Ai miei 3 lettori e mezzo faccio i miei migliori auguri.
Ma ricordate:
Gesù nasce ogni giorno o non nasce mai
Che anche questa e le prossime notti Gesù nasca nei vostri cuori
Pace e benedizione
Ogni uccello ha il suo modo di volare.
Ogni persona ha il suo modo di incarnare il Cristo.
24 dicembre 2007
23 dicembre 2007
Quarta domenica di Avvento
Un monaco veniva disturbato nella sua preghiera dall’insistente gracidare delle rane del vicino stagno. Una sera, spazientito, intimò il silenzio. Siccome era un santo, di colpo le rane tacquero, e con esse anche tutti gli animali dello stagno. Però dopo pochi istanti di quel silenzio finalmente raggiunto, una voce interiore sussurrò al monaco: “E chi può dire se il gracidio delle rane non sia gradito a Dio quanto il tuo salmodiare e le tue preghiere? Come spiegheresti allora il fatto che Dio stesso l’abbia creato?”
Pensieroso, allora il monaco invitò le rane a riprendere il loro concerto, e subito l’aria fu piena del gracidare di tutte le rane dello stagno. Quelle voci sembravano arricchire il silenzio della notte e il monaco si accorse di non essere più solo a pregare, e si rese conto che il gracidare delle rane si univa alla sua preghiera. E la preghiera che saliva al Signore era molto più bella e ricca.
C’è il momento della preghiera solitaria, e c’è il momento della preghiera comunitaria. E se quando siamo soli ognuno prega come vuole, come può e come riesce, quando siamo tutti assieme allora bisogna essere attenti anche agli altri, accogliere soprattutto i più disturbatori, i più piccoli, unire la nostra preghiera alla loro. La loro preghiera sarà arricchita dalla nostra, ma anche la nostra sarà arricchita dalla loro. E la preghiera che salirà al Signore sarà immensamente più bella della somma di tutte le singole preghiere.
Pensieroso, allora il monaco invitò le rane a riprendere il loro concerto, e subito l’aria fu piena del gracidare di tutte le rane dello stagno. Quelle voci sembravano arricchire il silenzio della notte e il monaco si accorse di non essere più solo a pregare, e si rese conto che il gracidare delle rane si univa alla sua preghiera. E la preghiera che saliva al Signore era molto più bella e ricca.
C’è il momento della preghiera solitaria, e c’è il momento della preghiera comunitaria. E se quando siamo soli ognuno prega come vuole, come può e come riesce, quando siamo tutti assieme allora bisogna essere attenti anche agli altri, accogliere soprattutto i più disturbatori, i più piccoli, unire la nostra preghiera alla loro. La loro preghiera sarà arricchita dalla nostra, ma anche la nostra sarà arricchita dalla loro. E la preghiera che salirà al Signore sarà immensamente più bella della somma di tutte le singole preghiere.
19 dicembre 2007
Tutto è relativo
In questi giorni mi è capitato di fare alcune considerazioni che mi hanno portato a rivedere alcune opinioni.
1) I genitori, specie quando siamo giovani, sono vecchi. In questi giorni, facendo un po' di mente locale, ho "scoperto" che quando mia mamma è morta era 4 anni più giovane di quanto sia io adesso, e che mio papà, quando è rimasto vedovo aveva la mia età attuale. Ma io non mi sento vecchio, tutt'altro!
2) I figli, per i genitori, sono sempre 'piccoli'. Adesso che il mio grande ha terminato l'università e che tra pochi giorni inizierà a lavorare, già la cosa mi sembra strana, ma poi quando mi ha detto che è probabile che debba andare per 6 mesi in Australia..... "il mio piccolinoooooooo, noooooooo!!!" Anche se devo salire di un paio di scalini per guardali negli occhi, faccio fatica a pensare che sono ormai adulti. E pensare che io all'età del grande ero già padre da un anno (proprio di lui), e non mi sentivo assolutamente piccolo.
Pace e benedizione
1) I genitori, specie quando siamo giovani, sono vecchi. In questi giorni, facendo un po' di mente locale, ho "scoperto" che quando mia mamma è morta era 4 anni più giovane di quanto sia io adesso, e che mio papà, quando è rimasto vedovo aveva la mia età attuale. Ma io non mi sento vecchio, tutt'altro!
2) I figli, per i genitori, sono sempre 'piccoli'. Adesso che il mio grande ha terminato l'università e che tra pochi giorni inizierà a lavorare, già la cosa mi sembra strana, ma poi quando mi ha detto che è probabile che debba andare per 6 mesi in Australia..... "il mio piccolinoooooooo, noooooooo!!!" Anche se devo salire di un paio di scalini per guardali negli occhi, faccio fatica a pensare che sono ormai adulti. E pensare che io all'età del grande ero già padre da un anno (proprio di lui), e non mi sentivo assolutamente piccolo.
