09 luglio 2020

12 luglio 2020 - XV domenica del tempo ordinario

La prima cosa da mettere a fuoco nel Vangelo di oggi sono le prime parole di Gesù "il seminatore uscì a seminare". Non 'un seminatore' ma 'IL seminatore'. Cioè il Seminatore per eccellenza, colui che è definito dal fatto che semina, che si identifica col seminare. Colui che non fa altro che questo: seminare la vita, e seminarla in abbondanza, seminarla ovunque.

E in questa auto-definizione Gesù ci spiega la sua missione. Gesù ci dice che sì, lui è il Messia, ma non è il Messia secondo le nostre idee e le nostre aspettative, non è Messia come lo immaginavano gli israeliti (e neanche come a volte lo immaginiamo noi). 
Non è venuto a giudicare, ma a salvare.
Non è venuto a schiacciare, ma a far crescere.
Non è venuto a sistemare le cose, ma ad iniziare qualcosa.
Non è venuto per tirare le somme, ma a dare l'avvio.
Non è venuto a portare il tempo del giudizio, ma quello della pazienza.
La sua missione è sotto il segno della semina e della semina sovrabbondante, non della mietitura.
Questa parabola ci dice che il Regno di Dio è già qui. Anche se nascosto è già in azione. Il Regno di Dio viene di nascosto e il più delle volte perfino malgrado l'insuccesso. È una parabola che parla dell'oggi, del presente, non del futuro.

Ma ci dice anche che il Seminatore non sceglie il terreno. Non decide prima quale sia il terreno buono, quello meno buono o quello cattivo. Lui sparge con sovrabbondanza il suo seme dappertutto con uguale speranza. Il terreno si rivela per quello che è dopo la semina, non prima. 
Perché il seme è la Parola. E la Parola ha il potere di trasformare il terreno, di spaccare le rocce, di aprirsi un varco verso le profondità della persona. La Parola non si rassegna alle condizioni che trova (vedi la prima lettura di oggi). La Parola è creatrice. Anche del terreno. È la Parola che può trasformare un "cuore di pietra" in un "cuore di carne".

Quando teniamo a mente questo, allora capiamo che la spiegazione dei vari tipi di terreno non serve a chiarirci quale tipo siamo noi (né tanto meno a fare quell'operazione molto comune ma per niente cristiana di decidere quale tipo di terreno siano gli altri). Serve a farci capire che in noi ci sono tutti i tipi di terreno. Difatti noi non accogliamo tutti i semi, come non accogliamo tutta la Parola, allo stesso modo, con la stessa adesione, con la stessa comprensione. A volte alcune parti della Parola le rifiutiamo. Ma comunque Dio continua ogni istante a spargere le sue sementi, la sua Parola, in noi. Si è fatto bucare le mani per spargere meglio e con più abbondanza i suoi semi. Continua a sperare in noi, continua a scommettere su di noi. Perché alla fine ci sarà un raccolto. E la festa sarà uguale sia per il terreno che avrà dato un solo frutto come per quello che avrà reso il 100%.

Ognuno di noi è una zolla di terreno, ma ognuno di noi è anche seminatore nel mondo. Ogni nostra parola, ogni nostro gesto, sono semi che si staccano da noi e vanno nel mondo. Cerchiamo che siano semi di speranza, di gioia, di amicizia, di calore umano. Che siano germogli di sorrisi e di carezze.  «Il cristiano è uno ben consapevole che la sua vita darà frutto, ma senza pretendere di sapere come, né dove, né quando. Ha però la sicurezza che non va perduto nessun atto d'amore per Dio, non va perduta nessuna generosa fatica, nessuna dolorosa pazienza. Tutto ciò circola nel mondo come una forza di vita». (vedi E.G. 278-279).

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