26 settembre 2024

Tutti siamo 'uno' in Gesù Cristo - 29/9/2024 - XXVI Domenica Tempo Ordinario

 
Non mano tagliata, ma mano protesa per offrire un bicchiere d'acqua
Foto di engin akyurt su Unsplash

 
«Abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Quell'uomo (che per loro era solo 'uno' cioè un numero, non una persona), anche se capace di miracoli, di lotta vittoriosa contro il male, viene bloccato.
E notiamo che è Giovanni che parla, il discepolo prediletto. Uno dei due "Figli del tuono" (Mc 3, 17) qui si dimostra figlio di un cuore piccolo, rattrappito. Ai dodici, perché Giovanni qui è solo il portavoce, non importa che un uomo sia liberato dalla morsa del demonio. Prima viene la difesa del gruppo, del movimento, del partito. L'istituzione viene prima della persona. L'indemoniato può aspettare. È così che impoveriamo il mondo.
 
"Non è lecito guarire di sabato!" intimeranno gli scribi e i farisei a Gesù. E troppo spesso anche noi ascoltiamo il fariseo che è dentro di noi e che urla "la legge viene prima della salvezza". Non importa se un malato ritrova il sorriso, il sole, la speranza. Per i tanti farisei che ci sono ancora oggi, e che a volte sono anche dentro di noi, conta solo la regola astratta, e la vita, o si adegua o deve farsi da parte, scomparire, annegare nel Mediterraneo. È così che impoveriamo Dio.
 
La risposta di Gesù è di quelle che, se si incarnano nella nostra vita, possono segnare una svolta della storia: gli uomini sono tutti 'dei nostri', come noi siamo di tutti. Prima di tutto l'uomo. Tutti siamo 'uniti' in Gesù Cristo. E si può essere di Cristo anche senza appartenere alla sua istituzione, perché la Chiesa è sì strumento del Regno, ma non coincide con il Regno di Dio, che ha ben altri confini.
«Fossero tutti profeti» esclama Mosè nella prima lettura. Fuori dall'accampamento, eppure profeti. E profezia è lasciarsi colpire dal grido dei mietitori defraudati (Gc 5,4 seconda lettura di oggi).
Il compito dei discepoli non è di classificare l'altro, decidere se è dentro o fuori, ma di ascoltarlo. Profeta è chi ascolta il soffio dello Spirito, che non sai da dove viene, che non conosce la polvere degli scaffali, delle frasi già fatte, delle musiche già sentite. Ascoltare la sinfonia del sorriso di un bambino, dello scorrere delle lacrime di un anziano: anche questa è profezia.
Ma l'annuncio di Gesù è ancora più coraggioso: passa dal semplice non sentirti estraneo al gettarti dentro. Dentro il grido dei mietitori, dentro lo Spirito dei profeti. Ti porta a vivere molte vite, molte storie di altri come fossero la tua. 'Ti darò cento fratelli' ha detto Gesù, cento cuori su cui riposare, cento labbra da dissetare, cento volti da accarezzare, cento mani che ti accarezzeranno.
 
Il Vangelo termina con parole dure: "Se la tua mano..., se il tuo piede..., se il tuo occhio ti scandalizzano, tagliali, gettali via". Gesù ripete un aggettivo: il tuo occhio, la tua mano, il tuo piede.
Non dare sempre la colpa del male agli altri, alla società, all'infanzia, alle circostanze. Il male si è annidato anche dentro di te: è anche nel tuo occhio, nella tua mano, nel tuo cuore. Cerca il tuo mistero d'ombra, esponilo alla luce di Dio e lascia che Lui lo converta.
La soluzione non è una mano tagliata, ma una mano convertita. Non protesa per afferrare, ma per offrire un bicchiere d'acqua; non chiusa a pugno per colpire e allontanare, ma aperta per abbracciare.
 