Pace e benedizione
16 dicembre 2007
Note a margine del vangelo di oggi
Il vangelo di oggi, terza domenica d’Avvento, mi pare si adatti bene ad una riflessione sul senso che ha per noi l’attesa di questo Dio che viene ad abitare in mezzo a noi.
Una prima cosa colpisce. Il Battista è in prigione, e giungono a lui le notizie su Gesù. Ma lui che tanto prontamente l’aveva riconosciuto quando era venuto a farsi battezzare, adesso è perplesso. Finché era nel deserto ci vedeva chiaro, adesso che è in prigione è assalito dai dubbi, non si raccapezza più:
“Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attendere un altro?”
Giovanni non aveva nessuna pretesa per sé stesso. Tutta la sua vita l’aveva spesa per quell’Altro che doveva venire. Il quarto vangelo ci riporta che disse: “Lui deve crescere e io diminuire”.
Possiamo allora legittimamente pensare che la sola sua soddisfazione fosse di veder crescere l’Altro. Pensava che quella soddisfazione nessuno gliela avrebbe potuta togliere.
E invece Quello continuava a diminuire. Non cercava gli applausi, sembrava che ci tenesse a nascondersi, non faceva nessuna concessione ad una facile popolarità, si premurava di stare ben alla larga da ogni potere, sia politico che religioso.
Provate un po’ a pensare al vangelo di domenica scorsa. Giovanni parlava di mietitura, di raccolto. E Gesù invece parla di seminazione.
Giovanni gli metteva in mano un ventilabro, lo vedeva intento a pulire l’aia, a spazzare via i nemici, a separare definitivamente i buoni dai cattivi. Insomma, per lui era finalmente arrivato il castigamatti, quello che avrebbe finalmente messo a posto tutte le cose, sistemato ognuno come si meritava e una volta per tutte. Gesù invece accoglie tutti, si mette a far bisboccia con pubblicani e peccatori, addirittura fa capire che il “giudizio” è rimandato alla fine. Lui dice chiaramente che non era venuto a “sistemare definitivamente” le cose, ma a dare l’avvio a qualcosa, non era venuto a separare ma ad accogliere.
Giovanni gli aveva dato una scure per abbattere senza indugio, alla radice, gli alberi cattivi, e Gesù inaugura il tempo della pazienza e del perdono
Giovanni lo aveva descritto in termini di un fuoco purificatore e divoratore del male. E Gesù gli manda a descrivere la sua azione in termini di misericordia: “I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella” per concludere il suo messaggio con una frase forse un po’ sconcertante: “beato colui che non si scandalizza di me”.
Il Messia compie quindi delle opere, ma non sono quelle che si aspettava il suo Precursore, e con lui tanta gente del tempo.
Giovanni aveva visto molto bene riguardo al tempo, e anche riguardo al Personaggio (lo aveva indicato con precisione). Ma aveva toppato completamente riguardo al modo. Aveva centrato esattamente la persona, ma completamente sbagliato il bersaglio riguardo alla sua azione.
Capite quindi il suo smarrimento nella prigione. Penso che questo sia stato il suo vero martirio: un Dio che parla in maniera diversa da quella che ci saremmo aspettati, che non si comporta secondo le nostre previsioni, che non ascolta i nostri suggerimenti, che non sta al nostro cerimoniale, è davvero insopportabile. Viene quasi il dubbio che non sia più Dio.
Difendere la causa di un Dio che non sposa le nostre cause, il nostro punto di vista, che regolarmente ci smentisce su chi si debba frequentare e chi evitare come la peste, è la cosa più difficile. Non è il martirio, ma è senz’altro la prova decisiva per la fede.
Ma perché la Chiesa in questo periodo dell’attesa ci presenta questo fatto: gli atteggiamenti di Gesù non coincidono con le aspettative, con le immagini messe in circolazione da quello che ha meritato l’elogio di essere “il più grande tra i nati di donna”?
Una cosa innanzi tutto. Non è raro che Dio smentisca i propri profeti, che smentisca i suoi “porta-voce” ufficiali. Pensate ad esempio al profeta Giona, ma anche all’episodio del profeta Natan narrato in 2Sam 7,1-29 quando dapprima il profeta dà ragione a Davide a proposito della costruzione del tempio, ma poi gli comunica che Dio non vuole che sia lui a costruirlo, ma il figlio Salomone.
Non è sufficiente accogliere Dio, bisogna essere disposti ad accogliere un Dio “diverso”. Diverso dalle nostre idee, dai nostri schemi e dalle nostre abitudini.
Siamo sempre tentati di imprestare, quando non a imporre, a Dio i nostri sentimenti, i nostri punti di vista, i nostri gusti. Ma anche i nostri risentimenti, le nostre meschinità, le nostre antipatie.
