28 novembre 2024

Anche Dio ci aspetta - 1/12/2024 - I Domenica di Avvento

 
Immagine basata su disegno di Pallervanten da Pixabay



 
Con l'Avvento inizia il nuovo anno secondo il calendario cristiano. Senza negarne le caratteristiche di riflessione, preghiera e purificazione, sarebbe opportuno riscoprirne gli aspetti essenziali di attesa gioiosa, di speranza, di serenità.
 
Direi, però, che l'atteggiamento di fondo che deve assumere il cristiano in questo periodo sia il desiderio. Il Messia è venuto sulla terra dopo essersi fatto desiderare per secoli e anche noi, all'inizio dell'anno liturgico, entriamo in un periodo di attesa orientato verso un evento decisivo, l'arrivo di Qualcuno, e veniamo sollecitati a desiderare questa venuta.
Il paradosso dell'Avvento sta nel fatto che l'arrivo di «Colui che deve venire», pur essendo già storicamente avvenuto, ci viene però presentato dalla liturgia di queste domeniche in una proiezione futura. Sembra quasi indicare che da parte nostra l'evento non è ancora compreso, vissuto, che il Personaggio attende ancora di essere accolto, aspetta che gli si faccia spazio, che gli si presti attenzione.
 
Cristo è già nato, ma siamo noi che stentiamo ad aprirci a questa realtà. È il cristiano che è in me che deve ancora nascere, che si fa attendere, che non si decide di venire alla luce.
Inoltre non dobbiamo dimenticare che questo Personaggio importante non viene per ricevere omaggi formali, compiere una visita di cortesia per poi tornarsene da dove era venuto. Lui viene per un cambiamento radicale di mentalità, per un rovesciamento radicale delle cose. Accogliere Lui significa accettare il suo progetto totale di trasformazione che si chiama "salvezza".
 
Ma l'Avvento è proiettato al futuro non soltanto in questa chiave di qualcuno che, pur essendo già venuto, deve ancora ritornare, ma anche in una prospettiva di giudizio finale. E il brano del vangelo di Luca ci presenta proprio questo racconto del ritorno del Signore nella gloria e nella potenza. Sarà l'incontro con il Cristo giudice. Ed è anche verso questo giorno che dobbiamo guardare, è anche questa l'ora che dobbiamo attendere.
Ma facciamo attenzione che i due avvenimenti, la venuta di Cristo nella carne e il suo ritorno come giudice, sono visti nell'unica prospettiva di eventi salvifici in cui Cristo appare come liberatore. Il giorno del giudizio nel cristiano non deve generare la paura: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». Accogliere il Cristo nella sua venuta di misericordia, vuol dire essere accolti da Lui nel suo ritorno di giudizio.
Sembrerà strano, ma proprio una strofa del 'Dies Irae' può aiutarci a capire: "Ricordati, o buon Gesù, che sei venuto per me, non perdermi in quel giorno. Nel cercarmi ti sei affaticato, mi hai riscattato morendo sulla croce; tanti sforzi non siano vani». L'uomo è fatica di Dio, sofferenza di Cristo. Liberare l'uomo, salvarlo, è il lavoro, l'opera di Dio. E Dio non accetta tanto facilmente di veder vanificati i suoi sforzi.
Si tratta, in fondo di avvicinarci, con fede e speranza, al Dio che si fa vicino all'uomo nella debolezza dell'Incarnazione, accogliere il suo perdono, la sua pace, la sua liberazione. Allora il 'suo' giorno, quello in cui il Signore diventerà manifesto nella propria potenza, non ci farà paura, perché lo avremo già vissuto in ogni 'nostro' giorno. Si tratta di essere desti, presenti, lasciarci disturbare ogni giorno da Lui. Si tratta, soprattutto, di vivere il tempo come decisione, come desiderio di stare con Lui.
 
