Foto: Patrick Schneider (Unsplash) |
Il brano del Vangelo di oggi, insieme a quello di domenica scorsa, racconta la prima giornata della 'vita pubblica' di Gesù, e il fatto che sia nel primo capitolo di Marco ci dice che rappresenta la giornata tipica del maestro.
Questa giornata inizia con la preghiera comunitaria, in sinagoga, e finisce, aprendosi alla giornata successiva, con la preghiera personale. In mezzo ci sono l'insegnamento (la predica in sinagoga) e le opere (liberazione dallo spirito maligno in sinagoga, guarigione della suocera di Pietro, guarigioni e liberazioni dai demoni alla sera).
Una giornata piena, con impegni e contemplazione, stare con gli amici e mescolarsi alla gente comune, attenzione alla miseria umana e attenzione a Dio, entrare e uscire.
Ad una prima lettura può sembrare che ci sia un contrasto: città-deserto; folla-solitudine. Cioè la città come momento dell'attività e il deserto come momento della preghiera; la folla come 'luogo' dell'incontro con gli altri, la solitudine come 'luogo' dell'incontro con Dio.
Ma dobbiamo fare attenzione che in Dio le due cose non sono contrapposte. Il 'darsi' e il 'sottrarsi' sono complementari, si completano a vicenda. Le due braccia della preghiera comunitaria e della preghiera solitaria servono ad abbracciare e sostenere le azioni della predicazione, dell'incontro con gli altri e della loro guarigione. Senza l'abbraccio le azioni fanno fatica a stare in piedi, e senza le azioni le braccia stringerebbero il vuoto.
Gesù non ritiene esaurito il proprio compito perché ha insegnato, guarito, liberato, alleviato le sofferenze umane. La solitudine e la preghiera fanno parte integrante del suo ministero, completano la sua agenda degli impegni.
E dopo la preghiera Gesù non rimane fermo, si spinge (e spinge gli Apostoli) altrove. La preghiera non è solo il culmine dell'attività, ma ne è anche sorgente.
Il deserto è il luogo delle decisioni imprevedibili, la preghiera deve aprirsi, e aprirmi, alla dimensione dell'imprevedibilità, della sorpresa, della creatività.
Nella preghiera scopriamo nuovi sentieri da percorrere. La vera preghiera spinge 'altrove' perché ci rende docili allo Spirito, perché ci libera dai calcoli e dalle prudenze umane.
Se il deserto non ci fa aprire lo sguardo sul nuovo, sul 'non ancora', sull'inesplorato per il Regno, allora può trasformarsi nel luogo della falsa sicurezza, della pigrizia mascherata da fedeltà. Si tratta di scoprire una geografia inedita e infinita o di adagiarsi nella ripetitività, nel 'si è sempre fatto così'.
Letture:
Giobbe 7,1-4.6-7
Salmo 146
Prima Corinzi 9,16-19.22-23
Marco 1,29-39
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