Siamo sempre pronti a suggerire a Dio come deve comportarsi, chi deve accogliere e chi rifiutare, chi premiare e chi castigare. Insomma, abbiamo la pretesa di insegnare a Dio ad essere … Dio. E così facendo dimentichiamo che invece è Lui che ha tutti i diritti di insegnarci il nostro mestiere di uomini.
Dobbiamo stare attenti a non tirare Dio dalla nostra parte. Piuttosto è Lui che deve tirare noi dalla Sua parte. E bisogna ammettere che purtroppo noi in questo tiro alla fune mettiamo in campo tutte le nostre forze, le nostre astuzie, e qualche volta giochiamo anche sporco.
Dimentichiamo molto rapidamente e molto facilmente che Lui stesso ci ha detto che “i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie - oracolo del Signore” (Is 55,8).
Anni fa uno scrittore proprio a questo proposito accusava i cristiani di fabbricarsi un Dio “a cui la peggiore delle canaglie si vergognerebbe di assomigliare”. Acutamente precisava che il più delle volte l’uomo si fabbrica un’idea di Dio conforme a ciò che lui stesso avrebbe voluto essere, cioè un essere superiore agli altri per poterli poi dominare. E concludeva il suo pensiero sostenendo che invece Gesù rappresenta la rottura di tutte le rappresentazioni umane di Dio.
Occorre accettare un Dio che distrugge il nostro dio-idolo. Un dio fatto a nostra immagine e somiglianza non è Dio. Un dio che non sia altro che una specie di superuomo non è Dio.
Occorre purificare continuamente la nostra idea di Dio, confrontandola con l’immagine autentica manifestata da Gesù. Anche se questa immagine sembra, alla nostra mentalità, sconvolgente. Anzi, direi che più ci sembra sconvolgente, più significa che stiamo adorando un idolo da noi costruito e non il Dio Padre che è rivelato da Gesù Cristo.
E occorre soprattutto evitare di metter in circolazione una caricatura di Dio, un’immagine che ci rassomiglia troppo.
Ho il forte sospetto, per non dire la certezza, che tanto ateismo non sia un rifiuto del Dio vero, ma il rifiuto di tante caricature di Dio che noi cristiani abbiamo messo in circolazione. Nell’autobiografia di una pedagogista francese, possiamo leggere che nell’adolescenza, mentre era in un collegio retto da religiose, spesso andava in chiesa e sfogava la sua delusione piangendo e pestando i pugni sul banco dicendo: “Dio, io voglio che tu sia diverso da come mi vieni presentato”.
Soltanto se riusciamo ad accettare un Dio diverso, che ci da torto, che smaschera senza pietà le nostre idolatrie, che fa saltare le nostre classificazioni e sistemazioni, che non è mai d’accordo con noi , saremo realmente pronti ad accettare questo Dio che viene tra noi in un bambino nudo e indifeso, per terminare la sua vita, sempre nudo e indifeso, appeso su di una croce. Ma soprattutto avremo la possibilità di parlare di Dio con un linguaggio che sarà certamente inadeguato, ma che rispetterà il mistero, ne lascerà indovinare la profondità, e soprattutto farà venir voglia di Dio (o almeno ne susciterà nostalgia)
Una prima cosa colpisce. Il Battista è in prigione, e giungono a lui le notizie su Gesù. Ma lui che tanto prontamente l’aveva riconosciuto quando era venuto a farsi battezzare, adesso è perplesso. Finché era nel deserto ci vedeva chiaro, adesso che è in prigione è assalito dai dubbi, non si raccapezza più:
“Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attendere un altro?”
Giovanni non aveva nessuna pretesa per sé stesso. Tutta la sua vita l’aveva spesa per quell’Altro che doveva venire. Il quarto vangelo ci riporta che disse: “Lui deve crescere e io diminuire”.
Possiamo allora legittimamente pensare che la sola sua soddisfazione fosse di veder crescere l’Altro. Pensava che quella soddisfazione nessuno gliela avrebbe potuta togliere.
E invece Quello continuava a diminuire. Non cercava gli applausi, sembrava che ci tenesse a nascondersi, non faceva nessuna concessione ad una facile popolarità, si premurava di stare ben alla larga da ogni potere, sia politico che religioso.
Provate un po’ a pensare al vangelo di domenica scorsa. Giovanni parlava di mietitura, di raccolto. E Gesù invece parla di seminazione.
Giovanni gli metteva in mano un ventilabro, lo vedeva intento a pulire l’aia, a spazzare via i nemici, a separare definitivamente i buoni dai cattivi. Insomma, per lui era finalmente arrivato il castigamatti, quello che avrebbe finalmente messo a posto tutte le cose, sistemato ognuno come si meritava e una volta per tutte. Gesù invece accoglie tutti, si mette a far bisboccia con pubblicani e peccatori, addirittura fa capire che il “giudizio” è rimandato alla fine. Lui dice chiaramente che non era venuto a “sistemare definitivamente” le cose, ma a dare l’avvio a qualcosa, non era venuto a separare ma ad accogliere.