 

 
Letture:
Numeri 11,25-29
Salmo 18
Giacomo 5,1-6
Marco 9,38-43.45.47-48
 
 

19 settembre 2024

Cercare il primo posto nell'accoglienza dell'altro - 22/9/2024 - XXV Domenica Tempo Ordinario

immagine presa da evangeli.net



«Sedutosi, chiamò i Dodici». Sedersi è l'atteggiamento tipico del maestro, e il chiamare a sé vuole sottolineare che quello che sta per dire è un insegnamento fondamentale.
Gesù, a partire dalla discussione sulle precedenze, intende indicare un altro ordine delle cose.
«Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti».
Nessun altro testo parallelo del vangelo riferisce in questa forma l'antitesi presentata da Marco: primo-ultimo. E l'esempio più significativo ce l'hanno sotto gli occhi: Gesù è il primo che si è fatto ultimo e servo.

E ancora: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me».
Qui viene sottolineata l'elevata dignità del bambino. Teniamo presente che la condizione dei bambini, nella società ebrea del tempo di Gesù, era ben diversa dalla nostra. Secondo la mentalità ebraica, i figli erano sì accolti come una benedizione di Dio per la famiglia (soprattutto i maschi), però non è che i bambini godessero di particolari diritti e privilegi. Venivano considerati più per il loro numero e la loro utilità che per la loro importanza singola. Ragionando con la nostra mentalità diremmo che avevano tanti doveri e nessun diritto. Quindi, nelle parole di Gesù, il bambino indica le realtà più insignificanti agli occhi degli uomini, tutto ciò che non ha importanza, che non conta, che non è degno di attenzione, tutti coloro che si trovano in una situazione di inferiorità. Gesù si identifica con chi è 'irrilevante', non ha prestigio, è debole, indifeso, bisognoso di assistenza.
L'attenzione del discepolo, che prima era concentrata sulle precedenze e sulla grandezza, viene spostata sull'esigenza di accogliere qualcuno che è 'grande' perché oggetto di attenzione da parte di Dio, anche se viene disprezzato dagli uomini.

Come al solito, Gesù non risolve le nostre discussioni, non si immischia nelle nostre ridicole questioni, Lui sposta il problema su un altro piano. Parte dalle precedenze, ma capovolge i termini della questione. Quasi a dire: fate bene a occuparvi di precedenze. Soltanto che le precedenze non riguardano la vostra persona, ma gli altri. Cercate, quindi, di stabilire chi ha diritto di precedenza nella vostra ospitalità.
È giusto parlare di primi posti. Ma dovete chiarirvi chi deve occupare il primo posto nella vostra attenzione. È più che legittima la domanda su chi è grande, ma state attenti ad onorare e ad amare i grandi secondo Dio: ossia coloro che sono piccoli e nei quali Lui si identifica.
Cercate pure il primo posto, ma deve essere il primo posto per accogliere chi viene rifiutato dagli altri, per ricevere coloro di cui nessuno si interessa. "Accogliendo costoro, accogliete me. E, accogliendo me, accogliete il Padre che mi ha mandato".

Gesù non abolisce le gerarchie, anzi le prolunga oltre le nostre vedute. Ci insegna però a valutarle... dal fondo. Non ci chiede di abolirle, ci chiede di 'rovesciarle'.
Ancora una volta ci rivela che è il nostro punto di vista ad essere sbagliato. Ci preoccupiamo di noi stessi, della nostra grandezza. E ci ostiniamo a misurarla col solito metro.
Lui ci invita a buttare via quel metro. Ci ricorda che dal momento che Dio è sceso sulla terra, la nostra pretesa di 'innalzarci' è veramente ridicola.

Il problema non è quello di essere grandi, ma di 'fare spazio'. La nostra importanza dipende dalle persone 'senza importanza' che accogliamo.
Sei grande non se occupi un posto di riguardo, ma se nella tua vita c'è posto per chi è privo di grandezza.
Sei rispettabile nella misura in cui dimostri rispetto e amore verso quelli che non sono ancora riusciti ad ottenerne.
Possiamo anche dire: le precedenze non si stabiliscono a tavolino. Vengono guadagnate da chi non se ne occupa, perché impegnato a tenere aperta la porta di casa per quelli che, altrimenti, rischiano di rimanere fuori.

Una piccola curiosità. Secondo una tradizione, il bambino di cui si parla in questa pagina sarebbe diventato in seguito il vescovo e martire sant'Ignazio di Antiochia, che si firmava sempre col nome di Teoforo. L'identificazione è avvenuta giocando su questo nome greco: da 'portatore di Dio' (il significato di Teoforo) è diventato 'portato da Dio'.




