26 dicembre 2024

Un amore incarnato - 29/12/2024 - Domenica della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

Icona della Sacra Famiglia (particolare)
Rosella Crespi (autorizzazione richiesta)

 
 
Che cosa dice la festa della Sacra Famiglia alla fragilità delle nostre famiglie nella società di oggi? Prima di tutto dice che il matrimonio è santo come il sacerdozio. Che la vocazione dei genitori è santa come quella di una monaca di clausura. Perché l'amore quotidiano nella casa è un tutt'uno con l'amore di Dio. Non sono due amori, ma è un unico e solo amore che "move il sole e l'altre stelle" (Paradiso, XXXIII, v. 145), che muove Adamo verso Eva, me verso gli altri, Dio verso Betlemme nel suo pellegrinaggio infinito verso di noi.
 
La santa Famiglia di Nazareth ci dice che è possibile una bontà, una santità collettiva, familiare, condivisa. Ci dice che c'è un contagio di santità nelle relazioni umane. Santità non significa essere perfetti: neanche le relazioni tra Maria Giuseppe e Gesù lo erano. C'è l'angoscia causata dal figlio adolescente, ci sono malintesi, c'è incomprensione esplicita: «ma essi non compresero le sue parole».
Santità non significa assenza di difetti, ma significa cercare i pensieri di Dio e cercare di tradurli, con i nostri limiti, con fatica e gioia, in gesti. E siccome in cima ai pensieri di Dio c'è l'amore, nella casa dove c'è amore, lì c'è Dio.
E non si tratta di amore spirituale, ma di amore vivo, incarnato, quotidiano, visibile e nello stesso tempo anche segreto. Amore che sta in una carezza, in un cibo preparato con cura, in un fiore donato senza nessun motivo, in un soprannome affettuoso, nella parola scherzosa che scioglie le tensioni, nella pazienza di ascoltare, nel desiderio di abbracciarsi.
Non ci sono due amori: l'amore di Dio e l'amore umano. C'è un unico grande progetto, un solo amore che si incarna in vari modi nella nostra vita.
 
«Scese con loro a Nazareth e stava loro sottomesso». Gesù lascia i maestri della Legge e va con Giuseppe e Maria che sono maestri di vita. Per anni impara l'arte di essere uomo guardando i suoi genitori vivere: lei teneramente forte, mai passiva; lui padre non autoritario, che sa anche tirarsi indietro.
"Sottomesso" non indica un'obbedienza basata sul possesso o sul potere, ma 'stare sotto la custodia', l'essere custodito, attraverso la vocazione cui sono chiamati i genitori che amano e hanno, e donano, fiducia.
Le beatitudini Gesù le ha viste, vissute, imparate da loro: erano poveri, giusti, puri di cuore, miti, costruttori di pace, con viscere di misericordia per tutti. E il loro parlare era: sì, sì; no, no. Stava così bene con loro, che con Dio adotta il linguaggio di casa, e lo chiama: abbà, papà. È stato tanto amato che ha voluto estendere quelle relazioni a livello di massa e dirà: voi siete tutti fratelli.
 
C'è incomprensione tra genitori e figlio, essi non capiscono le sue parole, c'è un dolore che pesa sul cuore, eppure i tre si accettano di nuovo.
L'incomprensione non ferma tutto, ci si rimette in cammino anche se non tutto è chiaro, anche se non ho capito tutto. Si cammina anche nella sofferenza, meditando, conservando, proteggendo nel cuore, come Maria, gesti e dolori, parole e domande, finché un giorno si dipanerà un filo d'oro che tutto illuminerà e abbraccerà.
 
