Quando si pensa alla povertà di Gesù viene subito in mente la grotta di Betlemme, la mangiatoia, la paglia ... ma la vera povertà, quella più radicale, si ha proprio sul Calvario, sulla Croce.
Solo chi non nessuna cosa da donare può donare qualcuno, cioè la propria persona, può donare sé stesso.
Cristo è nato dalla povertà di Maria, povertà che l’ha resa disponibile ad accettare il dono di Dio, ed è vissuto come un povero che “non ha dove posare il capo” (Mt 8,20). Nella via verso la croce è accompagnato da una folla di poveri, oppressi, straccioni, vittime della prepotenza e dell’egoismo degli altri. E alla fine è appeso al patibolo degli schiavi, accompagnato da due malfattori.
Sul Calvario si incontrano due povertà. Quella radicale dell’uomo, conseguenza del peccato, e quella di Dio che facendosi carne si è svuotato, si è fatto ‘peccato’ per noi. E da questo incontro tra due povertà nasce la nostra liberazione, che è liberazione dalla povertà attraverso la povertà.
La salvezza, cioè l’incredibile ricchezza di figli, ci arriva attraverso un mistero di povertà ma anche di debolezza.
Dio è onnipotenza, ma sul Calvario è anche onni-debolezza. E la sua onnidebolezza è, paradossalmente, proprio l’espressione della Sua onnipotenza. È la potenza non della forza, ma la potenza, che è debolezza, dell’amore. È la potenza di un cuore che ama fino a sanguinare.
Riusciremo a capire, a vivere, questo duplice mistero di povertà e debolezza? Noi uomini, noi cristiani, ci arrenderemo a questa evidenza della Croce?
Cristo ha i piedi inchiodati, eppure percorre tutte le strade del mondo alla ricerca di “ciò che era perduto”
Ha le mani inchiodate, eppure abbraccia tutti noi in un gesto di sconfinata tenerezza.
Dio è povero, ma non si rassegna ad essere impoverito dell’uomo. La nostra fuga è finita, siamo caduti nella Misericordia.