Riflessione per il ritiro interparrocchiale quaresimale dei giovani
La breve lettura di Ezechiele è la chiusura di una visione che il profeta ha appena descritto: una moltitudine di ossa aride è divenuta, per opera dello Spirito di Dio, una moltitudine di persone vive (37,1-10). Ezechiele stesso ci dà la chiave di lettura della visione: le ossa rappresentano Israele in esilio, che si sente oramai perduto senza speranza, definitivamente finito (v. 11). In questa assenza di prospettive umane il Signore annunzia il suo intervento, che è una nuova creazione (il racconto richiama Gen 2,7), per la quale le ossa rivivranno: Israele, cioè, tornerà in patria e proseguirà il suo cammino nella storia. In quel momento Israele farà davvero l’esperienza (“conoscere”, vv. 13-14) di chi sia Dio, di chi abbia la signoria sulla storia, di quanto infallibilmente la sua Parola sia efficace, quanto potentemente creatrice.
È importante ricordarlo: si conosce davvero il Signore solo nella misura in cui si fa l’esperienza del suo amore fedele e della sua potenza liberatrice, che risalta tanto più netta quanto meno è possibile aspettarsi dalle forze umane. L’immagine delle ossa inaridite esprime come meglio non si può l’assoluta inaccessibilità della salvezza: “queste ossa potrebbero mai rivivere?” (v. 3), domanda Dio a ciascuno di noi. Dobbiamo prendere coscienza con chiarezza: i mezzi umani, di qualunque genere, non possono salvarci. Arte, scienza, tecnica, ricchezza, piacere, successo, lo stesso impegno etico, ci lasciano preda della morte; anzi, proprio tramite essi noi non facciamo altro che costatare e riconoscere una volta per tutte il potere della morte. Abbiamo bisogno di uno Spirito nuovo, di una vita che non può venire da noi. È in fondo il discorso sulla “sana dottrina” che tante volte abbiamo visto quest’anno nella lettura della seconda lettera di Paolo a Timoteo.
Pur riguardano direttamente l’esilio in Babilonia, la profezia di Ezechiele apre il cuore umano a una grande promessa, di ben più vasta portata: “farò entrare in voi il mio Spirito” (v. 14). Venendo in noi, lo Spirito ricrea quanto è distrutto, e con ciò apre a una conoscenza nuova del Signore. Egli è adesso colui che ha cura della nostra vita, che nella morte ci resta fedele, che - lo leggiamo oggi nel Vangelo - con potenza ci richiama dal sepolcro.
Questo brano presenta una promessa davvero grande: Dio si impegna con il suo popolo che “giace” nella “tomba di Babilonia” ad aprire i sepolcri, e tramite lo Spirito, risuscitare e ricondurre il popolo in Israele. L’uscita dalla tomba e la nuova vita portano al ritorno nella terra promessa, da cui erano partiti con l’esilio, seguito alla distruzione di Gerusalemme. Per un popolo schiavo, scoraggiato, privo di speranza queste parole suonano da incoraggiamento e come professione di fede: “saprete che io sono il Signore”.
Oggi il mondo ha bisogno soprattutto di speranza, e specialmente della speranza cristiana, che è presenza d’amore. È questa la speranza che riempie il nostro cuore? E quale forza ci procura nelle difficoltà?
- Il nostro è un mondo disperato e deprimente. Mondo di tenebre: nessuna luce per rischiarare e dare all’uomo il senso della vita; prosperano le teorie filosofiche più contraddittorie, pullulano le sette religiose, e ognuna pubblicizza la sua ricetta di vita.
Mondo di odio: i violenti trionfano, i deboli sono oppressi, le classi sociali si combattono, i popoli tremano di fronte alla minaccia di uno scontro generale. Mondo di corruzione: l’inquinamento materiale non è che un riflesso dell’inquinamento e della corruzione spirituale e morale, che sono da temere molto di più.
- Ma noi cristiani possediamo una speranza incrollabile. Speranza che non è illusione, oppio dei popoli - come disse qualcuno -; ma che è “certezza assoluta”: “Non temere, piccolo gregge: io sono con voi”. Speranza che è vittoria della fede: Cristo ha vinto le potenze del male con il suo trionfo sulla morte. Speranza che è soprattutto vittoria dell’amore: nessuno ha mai amato come lui ha amato, e il suo amore divampa oggi come ieri, divamperà domani e sempre. Cristo è sempre al centro della nostra vita: non per eliminare la prova, ma per farcela accettare in una nuova prospettiva e per aiutarci a superare insieme con lui, per mezzo dell’amore.
Sostenuti da questa speranza, noi cammineremo sempre con coraggio, serenità e gioia sulla via della vita, nella certezza che essa ci conduce alla casa del Padre.
- Un ultimo spunto di riflessione. Negli incontri dell’anno scorso abbiamo visto come l’amore sia donazione totale di sé stessi, morte del proprio io per l’altro. Ma è proprio in questa morte che agisce lo Spirito, donandoci nuova vita, ritessendo sulle nostre ossa scarnificate nuovi nervi e nuova carne. La risurrezione non è solo quella che avverrà con la seconda venuta di Gesù, ma è anche quella che ogni giorno possiamo sperimentare nell’amore e attraverso l’amore.