Per finire un'immagine: la tavola è l'altare della casa. Ogni tavola in ogni casa è un altare. Ha raccolto volti, lacrime, progetti, sorrisi, abbracci, pane, parola, perdono: altare dove è celebrato il sacramento del vivere, dove la vita celebra la sua festa.
Da questa tavola deriva l'altare della chiesa. Perché Dio preferisce la casa al tempio. Sta alla porta della mia vita e bussa (Ap 3, 20), e ha il volto delle persone che vivono con me, attorno alla mia tavola, intorno al mio altare.
I momenti di sofferenza, di fatica, di prova, possono avere esiti sorprendenti. C'è dell'oro nelle ferite della vita perché c'è Dio in quelle ferite. Il Signore risorto ci ha portato l'oro delle sue stimmate, che rende d'oro anche le ferite della nostra vita, le nostre ferite d'amore.
 
 

 
Letture:
1 Samuele 1,20-22.24-28
Salmo 83
1 Giovanni 3,1-2.21-24
Luca 2,41-52
 
 

19 dicembre 2024

Ogni nostra prima parola dovrebbe essere di benedizione - 22/12/2024 - IV Domenica di Avvento

 
Visitazione
Vetrata del Magnificat
Église de la Réconciliation - Taizé (F)

 
La nostra attesa del Natale è guidata da due donne in attesa. Due donne abitate da figli inesplicabili. Maria ed Elisabetta sono i primi profeti del Nuovo Testamento, perché la prima parola di Dio è la vita. Dio viene come vita. La vergine e la sterile, entrambe incinte in modo 'impossibile', cantano che viene nel mondo un di più, qualcosa, o meglio qualcuno che l'uomo da solo non può darsi.
 
Dio viene come gioia. Per due volte Luca ripete che il bambino salta di gioia nel grembo. In quel bambino l'umanità intera sperimenta che Dio dà gioia.
La parola 'gioia' nel Vangelo, almeno nella sua formulazione esplicita, è rara. La prima a pronunciarla è Elisabetta. È da questo balzo di gioia che ha inizio il Nuovo Testamento: da questo sorriso invisibile nell'oscurità di un grembo. Perché la gioia esca dalle pareti domestiche e divenga un messaggio universale bisogna attendere la nascita del Bambino e le parole dell'Angelo ai pastori: «Ecco, io vi annuncio una grande gioia destinata a tutto il popolo...». Poi la parola 'gioia' scompare, rimane però come un fiume sotterraneo che alimenta tutto il Vangelo. Tutti i miracoli non sono altro che una consacrazione della gioia, del nostro diritto, garantito da parte di Dio, ad esser felici anche quaggiù.
Ma per rincontrare il termine 'gioia' bisogna arrivare, con Giovanni, alla Passione, al discorso del cenacolo, dove questa parola scende sui discepoli, e su di noi, con una struggente ostinazione: «Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza sarà cambiata in gioia»; «La donna, quando partorisce, prova dolori perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino non si ricorda più dei suoi dolori, tanta è la gioia che prova»; «Ma io vi rivedrò e il vostro cuore esulterà e nessuno potrà rapirvi la vostra gioia». Ma soprattutto «Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15, 11).
E che il cristianesimo sia la religione della gioia lo ribadisce soprattutto san Paolo che, nonostante tutte le sue traversie (prigione, bastonate, naufragi, lapidazioni, e via di seguito), ci esorta con forza: «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi» (Fil 4, 4)
 
Infine Dio viene nelle relazioni, mediato da persone, da incontri, da dialoghi, da abbracci. Le mie braccia allargate sono appena l'inizio di un cerchio che un Amore più grande estenderà fin ad abbracciare tutta la terra.
 
Elisabetta esclama: «Benedetta tu fra le donne! ». La prima parola è una benedizione che da Maria discende su tutte le donne di tutti i tempi.
Ogni prima parola tra gli uomini dovrebbe essere di benedizione. Dire a qualcuno: "Ti benedico!" significa vedere il bene che c'è in lui, significa avere uno sguardo senza rivalità, senza invidia. Se non imparo a benedire chi ho accanto, se non imparo a benedire la vita, non potrò mai essere felice.
 
Accogliendo Dio che viene tra di noi anch'io abiterò la vita con tutta la mia complessità, con la mia parte di Zaccaria che stenta a credere, con la mia parte di Elisabetta che sa benedire, con la mia parte di Maria che sa lodare, con la mia parte di Giovanni che sa esultare; porterò in molti modi il Signore nel mondo, aiutandolo a incarnarsi in queste nostre strade, in queste nostre case.
E anche per me, anche per te risuonerà la parola: 'Benedetto sei tu perché porti nel mondo il Signore, benedetto come Maria'.
 
