Proprio perché la morte, la croce, non sono l'ultima parola, non hanno vinto, in questa domenica delle Palme, più che su un episodio della Passione, vorrei fare la mia riflessione sui giorni seguenti la Risurrezione. E lo vorrei fare coll’aiuto dell’ultimo capitolo del vangelo di Giovanni, il 21.
Gesù appare agli apostoli sul lago di Tiberiade. E la prima cosa che fa è di preparare loro la cena. Quanta delicatezza e fraternità in questo gesto!
Poi per tre volte domanda a Pietro: “mi ami tu?” e ad ogni risposta lo conferma nella sua vocazione di pastore. Tre volte a cancellare i tre rinnegamenti. Ma soprattutto l’esame non è sulla dottrina, ma solo sull’amore.
Perché ogni vocazione, che sia quella di pastore o quella di coniuge, o di genitore, o di qualsiasi altra cosa a cui Dio ci chiama, non è altro che una vocazione d’amore.
E le parole che Gesù rivolge poi a Pietro: “ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” non sono altro che lo sviluppo di ogni vocazione d’amore.
Perché amare non è guardarsi negli occhi, ma guardare insieme in una stessa direzione. Amare non è fare, ma lasciarsi fare. Amare è prendersi per mano, non per condurre, ma per lasciarsi portare.
Amare è realmente un farsi portare dove noi non avremmo mai voluto andare, dove non pensavamo neanche lontanamente di poter arrivare. Ma dove, una volta arrivati, ci rendiamo conto che solo li è il nostro posto, solo li è la nostra felicità più piena. E ci rendiamo conto che solo amando abbiamo potuto raggiungere questo traguardo.
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