A pensarci bene, non siamo solo noi che viviamo l'Avvento. Questo è un tempo di attesa, di pazienza, di desiderio anche da parte del Signore. Anche Dio aspetta: aspetta che l'uomo si decida.
 
Un Dio che esce incontro all'uomo, annulla le distanze. È l'uomo che, purtroppo, troppo spesso rimane sulle sue posizioni.
Se vogliamo che quel giorno non ci «piombi addosso all'improvviso», è necessario accogliere, in ogni nostro 'oggi', la vicinanza di Dio.
 
 

 
Letture:
Geremia 33,14-16
Salmo 24
1 Tessalonicesi 3,12-4,2
Luca 21,25-28.34-36
 
 

21 novembre 2024

Un re che ama ostinatamente - 24/11/2024 - XXXIV Domenica Tempo Ordinario - Nostro Signore Gesù Cristo Re

Statua di Cristo incoronato
Germania meridionale
prima metà XIV sec.

 
 
Pilato e Gesù. Uno di fronte all'altro. Due concezioni del potere contrapposte si confrontano.
 
Una prima considerazione mi viene in mente: chi è più libero, Pilato o Gesù? Pilato, che a prima vita sembra libero, è circondato di legionari armati, lui dipende da ciò che teme, ha paura. Gesù, in catene, è disarmato perché non crede nella forza, ma nell'amore. È libero chi dipende da ciò che ama.
Gesù non lo vediamo mai impaurito o servile, neanche davanti a chi può decretarne la morte; è se stesso fino in fondo, perché "la verità lo rende libero" (cfr. Gv 8,32).
 
«Dunque tu sei re?», Pilato cerca di capire chi è questo Galileo che ha davanti e che non lo ha lasciato indifferente. È una caratteristica di Gesù: non lascia indifferente nessuno.
E la sua riposta: «Il mio regno non è di questo mondo» non è facile da capire. Anche noi corriamo il rischio di una interpretazione sbagliata, di pensare che il regno di Gesù è qualcosa che riguarda l'aldilà, un futuro lontano, qualcosa che non ha niente a che fare con il nostro mondo di oggi.
Ma allora perché dovremmo pregare: «Venga il tuo regno», cioè venga adesso, subito, venga in queste strade e in queste piazze? Preghiamo perché il regno di Dio interessa il nostro mondo, adesso e in questo luogo.
 
Perché il suo regno è tutta un'altra cosa dai regni umani. I regni della terra si combattono, il potere di quaggiù ha nell'anima la guerra, si nutre di violenza.
Gesù rifiuta questo potere, lui non ha mai arruolato eserciti, non è mai entrato nei palazzi dei potenti, se non da prigioniero.
«Metti via la spada» (Gv 18,11) dirà a Pietro, altrimenti la vittoria sarà sempre del più armato, del più violento, del più crudele. Gesù dice che dove si combatte, dove si fa violenza e si abusa, dove il potere, il denaro, l'io, sono aggressivi e voraci, ovunque un uomo cerca di prevaricare su un altro uomo, lì non non c'è il suo regno e lui non ci vuole aver niente a che fare. Il suo regno verrà invece con il fiorire della vita in tutte le sue forme.
Il suo regno non è di questo mondo non perché si disinteressa della storia, ma perché vuole creare una storia totalmente differente, fondata su di una logica che è all'opposto del prevalere.
La logica dei regni terreni è combattere, è vincere. La logica di Gesù è accogliere, è donare. I re di questo mondo si circondano di servi, nel regno di Gesù è il contrario, è il re che si fa servitore: «Non sono venuto per essere servito, ma per servire» (Mt 20,28). Gesù è un re che non spezza nessuno, spezza se stesso; non versa il sangue di nessuno, versa il proprio sangue; non sacrifica nessuno, ma si sacrifica lui per tutti gli esseri viventi.
 