 

 
Letture:
Michea 5,1-4
Salmo 79
Ebrei 10,5-10
Luca 1,39-45
 
 

12 dicembre 2024

Cambiare ciò che sta dentro il nostro cuore - 15/12/2024 - III Domenica di Avvento

Giovanni battista
(miniatura)

 
 
Il Battista gira per «tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati» (Lc 3, 3), e invita a praticare la giustizia, la carità e il rispetto per gli altri. A ben guardare non sono delle novità, sono le strade indicate già da tutta le Bibbia e ribadiscono una verità fondamentale: la strada per arrivare a Dio passa obbligatoriamente attraverso il prossimo. Disprezzare, calpestare, umiliare gli esseri umani è disprezzare, calpestare, umiliare Dio.
 
Una cosa mi colpisce: alla domanda su cosa fare, lui non dice di fare come lui, non spinge a lasciare tutto e ad inoltrarsi nel deserto. Anzi, invita tutti a rimanere al proprio posto, a continuare a fare lo stesso mestiere che stanno facendo. Solo chiede che lo facciano in maniera diversa.
Si tratta di accogliere il Signore nella vita normale, quella di tutti i giorni. Alla stragrande maggioranza degli uomini e delle donne, Dio non domanda gesti straordinari. Domanda la fedeltà nel quotidiano, nei piccoli gesti di ogni giorno.
Si tratta di andare incontro a Gesù che viene, rimanendo al proprio posto. Il cambiamento che va fatto non è nell'esteriorità ma nell'interiorità. Quello che va cambiato è ciò che sta dentro al nostro cuore.
Non abbiamo bisogno di grandi profeti, ma di tanti piccoli profeti, che, là dove sono chiamati a vivere, siano generosi di giustizia, di pace, di onestà, che sappiano dialogare con l'essenza dell'uomo.
Allora, a cominciare da te, il profumo di buono si spanderà nel mondo.
 
«Tutto il popolo era in attesa»: le indicazioni di Giovanni sono vere, ma rimangono insufficienti. Infatti il popolo aveva ancora fame di pane, di giustizia, di rispetto, di dignità.
Il popolo era in attesa perché la domanda più vera non è: «che cosa devo fare?», ma: "Chi deve venire? chi devo incontrare?". Solo chi ha il cuore pieno della gioia di Dio, chi può e sa soffrire con chi soffre, sarà in grado di cambiare le mia vita.
Chi verrà con amore? chi mi donerà gioia? chi mi renderà forte come un uomo forte?
La risposta è a Natale: un pianto di bambino, incarnazione non della sola Parola, ma soprattutto del grido d'amore di Dio. Grido che ogni giorno abbracciandomi, abbracciando ogni donna e ogni uomo, ripete: Tu mi fai felice!
 
 

 
Letture:
Sofonia 3,14-18
Isaia 12
Filippesi 4,4-7
Luca 3,10-18
 
 

05 dicembre 2024

Il cristianesimo non inizia al tempio, ma in una casa - 8/12/2024 - Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria

 
Basilica dell’Immacolata Concezione e Grotta dell'apparizione
Lourdes (Francia)

 
L'inizio del Vangelo di oggi è molto cinematografico, sembra quasi una di quelle riprese fatte col drone che tanto si usano oggi: parte dall'alto per scendere velocemente verso un villaggio, poi verso una casa, vi entra, e l'obiettivo si ferma sul volto di una ragazza comune, occupata nelle sue faccende, persa nei suoi pensieri.
'L'angelo Gabriele andò da lei'. È bello sapere che Dio ti sfiora, ti tocca nella tua vita quotidiana, nella tua casa. Lo fa nel tempo della festa come nel tempo delle lacrime; quando dici a chi ami le parole più belle che hai e quando, magari canticchiando, passi con l'aspirapolvere. Il cristianesimo non inizia al tempio, ma in una casa.
 
