13 luglio 2023

L'importante è seminare - 16/7/2023 - XV Domenica Tempo Ordinario

Seminatore
Vincent van Gogh
(olio su tela - 1888)

 


È abbastanza normale, quando si ascolta questa parabola, passare subito alla spiegazione che viene data subito dopo e cercare di vedere quale tipo di terreno siamo noi e gli altri (dimenticando che ognuno di noi è un miscuglio di tutti i tipi di terreno). Ma non è di questo che parla Gesù, ciò che Cristo mette a fuoco, prima di tutto, è la figura del seminatore. Ed è a questa figura, ai suoi gesti, che dobbiamo prestare attenzione.

Come dicevo domenica scorsa, per Gesù non è un momento facile. Attorno a sé sente delusione e incertezza, anche nei suoi seguaci. Da una parte sembra che sia proprio Lui l'atteso, però i suoi comportamenti lasciano perplessi: non si impone, si circonda di persone che non contano, parla sempre di perdono, frequenta i peccatori, si mostra comprensivo verso coloro che andrebbero condannati duramente secondo la Legge. La sfera politica pare non interessarlo, parla di Regno, ma evita di affrontare la questione della dominazione romana.
Allora, come adesso, vorremmo un Dio che definisse esattamente le posizioni: da questa parte i giusti, da quell'altra i farabutti. Vorremmo, adesso come allora, che Dio eriga un muro invalicabile tra i buoni (chi la pensa come noi) e i cattivi (chi non la pensa come noi).

Gesù, con la parabola del seminatore (attenzione, non dice UN seminatore, ma IL seminatore, identificandosi quindi con questa figura), spiega il significato autentico della propria persona e della sua missione. Vuole dire: «sì, io sono il Messia, ma non nello stile che pensate voi. Non sono venuto a giudicare, ma a salvare. Non sono stato mandato a sistemare le cose, ma a iniziare qualcosa. Il mio compito non è quello di tirare le somme, ma di dare l'avvio. Il tempo che io inauguro non è il tempo del giudizio, ma della pazienza. La mia missione è sotto il segno della semina, non della mietitura».
È una parabola che riguarda il presente, ci dice che il Regno di Dio è già qui anche se nascosto, e viene in abbondanza nonostante gli apparenti insuccessi. Questa è la parabola del "lieto inizio". Non è importante sapere come andrà a finire la semina. È la semina che è importante, non il raccolto.

Cristo ci dice che il Regno è una semina, Lui è "uscito", cioè si è incarnato, proprio per questo. Seminare è il suo compito.
Questo ci invita a non badare alle apparenze. Il premio non è nel raccolto più o meno abbondante, il premio è nel seme, il risultato è già presente negli inizi. La 'messe' è già nei semi, la 'messe' è lo stesso gesto del seminare.

Un'altra osservazione. Il seminatore non sceglie il terreno, non decide qual è il terreno fertile e quello sfavorevole, quello da cui ci si può aspettare qualcosa, e quello per cui non vale la pena darsi da fare, quello dove buttare più semi, quello dove gettarne meno e quello dove cercare di evitare che cadano i semi. Il terreno rivela la sua qualità dopo la semina, non prima.
Dobbiamo spargere la Parola dovunque, dobbiamo imparare a 'sprecare' la semente. Non dimentichiamo che il seme, che è la Parola di Dio, ha anche il potere di trasformare il terreno, può sfaldare le rocce, aprirsi un varco sulla strada battuta fin alle profondità dell'essere umano. Non è detto che il seme si rassegni alle condizioni che trova.
La Parola è creatrice, anche del terreno. Basta lasciarla operare.
È la Parola che può trasformare il "cuore di pietra" in "cuore di carne".
La semente va veramente sprecata soltanto quando rimane nelle mani chiuse di un seminatore 'ragionevole', che non esce per non mettere in pericolo la Parola. E non s'accorge che bisogna, invece, mettere in pericolo il terreno.

Una volta la frase finale veniva tradotta «Chi ha orecchi, intenda». Bisogna "in-tendere", ossia tendere in direzione di Qualcuno. Essere affascinati da Lui. Rivolgersi a Lui con tutto il proprio essere.
Bisogna convertirsi ogni momento, cioè 'volgersi verso...', tendere verso Gesù, in modo da riuscire, alla fine, a capirlo.



Don Camillo spalancò le braccia:
- “Signore, cos’è questo vento di pazzia? Non è forse che il cerchio sta per chiudersi e il mondo corre verso la sua rapida autodistruzione?”
- “Don Camillo, perché tanto pessimismo? Allora il mio sacrificio sarebbe stato inutile? La mia missione tra gli uomini sarebbe fallita perché la malvagità degli uomini è più forte della bontà di Dio?”
- “No Signore. Io intendevo soltanto dire che oggi la gente crede soltanto in ciò che vede e tocca. Ma esistono cose essenziali che non si vedono e non si toccano: amore, bontà, pietà, onestà, pudore, speranza. E fede. Cose senza la quali non si può vivere. Questa è l’autodistruzione di cui parlavo. L’uomo, mi pare, sta distruggendo il suo patrimonio spirituale. L’unica vera ricchezza che in migliaia di secoli aveva accumulato […] Signore, se è questo che accadrà, cosa possiamo fare noi?”
Il Cristo sorrise:
- “Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa fertile dal limo del fiume, il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pace, vita e speranza. Bisogna salvare il seme: la fede …”

Giovannino Guareschi, Don Camillo e i giovani d’oggi.


(Is 55,10-11; Sal 64; Rm 8,18-23; Mt 13,1-23)


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