Giovanni gli aveva dato una scure per abbattere senza indugio, alla radice, gli alberi cattivi, e Gesù inaugura il tempo della pazienza e del perdono
Giovanni lo aveva descritto in termini di un fuoco purificatore e divoratore del male. E Gesù gli manda a descrivere la sua azione in termini di misericordia: “I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella” per concludere il suo messaggio con una frase forse un po’ sconcertante: “beato colui che non si scandalizza di me”.
Il Messia compie quindi delle opere, ma non sono quelle che si aspettava il suo Precursore, e con lui tanta gente del tempo.
Giovanni aveva visto molto bene riguardo al tempo, e anche riguardo al Personaggio (lo aveva indicato con precisione). Ma aveva toppato completamente riguardo al modo. Aveva centrato esattamente la persona, ma completamente sbagliato il bersaglio riguardo alla sua azione.
Capite quindi il suo smarrimento nella prigione. Penso che questo sia stato il suo vero martirio: un Dio che parla in maniera diversa da quella che ci saremmo aspettati, che non si comporta secondo le nostre previsioni, che non ascolta i nostri suggerimenti, che non sta al nostro cerimoniale, è davvero insopportabile. Viene quasi il dubbio che non sia più Dio.
Difendere la causa di un Dio che non sposa le nostre cause, il nostro punto di vista, che regolarmente ci smentisce su chi si debba frequentare e chi evitare come la peste, è la cosa più difficile. Non è il martirio, ma è senz’altro la prova decisiva per la fede.
Ma perché la Chiesa in questo periodo dell’attesa ci presenta questo fatto: gli atteggiamenti di Gesù non coincidono con le aspettative, con le immagini messe in circolazione da quello che ha meritato l’elogio di essere “il più grande tra i nati di donna”?
Una cosa innanzi tutto. Non è raro che Dio smentisca i propri profeti, che smentisca i suoi “porta-voce” ufficiali. Pensate ad esempio al profeta Giona, ma anche all’episodio del profeta Natan narrato in 2Sam 7,1-29 quando dapprima il profeta dà ragione a Davide a proposito della costruzione del tempio, ma poi gli comunica che Dio non vuole che sia lui a costruirlo, ma il figlio Salomone.
Non è sufficiente accogliere Dio, bisogna essere disposti ad accogliere un Dio “diverso”. Diverso dalle nostre idee, dai nostri schemi e dalle nostre abitudini.
Siamo sempre tentati di imprestare, quando non a imporre, a Dio i nostri sentimenti, i nostri punti di vista, i nostri gusti. Ma anche i nostri risentimenti, le nostre meschinità, le nostre antipatie.
Siamo sempre pronti a suggerire a Dio come deve comportarsi, chi deve accogliere e chi rifiutare, chi premiare e chi castigare. Insomma, abbiamo la pretesa di insegnare a Dio ad essere … Dio. E così facendo dimentichiamo che invece è Lui che ha tutti i diritti di insegnarci il nostro mestiere di uomini.
Dobbiamo stare attenti a non tirare Dio dalla nostra parte. Piuttosto è Lui che deve tirare noi dalla Sua parte. E bisogna ammettere che purtroppo noi in questo tiro alla fune mettiamo in campo tutte le nostre forze, le nostre astuzie, e qualche volta giochiamo anche sporco.
Dimentichiamo molto rapidamente e molto facilmente che Lui stesso ci ha detto che “i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie - oracolo del Signore” (Is 55,8).
Anni fa uno scrittore proprio a questo proposito accusava i cristiani di fabbricarsi un Dio “a cui la peggiore delle canaglie si vergognerebbe di assomigliare”. Acutamente precisava che il più delle volte l’uomo si fabbrica un’idea di Dio conforme a ciò che lui stesso avrebbe voluto essere, cioè un essere superiore agli altri per poterli poi dominare. E concludeva il suo pensiero sostenendo che invece Gesù rappresenta la rottura di tutte le rappresentazioni umane di Dio.
Occorre accettare un Dio che distrugge il nostro dio-idolo. Un dio fatto a nostra immagine e somiglianza non è Dio. Un dio che non sia altro che una specie di superuomo non è Dio.
Occorre purificare continuamente la nostra idea di Dio, confrontandola con l’immagine autentica manifestata da Gesù. Anche se questa immagine sembra, alla nostra mentalità, sconvolgente. Anzi, direi che più ci sembra sconvolgente, più significa che stiamo adorando un idolo da noi costruito e non il Dio Padre che è rivelato da Gesù Cristo.