L'angelo propone tre parole assolute: "rallegrati", "non temere", "verrà una vita". Sono le tre parole che angeli e profeti ripetono dentro tutta la storia, dentro tutta la Scrittura. Sono parole che toccano le corde più profonde di ogni essere umano: il bisogno di felicità; la paura (che è madre della violenza e di ogni inganno); l'ansia divina di generare la vita. L'angelo ci assicura che i segni dell'avvicinarsi di Dio sono questi: si moltiplica la gioia, la paura si dissolve, risplende la vita.
 
Prima parola: 'kàire', cioè 'sii felice'. Il primo vangelo è lieta notizia. Notizia che dona gioia, qualcosa che precede ogni nostra risposta. L'angelo non dice 'fai questo o quello, ascolta, prega, vai...', ma semplicemente 'apriti alla gioia, sii felice' perché Dio è con te. Dio si avvicina e ti stringe in un abbraccio di cui quelli sulla terra sono parabole, sono nostalgia. Sii felice, tu sei amata teneramente, gratuitamente, per sempre. Il nome di Maria è 'amata per sempre'. E la sua funzione nella chiesa è di ricordare questo amore che porta gioia.
 
La seconda parola dell'angelo svela il perché della gioia: sei piena di grazia. Un termine nuovo, mai risuonato prima nella bibbia o nelle sinagoghe, letteralmente inaudito, tale da turbare Maria: sei riempita di Dio, che si è chinato su di te, si è innamorato di te, si è dato a te e tu ne trabocchi. Sei amata per sempre. Teneramente, liberamente, senza rimpianti.
Piena di grazia la chiama l'angelo, Immacolata dice il popolo cristiano. Ed è la stessa cosa. Non è piena di grazia perché ha detto '' a Dio, ma perché Dio ha detto '' a lei prima ancora della sua risposta.
E Dio lo dice anche a ciascuno di noi: ognuno pieno di grazia, tutti siamo amati come siamo, per quello che siamo; buoni e meno buoni, ognuno è amato per sempre, piccoli o grandi ognuno è riempito di cielo.
 
«Non temere Maria». Per trecentosessantasei volte nella Scrittura ritorna questa parola, quasi un invito per ogni giorno dell'anno. Non temere se Dio non prende la strada dell'evidenza, dell'efficienza, della grandezza; non temere se l'Altissimo si nasconde in un piccolo embrione umano, non temere le nuove vie di Dio, così lontane dai palazzi della città, dalle liturgie solenni del tempio. Non temere questo Dio bambino, che vivrà solo se tu lo amerai. Dio vivrà per il tuo amore. Sarà felice se tu lo farai felice.
 
L'angelo parla tre volte. Maria risponde prima con il silenzio. La prima azione di Maria è ascoltare questo angelo inatteso e sconcertante. Il primo passo per chiunque voglia entrare in un rapporto vero con Dio o con le sua creature, che siano uomini o angeli, è l'arte dell'ascolto.
 
La prima parola di Maria non è un sì, ma una domanda: «Come avverrà questo?» Sta davanti a Dio con tutta la sua dignità umana, con la sua maturità di donna, con il suo bisogno di capire. Usa l'intelligenza e solo dopo pronuncia il suo sì, che allora ha tutta la potenza di un sì libero e creativo.
 
E alla fine dice «Eccomi», come hanno detto profeti e patriarchi.
"Sono la serva del Signore", serva non indica niente di passivo: la serva del re è la prima dopo il re, colei che collabora, che crea insieme con il creatore.
Con la sua ultima parola rivela il nostro vero nome: "Eccomi!". La storia di Maria è anche la nostra storia. Ancora l'angelo è inviato nella tua casa e ti dice: rallegrati, sei pieno, sei piena di grazia! Dio è dentro di te e ricolma di vita la tua vita.
 
 

 
Letture:
Genesi 3,9-15.20
Salmo 97
Efesini 1,3-6.11-12
Luca 1,26-38