La Via Crucis è luogo di incontri. Abbiamo visto quello con Maria e quello con la Veronica. Oggi ne vediamo un altro, quello con le pie donne che piangono sulla sorte del condannato, narrato da Luca (Lc 23,27-31).
Negli altri incontri Gesù non pronuncia neanche una parola, invece qui si rivolge alle donne in modo che sembra brusco, aspro, anche se queste donne sono mosse da una pietà sincera. È l’affermazione della sproporzione: sproporzione tra dolore e conforto, tra ciò che si prova dentro e ciò che capiscono gli altri.
Chi soffre vive in un abisso di solitudine, di angoscia, che nessuno, neanche chi lo ama e lo assiste col massimo dell’attenzione, riesce a comprendere fino in fondo.
Queste parole sono un avvertimento ad accostarsi al dolore altrui in punta di piedi, con pudore e rispetto, quasi con un senso di adorazione per un mistero che non potremo mai capire completamente.
La croce visibile che uno porta sulle spalle ha anche delle radici invisibili nella carne viva, nelle profondità, nelle regioni più inesplorate della persona. Chi si avvicina con mani maldestre, anche se con le migliori intenzioni e con la volontà di aiutare a portare quella croce, finisce per umiliare, per provocare ferite ancora più dolorose, per aumentare il peso di quella croce.
Ma il pianto delle donne non è inutile, anzi è necessario. Di fronte a uno che porta la croce bisogna piangere, partecipare, offrire aiuto e vicinanza. Ma non bisogna mai dimenticare che tutto ciò che faremo sarà sempre sproporzionato.
È un divario che non deve scoraggiare, ci deve semplicemente rendere coscienti che non si capirà mai abbastanza, ma soprattutto non si farà mai abbastanza. Ci deve rendere più attenti, più rispettosi del mistero del dolore altrui. Ma soprattutto più puntuali agli incontri scomodi e impegnativi con la croce.
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