Pilato non capisce, e allora ritorna alla domanda: «Dunque tu sei re?» e Gesù risponde: «lo sono re». Pilato ne farà il titolo della condanna, l'iscrizione da inchiodare sulla croce: «Questi è il re dei Giudei» (Gv 19,19), il re che io ho sconfitto.
Voleva umiliarlo e invece è stato profeta, perché il re è visibile proprio lì, sulla croce, con le braccia spalancate e il cuore aperto, dove dona tutto sé stesso e non prende niente, dove la vita dell'altro conta di più della tua vita, dove si muore amando ostinatamente. E per questo Dio lo farà (e ci farà) risorgere.
 
 

 
Letture:
Daniele 7,13-14
Salmo 925
Apocalisse 1,5-8
Giovanni 18,33-37
 
 

14 novembre 2024

Un Vangelo di speranza - 17/11/2024 - XXXIII Domenica Tempo Ordinario

Il Giudizio universale
(mosaico - seconda metà XII sec)
Basilica di Santa Maria Assunta di Torcello (VE)
 
 
Nonostante le apparenze, questo è un Vangelo di speranza. Se lo leggiamo con attenzione ci accorgiamo che in realtà non profetizza la fine del mondo, ma ci svela il significato del mondo, il suo volto nascosto. E lo fa per mezzo di due verità.
 
La prima verità è che il mondo è fragile. «In quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo». E non solo il sole, le stelle e tutto l'universo sono fragili, ma anche la società, la famiglia, la nostra stessa vita, sono molto fragili.
Ma la seconda verità è che anche se ogni giorno c'è un mondo che muore, ogni giorno però c'è anche un mondo che nasce. Molti punti di riferimento spariscono, vecchie cose (costumi, linguaggi, comportamenti) vanno in pezzi, ma ci sono sempre nuovi profumi e nuovi colori ad indicare «che l'estate è vicina».
La speranza da custodire ha l'immagine della prima fogliolina di fico. Dice Gesù: «Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina». Con Dio è sempre così: piccoli segni, piccole rivelazioni, teneri germogli. Non gesti eclatanti, nessun fuoco d'artificio, solo piccoli segreti tra innamorati.
 
Quanti semi devono morire perché nascano nuove piante, quante cose devono morire perché il nuovo nasca!
Un esempio può essere la famiglia. È evidente che ci sia come una disgregazione nei comportamenti rispetto al passato, ma siamo sicuri che sia tutto male? Realmente rimpiangiamo certe 'virtù domestiche' del passato, come la sottomissione, che in realtà nascondevano violenze inaudite e un'ipocrisia senza fine?
Certe scosse di primavera che smantellano ciò che deve essere cancellato sono proprio un dono dello Spirito. Sotto i venti di violenza, le prepotenze dei forti, ci sono anche delle foglioline che stanno spuntando.
 
Ma poi si tratta di ricostruire. E per ricostruire abbiamo due punti di forza.
Il primo: «Quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, il Signore è alle porte ». La nostra forza è che non siamo soli, Dio è all'opera nel mondo, la creazione non è finita, Dio è sempre all'opera, e a noi spetta assecondare la sua creazione.
Il nostro secondo punto di forza è, anche se sembra assurdo, la nostra stessa fragilità. Il Vangelo oggi la richiama sempre. Per la fragilità, l'uomo cerca degli appoggi, cerca un aiuto. Io sono tanto fragile da aver sempre bisogno dell'amore degli altri. Dio è dentro la nostra stessa fragilità, dentro la nostra ricerca di legami. Viene a noi attraverso le persone che amiamo, le persone che incontriamo. È appoggiando una fragilità sull'altra che noi sosteniamo il mondo.
 