Letture:
Sapienza 2,12.17-20
Salmo 53
Giacomo 3,16-4,3
Marco 9,30-37


12 settembre 2024

Gesù cerca il rapporto personale - 15/9/2024 - XXIV Domenica Tempo Ordinario

Gesù e gli Apostoli
Duccio di Buoninsegna
Maestà del Duomo di Siena (Museo dell'Opera del Duomo)



Sono uno di quelli che studiato per la Comunione e la Cresima sul catechismo di san Pio X, quello con le domande e le risposte da studiare a memoria e guai a sbagliare una parola o una virgola! C'era una sola risposta giusta e tutte le altre erano sbagliate, ma soprattutto c'erano solo quelle domande, non si poteva farne di diverse.

Anche Gesù pone delle domande. Ma non cerca il compitino ben fatto, la risposta imparata a memoria. Anche la prima domanda, che pare quasi da sondaggio di opinione, da ricerca su Google, in realtà serve proprio a far uscire i discepoli dalle risposte preconfezionate.
Gesù chiede ai suoi discepoli di uscire dalla mentalità del 'compitino ben fatto'. Proprio per questo immediatamente dopo chiede: «Voi, chi dite che io sia?». Dalla domanda teorica, con riposta studiata a tavolino consultando i testi e i documenti (infatti nella risposta vengono citati tutti personaggi del passato più o meno remoto), Gesù passa al rapporto personale discepolo-Maestro. A Gesù non interessa il passato, interessa solamente il momento presente. Ma soprattutto a Gesù interessa il rapporto personale: "Chi sono io, Gesù di Nazareth, per te?"
Gesù non cerca parole formalmente corrette ma parole fortemente sentite, non cerca definizioni ma coinvolgimenti. Gesù cerca relazioni, cerca un 'tu ed io'. Un 'faccia a faccia', o meglio un 'cuore a cuore'. Le sue non sono domande da insegnante o da giudice. Le sue sono domande da innamorato!
Gesù vuole sapere se anche Pietro, se anche gli apostoli sono innamorati di Lui. E vuole sapere se anche noi, qui ed ora, siamo innamorati di Lui. Ma non lo fa per giudicarci, ma perché possiamo prendere coscienza del nostro e del suo amore.
Con le sue domande Gesù vuol farci capire che il Cristianesimo non è né una dottrina né una morale. Il Cristianesimo è un rapporto, una relazione amorosa con Gesù.

Pietro dice a Gesù: «Tu sei il Cristo», che vuol dire: "Tu sei veramente il Messia che aspettavamo", una professione di fede bella e buona e, decisamente, ardita. Riconoscendo nel falegname, nella persona «mite e umile di cuore» (Mt 11,29) con cui ha un rapporto di amicizia da pari a pari, l'inviato di Dio, Pietro fa un salto di qualità determinante nella sua storia, un riconoscimento che gli cambierà la vita.

Ma sapere chi è Gesù significa accettare una svolta nella propria vita, accettare di incamminarsi insieme a Lui lungo una strada su cui si allunga l'ombra di una croce.
E allora ci rendiamo conto che con quella domanda Gesù non vuole sapere come la pensiamo, ma vuole farci prendere coscienza se siamo disposti ad accompagnarlo fino in fondo.
È per questo che c'è l'ordine del silenzio. Le parole ricominceranno a partire dal Calvario e dalla luce della mattina di Pasqua. È solo a quella luce, avvolti dall'amore divino, che possiamo attraversare l'ombra delle nostre croci quotidiane.




Letture:
Isaia 50,5-9
Salmo 114
Giacomo 2,14-18
Marco 8,27-35


05 settembre 2024

Effatà, apriti! - 8/9/2024 - XXIII Domenica Tempo Ordinario




Per cinque domeniche, fino a due domeniche fa, abbiamo sospeso la lettura del vangelo di Marco per leggere il sesto capitolo di quello di Giovanni. C'è nel quarto vangelo una caratteristica che ci può aiutare a capire il brano di oggi: l'evangelista Giovanni non parla mai di miracoli, parla di 'segni'. Il miracolo della guarigione del sordomuto è il segno di quello che Dio vorrebbe donare a questa umanità infantile e immatura, incapace di ascoltare e dialogare. Non castighi, 'fulmini e saette', ma con amore prenderci da parte, cuore a cuore, per 'guarirci', per aprirci le orecchie, sbloccarci la lingua, ma soprattutto trasformare il nostro cuore di pietra in un cuore di carne (cfr. Ez 11,19).

