A margine di una discussione su un blog (
Orientalia4All) che leggo sempre perché molto interessante, è sorta questa domanda da parte di
Diego: "
tutti noi, anche non credenti, abbiamo presente la figura del nazareno che paga sulla croce, con la croce; ma a me qualche volta è venuto un pensiero: non gli dispiaceva far soffrire sua madre? l'eroe, il santo, il martire, non si pone mai il problema dei suoi cari, di quelli che soffrono per il suo martirio? non c'è in fondo un impercettibile egoismo anche nell'essere eroi?"
Come già rispondevo a Diego è una domanda che mi sono posto anch'io.
Io penso che nessuna nostra decisione (e anche non decidere è in fondo una decisione) non è mai neutra, genererà sempre sia della gioia che del dolore. Non siamo delle monadi isolate, o come diceva John Donne "nessun uomo è un'isola", per cui ogni nostra azione si ripercuote attorno a noi. Non sempre nelle nostre decisioni siamo coscienti delle ripercussioni che queste avranno sugli altri, il più delle volte lo siamo solo in parte. Il fatto che una nostra scelta produrrà della sofferenza a persone a noi care deve impedirci di fare tale scelta? Oppure il bene più grande che una scelta darà può compensare e lenire il dolore arrecato?
Un altro punto è se questa scelta la facciamo in modo solitario o se la condividiamo con le persone a noi care.
Quanto poi all'egoismo, io direi che anche forse si. In fondo in ognuno di noi c'è un misto di bene e di male, e anche ogni nostra azione ha dei risvolti o positivi o negativi. Niente di ciò che facciamo è positivo o negativo al 100%. Per cui ci sta che nell'eroismo dell'eroe ci sia anche un impercettibile egoismo.
Io penso che soprattutto nel caso di Gesù lui era certamente cosciente che la sofferenza sua era anche quella di sua madre (e anche dei suoi amici) avrebbe poi generato tanto più bene per tutti (e in primis per sua madre), il bene che ne sarebbe vebuto sarebbe stato enormemente più grande di quel dolore. Lui stesso l'aveva paragonato al dolore del parto: a un dolore segue poi una gioia ancora più grande, grande al punto da cancellare il dolore.
Inoltre sua madre non era mia stata estranea alle sue scelte e anche se molto probabilmente non le aveva sempre capite fino in fondo, le aveva sempre condivise e vi aveva partecipato.
La padrona di casa, Boh, risponde: "una professoressa americana di buddhismo diceva spesso che Gesù non ha pensato alle sofferenze della mamma, causate da lui stesso, e per questo non poteva essere Dio. D'altronde i grandi paladini della libertà in Birmania o in Nepal rinunciano alla famiglia. Si staccano dai figli, e così via. Per non fargli male, oltre che per non essere ricattabili."
Innanzi tutto mi domando se distaccarsi dai figli già non provochi dolore in loro. Ma il punto ritengo sia un altro.
Se non mi sbaglio, nel qual caso cara Boh ti prego di correggermi, e detto in maniera molto povera e semplice, nel buddismo si cerca di raggiungere il Nirvana tranite la liberazione dalle passioni. Passioni che sono causa da una parte delle reincarnazioni, e dall'altra del dolore. La risposta che il Buddismo da al problema del dolore e una risposta che tende al superamento del dolore tramite la sua negazione.
La risposta cristiana è invece differente. Come Gesù vince la morte attraverso la morte, la scardina dall'interno, così riesce a vincere il dolore accettandolo e 'donandolo'. Lo vince dall'interno. Il dolore lo vinci non fuggendolo, ma accettandolo e dal di dentro trasformarlo vivendolo per amore. Attenzione che non si tratta di cercare il dolore, ma solo di accoglierlo quando, se e come viene. E senza mai dimenticare che non è il dolore in sé che 'salva'. Il dolore può diventare via di salvezza, ma anche di dannazione.
Date queste premesse mi sembra logico che un buddista trovi impossibile che Gesù sia Dio.