E occorre soprattutto evitare di metter in circolazione una caricatura di Dio, un’immagine che ci rassomiglia troppo.
Ho il forte sospetto, per non dire la certezza, che tanto ateismo non sia un rifiuto del Dio vero, ma il rifiuto di tante caricature di Dio che noi cristiani abbiamo messo in circolazione. Nell’autobiografia di una pedagogista francese, possiamo leggere che nell’adolescenza, mentre era in un collegio retto da religiose, spesso andava in chiesa e sfogava la sua delusione piangendo e pestando i pugni sul banco dicendo: “Dio, io voglio che tu sia diverso da come mi vieni presentato”.
Soltanto se riusciamo ad accettare un Dio diverso, che ci da torto, che smaschera senza pietà le nostre idolatrie, che fa saltare le nostre classificazioni e sistemazioni, che non è mai d’accordo con noi , saremo realmente pronti ad accettare questo Dio che viene tra noi in un bambino nudo e indifeso, per terminare la sua vita, sempre nudo e indifeso, appeso su di una croce. Ma soprattutto avremo la possibilità di parlare di Dio con un linguaggio che sarà certamente inadeguato, ma che rispetterà il mistero, ne lascerà indovinare la profondità, e soprattutto farà venir voglia di Dio (o almeno ne susciterà nostalgia)
15 dicembre 2007
Terza domenica di Avvento
Un monaco molto venerabile era assorto in contemplazione. Dopo aver a lungo pregato, si inginocchiò e toccò con la fronte la terra dicendo: “Signore, ho un solo desiderio nella vita: fammi la grazia di non offenderti mai più”
Nell’udire queste parole, Dio scoppiò a ridere e disse: “È quello che chiedono tutti. Ma dimmi, se concedessi a tutti questa grazia, chi avrei ancora da perdonare?”
-=-=-
Gesù nella sua vita ha insistito molto sulla necessità di perdonare. E in effetti è proprio venuto sulla terra per proclamarci che il Padre non vuole altro che perdonarci, il sogno di Dio è che noi accettiamo il suo perdono, non ha sogno più grande.
Perdonare è proprio l’azione che ci rendo più vicini a Dio, che ci rende a Lui più simile, è un’azione divina.
Nell’udire queste parole, Dio scoppiò a ridere e disse: “È quello che chiedono tutti. Ma dimmi, se concedessi a tutti questa grazia, chi avrei ancora da perdonare?”
-=-=-
Gesù nella sua vita ha insistito molto sulla necessità di perdonare. E in effetti è proprio venuto sulla terra per proclamarci che il Padre non vuole altro che perdonarci, il sogno di Dio è che noi accettiamo il suo perdono, non ha sogno più grande.
Perdonare è proprio l’azione che ci rendo più vicini a Dio, che ci rende a Lui più simile, è un’azione divina.
14 dicembre 2007
Un insolito maestro di preghiera
Ho scoperto perché la Chiesa chiama certi periodi (Avvento e Quaresima in primis) 'tempi forti': perché per sopravvivervi bisogna esser forti. ;-)
Scherzi a parte in questo periodo sono un po' pieno di cose da fare in parrocchia, oltre al solito lavoro e famiglia. Per cui alla sera sono un po' stanco. E come sempre, nella stanchezza la prima cosa che ne risente è la preghiera. :-(
A volte ne risente solo in qualità, ma altre putroppo anche in quantità.
L'altra sera ero in quello che considero un po' il mio regno (la cucina dopo cena) e cercavo di raccogliermi un po' in preghiera, di stare per un periodo solo col Signore, ma continui pensieri e preoccupazioni mi passavano per la testa. Non riuscivo a trovar pace né, soprattutto, quel silenzio interiore che anelavo.
In sottofondo, ma in maniera molto discreta, il frigorifero faceva il suo lavoro. Il compressore quasi non si sentiva, e il fruscio del liquido refrigerante non dava il minimo fastidio. Ad un tratto il compressore si è fermato, e il liquido ha però continuato a circolare per un po', a velocità, e rumore, sempre più bassa. Fino a fermarsi del tutto. Il silenzio
È stato come se qualcuno avesse acceso la luce in una stanza prima al buio. Anch'io dovevo fare così: spegnere il compressore dell'ansia, e lasciare che i liquidi dei pensieri continuassero pure a circolare per un po'. Dopo, senza più spinta, si sarebbero fermati.
E così è stato. Quando non ho più cercato di pregare, ma ho lasciato che la preghiera sorgesse da sola, la preghiera è arrivata.
Pace e benedizione
Scherzi a parte in questo periodo sono un po' pieno di cose da fare in parrocchia, oltre al solito lavoro e famiglia. Per cui alla sera sono un po' stanco. E come sempre, nella stanchezza la prima cosa che ne risente è la preghiera. :-(
A volte ne risente solo in qualità, ma altre putroppo anche in quantità.