Tutto parte dalla capacità di ascolto: 'sordo' ha la stessa radice di 'assurdo'. Chi non sa ascoltare è entrato nell'assurdo, ed esce dall'assurdo chi impara ad ascoltare.
Penso alle mie sordità, al mio 'ascoltare' pensando ad altro, penso all'insignificanza delle mie parole. E la causa è che non so ascoltare chi è appena fuori del mio spazio vitale, dall'ambito della famiglia o delle amicizie; oppure ascolto distrattamente, sperando solo che l'altro finisca in fretta, perché ho cose più intelligenti da dire, osservazioni più profonde, idee più importanti. È così la parola si fa dura, ma soprattutto vuota. "Il primo servizio che dobbiamo rendere ai fratelli è quello dell'ascolto. Chi non sa ascoltare il proprio fratello presto non saprà neppure ascoltare Dio, sarà sempre lui a parlare, anche con il Signore" (Dietrich Bonhoeffer). Troppo spesso anche nella preghiera sono come il fariseo nel tempio: 'Io, Signore, io e i miei digiuni, io e le decime, io..., io...'.
Chi non sa ascoltare finisce per perdere la parola, perché le sue parole non riescono più a toccare il cuore dell'altro, gli passano sopra senza neanche scompigliargli i capelli. Si può guarire dalla sordità e dall'afasia solo lasciando che il Signore sostituisca il nostro cuore di pietra, chiuso in sé stesso, con un cuore di carne aperto all'ascolto.
È ciò che fa Gesù: porta in disparte il sordomuto, lo tocca con le sue dita, con il segno intimo e vitale della saliva. Prima gli orecchi: sa parlare solo chi sa ascoltare. Primo servizio da rendere a Dio e all'uomo è l'ascolto (shemà Israel - Ascolta Israele: è la parte più importante del servizio liturgico di preghiera nell'ebraismo e recitarlo due volte al giorno è un precetto). Senza ascolto non c'è parola vera.
Ma Gesù continua a fare lo stesso anche con noi: ci tocca in ogni gioia e in ogni prova, ci tocca in ogni fratello che ci viene incontro, nei poveri senza voce, negli anziani soli che nessuno ascolta più. Ci tocca e ci restituisce il dono di ascoltare e di 'parlare correttamente', che non è eloquenza, ma capacità di comunicare, capacità di trovare parole che toccano il nervo della vita, parole che hanno il gusto dell'amicizia e il calore di una carezza.

Gesù ci ripete: «Effatà, che vuol dire 'Apriti!'»
Apriti come si apre la porta all'amico, la finestra al sole, le braccia all'amore. Apriti agli altri e a Dio, anche con le tue ferite, che possono diventare fessure attraverso le quali passa il vento della vita, il soffio dello Spirito. Il primo passo per guarire è abbandonare le chiusure, le rigidità, i blocchi. È aprirsi, uscire dalla solitudine, dove ti sembra di essere al sicuro, ma invece è pericolosa, mortale. Se rimani chiuso in te, non potrai mai scoprire "un Dio che gioisce e ride con l'uomo davanti ai caldi giochi del sole o del mare" (Pier Paolo Pasolini)

«E comandò loro di non dirlo a nessuno». Per Gesù è più importante la gioia del sordomuto, che la sua gratitudine. La felicità dell'uomo conta più della sua fedeltà.
Da notare che del beneficiato non viene registrata neppure una parola. Si tratta di una cosa stupenda, una delle 'azioni di grazia' più straordinarie: quell'uomo adesso ha la possibilità di parlare, e lo dimostra tacendo. Gli è stata restituita la parola e comincia col silenzio. Per parlare bisogna avere qualcosa da dire, ma per fare silenzio occorre avere un mistero da adorare.
Quanti miracolati del Vangelo sembrano scomparire nel nulla, persi nell'ebrezza della loro felicità. Invece, in silenzio stanno fecondando il mondo con una nuova capacità di vere relazioni.




Letture:
Isaia 35,4-7
Salmo 145
Giacomo 2,1-5
Marco 7,31-37