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Per capire meglio questo brano bisogna fare una premessa. A quei tempi non c'erano ovili privati, riservati ad un unico gregge, ma c'era un unico ovile per tutti i pastori della zona. Alla sera ogni pastore portava le sue pecore all'ovile, dove si mescolavano con tutte le altre, e le affidava ad un guardiano. Al mattino, poi, si presentavano i pastori e ognuno chiamava le sue pecore, che riconoscendo la voce del proprio pastore, uscivano dall'ovile. Anche se tutte mescolate, le pecore riconoscono la voce e la seguono. Non vanno dietro ad un altro pastore, perché ha una voce estranea.
Le pecore, nel buio della notte, possono aver avuto paura di essere state abbandonate, di aver perso il pastore, ma lo ritrovano al mattino. Non quando lo vedono, ma quando "ascoltano la sua voce".
È la voce che permette di riconoscere il pastore. È la voce che restituisce chi era stato sottratto alla vista.
Viene in mente Maria di Magdala la mattina di Pasqua (Gv 20, 14-17): finché si affida al vedere, piange perché avverte la mancanza di ciò che le è stato tolto. Ma lo ritrova al suono di una voce che la chiama per nome: «Maria!». Gli occhi non lo avevano riconosciuto, difatti lo aveva scambiato per un giardiniere, ma la voce l'ha svelato. Quel timbro, quel tono, il nome pronunciato con profondo affetto, fanno scoccare la scintilla del riconoscimento. Anche lei, come le pecore, riconosce il Pastore 'quando lo sente pronunciare il suo nome'.
«Chiama le sue pecore, ciascuna per nome ...»
Ogni pecora, oltre a riconoscere quella voce unica, riconosce anche il proprio nome. In effetti Gesù non parla mai di 'gregge', di una massa indistinta, ma parla di singole pecore, di singole persone. Chiamandoci per nome Gesù si fa riconoscere, ma ci rivela anche il nostro valore, la nostra importanza per Lui.
Questo rapporto personale, intimo, all'insegna dell'unicità è quello che intercorre tra noi e il vero Pastore, quello che lo caratterizza rispetto a tutti gli altri pastori 'abusivi'.
Per Dio io non sono 'uno tra i tanti', per Lui sono 'unico'. Non sono un numero, un essere anonimo perso in una massa indistinta, una pedina intercambiabile. Né tanto meno sono uno che deve adeguarsi agli altri, conformarsi a qualcun altro. Agli occhi di Dio, ma soprattutto al suo cuore, io sono un essere unico, inconfondibile, irripetibile.
"Ogni persona è una scoperta, un esemplare esclusivo [...] Io sono qualcosa che non può essere ripetuto e di cui non esiste copia o sostituto" (Abraham Joshua Heschel)
Al di fuori delle statistiche non esiste l'uomo medio, standard. Dio non lavora in serie. Ogni essere umano è un modello originale, un esemplare 'esclusivo'. Ogni uomo che viene al mondo è necessario, è importante, è "importante d'amore" (Pierre Talec), ma soprattutto è insostituibile.
Ognuno di noi è chiamato a produrre la propria nota originale (e insostituibile) nel concerto dell'universo. Se non vivo in pienezza la mia unicità, se affogo nel conformismo, nel 'così fan tutti', faccio mancare la mia nota alla sinfonia universale, rendo più povera non solo la mia vita, ma tutto il creato, persino Dio.
Posso farmi sostituire in un lavoro. Ma non posso farmi sostituire nella vita.
La Vita non può fare a meno di te.
(At 2,14.36-41; Sal 22; 1Pt 2,20-25; Gv 10,1-10)