L'altra sera ero in quello che considero un po' il mio regno (la cucina dopo cena) e cercavo di raccogliermi un po' in preghiera, di stare per un periodo solo col Signore, ma continui pensieri e preoccupazioni mi passavano per la testa. Non riuscivo a trovar pace né, soprattutto, quel silenzio interiore che anelavo.
In sottofondo, ma in maniera molto discreta, il frigorifero faceva il suo lavoro. Il compressore quasi non si sentiva, e il fruscio del liquido refrigerante non dava il minimo fastidio. Ad un tratto il compressore si è fermato, e il liquido ha però continuato a circolare per un po', a velocità, e rumore, sempre più bassa. Fino a fermarsi del tutto. Il silenzio
È stato come se qualcuno avesse acceso la luce in una stanza prima al buio. Anch'io dovevo fare così: spegnere il compressore dell'ansia, e lasciare che i liquidi dei pensieri continuassero pure a circolare per un po'. Dopo, senza più spinta, si sarebbero fermati.
E così è stato. Quando non ho più cercato di pregare, ma ho lasciato che la preghiera sorgesse da sola, la preghiera è arrivata.
Pace e benedizione
13 dicembre 2007
Il bus come mezzo di trasporto a Dio
Questa mattina, come al solito, ho preso il bus per andare al lavoro. Stavo ripensando all'altra sera, all'incontro di catechesi coi giovani, e a domenica prossima, giornata di ritiro sempre coi giovani. Tema dell'altra sera era in fondo questo: quanto contiamo su Dio e quanto invece su noi stessi?
Invece delle solite 4-5 persone, questa mattina sul bus c'ero solo io e l'autista (vado a lavorare presto). E pensavo... io non sto 'andando' a lavorare. In realtà mi faccio portare da un altro al lavoro. Mi affido all'autista, alla sua conoscenza della strada, alla sua capacità di guidare, se adesso gli succede qualcosa la mia vita dipende da lui. Ho fiducia in lui.
E non è la stessa cosa con Dio? Se ho deciso di salire sul suo bus (la fede) allora significa che mi devo realmente fidare di Lui, e lo devo fare fino in fondo. Lui sa dove è meglio che io vada, sa meglio di me qual'è la strada migliore per arrivarci, e sa guidare il suo bus meglio di me, è il suo mestiere, e lo fa da un'eternità!
Invece delle solite 4-5 persone, questa mattina sul bus c'ero solo io e l'autista (vado a lavorare presto). E pensavo... io non sto 'andando' a lavorare. In realtà mi faccio portare da un altro al lavoro. Mi affido all'autista, alla sua conoscenza della strada, alla sua capacità di guidare, se adesso gli succede qualcosa la mia vita dipende da lui. Ho fiducia in lui.
E non è la stessa cosa con Dio? Se ho deciso di salire sul suo bus (la fede) allora significa che mi devo realmente fidare di Lui, e lo devo fare fino in fondo. Lui sa dove è meglio che io vada, sa meglio di me qual'è la strada migliore per arrivarci, e sa guidare il suo bus meglio di me, è il suo mestiere, e lo fa da un'eternità!
Pace e benedizione a tutti
12 dicembre 2007
08 dicembre 2007
Seconda domenica d'Avvento
Un racconto ebraico:
Un povero contadino si recò al mercato col carro. Purtroppo durante il viaggio si stacco una ruota del carro, e il tempo perso per ripararla gli impedì di tornare a casa per la notte. Quando si preparò per andare a dormire si accorse che aveva dimenticato di portare con sé il libro delle preghiere.
Allora pregò in questo modo: “Ho commesso una grave sciocchezza Signore: sono partito da casa senza il mio libro di preghiere, e ho così poca memoria che senza di esso non riesco a dire neanche un’orazione. Ma ecco cosa farò: reciterò molto lentamente tutto l’alfabeto e Tu, che conosci ogni preghiera, potrai mettere insieme le lettere in modo da formare le preghiere che non riesco a ricordare”
Disse allora il Signore ai suoi angeli: “Di tutte le preghiere che oggi ho sentito, questa è la più bella perché è nata da un cuore semplice e sincero”
Non sono le parole che usiamo nella preghiera che contano, ma è il cuore che ci mettiamo che da il vero valore alla nostra preghiera.
Un povero contadino si recò al mercato col carro. Purtroppo durante il viaggio si stacco una ruota del carro, e il tempo perso per ripararla gli impedì di tornare a casa per la notte. Quando si preparò per andare a dormire si accorse che aveva dimenticato di portare con sé il libro delle preghiere.
