, accogliere e restituire. La gioia è di tutti e due.
Quando ci confessiamo, dobbiamo ricordare che non stiamo solamente portando a Dio i nostri peccati. Soprattutto noi gli stiamo riportando la nostra presenza. Gli stiamo restituendo la possibilità della festa; la possibilità di essere Padre "ricco" di un figlio.


(Es 32,7-11.13-14; Sal 50; 1Tm 1,12-17; Lc 15,1-32)


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