Allora pregò in questo modo: “Ho commesso una grave sciocchezza Signore: sono partito da casa senza il mio libro di preghiere, e ho così poca memoria che senza di esso non riesco a dire neanche un’orazione. Ma ecco cosa farò: reciterò molto lentamente tutto l’alfabeto e Tu, che conosci ogni preghiera, potrai mettere insieme le lettere in modo da formare le preghiere che non riesco a ricordare”
Disse allora il Signore ai suoi angeli: “Di tutte le preghiere che oggi ho sentito, questa è la più bella perché è nata da un cuore semplice e sincero”
Non sono le parole che usiamo nella preghiera che contano, ma è il cuore che ci mettiamo che da il vero valore alla nostra preghiera.
06 dicembre 2007
Eucaristia, sacramento dell'unità e della differenziazione
Ultimamente sento sempre più spesso (o forse solamente ci faccio più caso) persone che si lamentano perché dicono che andare a Messa e poi pensare e fare cose molto diverse, cercare di vivere il proprio cristianesimo in maniera differente vuol dire "prendere in giro il Signore". Tutti o quasi pensano che SOLO il loro modo di intendere l'essere cristiani sia quelo vero, gli altri sono eresie più o meno palesi.
Non dico che tante volte non sia una tentazione in cui sia caduto anch'io.
Oggi leggevo un libro e sono capitato su una citazione di un passo di Jean-Marie Roger Tillard (domenicano, tra le altre cose anche consulente del Segretariato per l'unità dei cristiani, morto nel 2000) che vi riporto:
"Vivere l'Eucaristia, comunicare allo sptesso Pane, mentre nella vita quotidiana le nostre opzioni, i nostri punti di vista ci mettono in opposizione tra di noi, non equivale necessariamente a una menzogna che ci rende indegni del Sacro Banchetto. Al contrario, questo atto può anzi proclamare, con una forza superiore alle nostra parole, quanto le diversità e divergenze si radichino in una stessa volontà di comunione al Vangelo, nell'ottica di una stesso progetto."
Dei cristiani che hanno celbrato insieme l'Eucaristia non possono più trasformare in non-amore le loro opposizioni. Mi viene in mente una frase latina "Quidquid recipitur, ad modum recipientis recipitur". L'Eucaristia produce comunione tra le persone, ma sottolineando e sviluppando la fisionomia tipica di ognuno di noi.
Non dico che tante volte non sia una tentazione in cui sia caduto anch'io.
Oggi leggevo un libro e sono capitato su una citazione di un passo di Jean-Marie Roger Tillard (domenicano, tra le altre cose anche consulente del Segretariato per l'unità dei cristiani, morto nel 2000) che vi riporto:
"Vivere l'Eucaristia, comunicare allo sptesso Pane, mentre nella vita quotidiana le nostre opzioni, i nostri punti di vista ci mettono in opposizione tra di noi, non equivale necessariamente a una menzogna che ci rende indegni del Sacro Banchetto. Al contrario, questo atto può anzi proclamare, con una forza superiore alle nostra parole, quanto le diversità e divergenze si radichino in una stessa volontà di comunione al Vangelo, nell'ottica di una stesso progetto."
Dei cristiani che hanno celbrato insieme l'Eucaristia non possono più trasformare in non-amore le loro opposizioni. Mi viene in mente una frase latina "Quidquid recipitur, ad modum recipientis recipitur". L'Eucaristia produce comunione tra le persone, ma sottolineando e sviluppando la fisionomia tipica di ognuno di noi.
04 dicembre 2007
Una bella domenica
Ho passato una domenica un po' particolare, a contatto con la sofferenza.
Tutto è iniziato subito dopo la Messa quando mi hanno chiesto di trovare con urgenza uno dei preti per un'Unzione degli infermi. Poi c'è stata la ragazza che è stata abbandonata ad un mese dal matrimonio, poi la nonnina a cui porto ogni domenica la Comunione, e mentre tornavo a casa, la persona che non vedevo da molto tempo e che ha notevoli problemi psichiatrici, e che mi ha fermato per parlarmi dei suoi problemi, sia quelli vecchi che quelli nuovi.
Al pomeriggio poi ero con mia moglie in ospedale a trovare un amico ricoverato per una grave malattia. Questo è stato il momento più difficile. Varcare nuovamente quella porta dell'ospedale è stato come ripiombare in un periodo della mia vita che fa ancora male: quello della sofferenza e della morte di persone a noi care.
La serata si è poi conclusa con la notizia della morte del padre di una nostra amica.
Una giornata a stretto contatto con la sofferenza in vari suoi aspetti. E pensavo che proprio sabato il Papa ha pubblicato un'enciclica sulla speranza. Al di là di ogni parola, al di là di ogni teoria, siamo chiamati a portare un segno di speranza in situazioni come quelle di cui sopra. A volte penso che non sia tanto importante quanta speranza abbiamo, ma quanta speranza riusciamo a donare, a mostrare, a comunicare.
Non so quanta speranza sia riuscito a donare (né se ne abbia data), ma in fondo è stata una bella domenica. Bella perché passata immerso nella vita degli altri, con le loro gioie e con i loro dolori, cioè con la loro umanità.
Tutto è iniziato subito dopo la Messa quando mi hanno chiesto di trovare con urgenza uno dei preti per un'Unzione degli infermi. Poi c'è stata la ragazza che è stata abbandonata ad un mese dal matrimonio, poi la nonnina a cui porto ogni domenica la Comunione, e mentre tornavo a casa, la persona che non vedevo da molto tempo e che ha notevoli problemi psichiatrici, e che mi ha fermato per parlarmi dei suoi problemi, sia quelli vecchi che quelli nuovi.
Al pomeriggio poi ero con mia moglie in ospedale a trovare un amico ricoverato per una grave malattia. Questo è stato il momento più difficile. Varcare nuovamente quella porta dell'ospedale è stato come ripiombare in un periodo della mia vita che fa ancora male: quello della sofferenza e della morte di persone a noi care.
La serata si è poi conclusa con la notizia della morte del padre di una nostra amica.
Una giornata a stretto contatto con la sofferenza in vari suoi aspetti. E pensavo che proprio sabato il Papa ha pubblicato un'enciclica sulla speranza. Al di là di ogni parola, al di là di ogni teoria, siamo chiamati a portare un segno di speranza in situazioni come quelle di cui sopra. A volte penso che non sia tanto importante quanta speranza abbiamo, ma quanta speranza riusciamo a donare, a mostrare, a comunicare.
Non so quanta speranza sia riuscito a donare (né se ne abbia data), ma in fondo è stata una bella domenica. Bella perché passata immerso nella vita degli altri, con le loro gioie e con i loro dolori, cioè con la loro umanità.
01 dicembre 2007
Prima domenica di Avvento
Come ogni anno, il mio parroco mi chiede di tenere delle brevi meditazioni per i Vespri della domenica di Avvento. Ecco quelle di quest'anno.
============
Quando un amico che non vediamo da tempo, perché abita lontano, ci telefona annunciandoci una sua prossima visita, subito iniziamo a pensare a come accoglierlo. Cerchiamo di prepararci al meglio per l’incontro, per fare in modo che sia il più lieto possibile. E anche ripensiamo ai bei momenti passati insieme, a cosa gli piaceva di più.
Una cosa che a Gesù, questo amico che ci verrà a trovare tra poco, piaceva fare era raccontare storie. Noi le chiamiamo parabole. Allora per prepararci alla sua visita, anch’io vorrei, in questo Avvento, raccontarvi delle storie che ci aiutino ad essere pronti ad accoglierlo.
Una giovane coppia di sposi stava seduta su di una panchina a contemplare il tramonto. Tenendole teneramente la mano, lui le disse: “Sai cara, lavorerò sodo e un giorno saremo ricchi”. Ma lei rispose: “Siamo già ricchi caro, perché tu hai me e io ho te. Un giorno forse avremo i soldi”
La vera ricchezza è un cuore che ama. Essere ricchi, ma veramente ricchi, non significa avere molti soldi, tante carte di credito, tanti fondi di investimento. Significa invece un cuore che ama, e che amando si dona totalmente all’amato. Un cuore che non trattiene niente, ma che tutto dona.
Solo un cuore che ama è pronto ad accogliere quel Gesù che sta per venire tra noi.
============
Quando un amico che non vediamo da tempo, perché abita lontano, ci telefona annunciandoci una sua prossima visita, subito iniziamo a pensare a come accoglierlo. Cerchiamo di prepararci al meglio per l’incontro, per fare in modo che sia il più lieto possibile. E anche ripensiamo ai bei momenti passati insieme, a cosa gli piaceva di più.
Una cosa che a Gesù, questo amico che ci verrà a trovare tra poco, piaceva fare era raccontare storie. Noi le chiamiamo parabole. Allora per prepararci alla sua visita, anch’io vorrei, in questo Avvento, raccontarvi delle storie che ci aiutino ad essere pronti ad accoglierlo.
Una giovane coppia di sposi stava seduta su di una panchina a contemplare il tramonto. Tenendole teneramente la mano, lui le disse: “Sai cara, lavorerò sodo e un giorno saremo ricchi”. Ma lei rispose: “Siamo già ricchi caro, perché tu hai me e io ho te. Un giorno forse avremo i soldi”
La vera ricchezza è un cuore che ama. Essere ricchi, ma veramente ricchi, non significa avere molti soldi, tante carte di credito, tanti fondi di investimento. Significa invece un cuore che ama, e che amando si dona totalmente all’amato. Un cuore che non trattiene niente, ma che tutto dona.
Solo un cuore che ama è pronto ad accogliere quel Gesù che sta per venire tra noi.
Iscriviti a:
Post (Atom)