«Le mie parole non passeranno». Gesù ci invita a dare fiducia al futuro per tre motivi: la storia ha senso, il senso della storia è positivo, questo senso è per sempre.
Un ultimo motivo di speranza viene dalla lettura del profeta Daniele. Mentre il Vangelo dice che le stelle cadono dal cielo, il profeta assicura che il cielo dell'umanità non sarà mai vuoto di stelle. Infatti, «uomini giusti e santi salgono nella casa delle luci, dove risplenderanno come stelle» (cfr. Dn 12,3).
Uomini giusti e santi, vicini e lontani, dai più nascosti angoli del mondo come dalle più affollate metropoli, salgono verso la casa della luce. Sono tutti quelli che aiutano te, me, tutto il mondo ad essere più giusto, più libero e più buono.
 
 

 
Letture:
Daniele 12,1-3
Salmo 15
Ebrei 10,11-14.18
Marco 13,24-32
 
 

07 novembre 2024

A scuola da una povera vedova - 10/11/2024 - XXXII Domenica Tempo Ordinario

 
L'obolo della vedova

 
Il Vangelo mette a confronto due modelli di maestro: quello degli scribi (teologi e giuristi), e quello di una vedova povera e sola.
Gli scribi sono identificati per tre comportamenti: per come appaiono (passeggiano in lunghe vesti), per la ricerca dei primi posti nella vita sociale, per l'avidità (divorano le case delle vedove, sono insaziabili e spietati). Tre azioni descritte con i verbi che Gesù rifiuta: apparire, comandare, avere. Li rifiuta perché sono sintomi di una malattia devastante, inguaribile, quella del narcisismo. Sono di fatto gli inconvertibili: Narciso è più lontano da Dio di quanto lo siano Giuda o Caino.
A questi tre verbi, Gesù contrappone un Vangelo di verbi alternativi: essere, servire e donare. Ci porta alla scuola di una donna senza più difese e ne fa una maestra di vita, e l'aula in cui ci porta è quanto di più estraneo al suo messaggio si possa immaginare: di fronte al tesoro del tempio; e lì, seduto come un maestro, osserva come la gente getta denaro nel tesoro: 'come' non 'quanto'.
 
Le bilance di Dio non sono quantitative, ma qualitative. Per Gesù non conta la quantità di denaro. Conta invece quanto cuore c'è dentro, quanto di speranze e di lacrime è dentro in quei due spiccioli, che sembrano un niente, ma sono strapieni di cuore.
Gesù dice: «Tutti hanno gettato parte del superfluo, lei ha gettato tutto quello che aveva, tutto ciò che aveva per vivere». Sottolinea la totalità del dono. E in questo modo indica quella vedova come sua icona, perché anche lui darà tutto, tutta la sua vita.
 
Questa donna povera ha dato di più. Ma chi, oggi, dà di più al mondo, alla società, alla vita? Gesù ci ricorda che non sono i potenti, i prepotenti, i famosi e sulla bocca di tutti, ma sono gli uomini e le donne delle beatitudini, quelli che non compariranno mai sui giornali, quelli dalla vita nascosta, fatta solo di serietà, di onestà, di generosità, di giornate a volte colme di immensa fatica.
Quelli che sorreggono il mondo sono quelli che sanno regalare un pezzetto di vita agli altri. E lo fanno con tutto il cuore. I primi posti di Dio appartengono a coloro che, a partire dalle nostre case, regalano vita con mille piccolissimi gesti non visti da nessuno, gesti di cura, di amore, di attenzione, rivolti ai figli o ai genitori o a chi domani busserà alla porta.
Fossero anche solo briciole, un sorriso o una carezza, coloro che li compiono con tutto il cuore hanno i primi posti nel regno di Dio. Ogni gesto di bontà sbocciato dalla nostra povertà non è mai insignificante, non è mai irrisorio.
Questa capacità di dare, anche quando pensi di non avere nulla, ha in sé qualcosa di divino. Tutto ciò che è fatto con tutto il cuore ci avvicina all'assoluto di Dio.
 
Una piccola considerazione personale: nel Vangelo Gesù ha sempre mostrato una predilezione particolare per le donne, una considerazione per loro molto grande. Penso innanzitutto a Maria, senza la cui collaborazione non si sarebbe incarnato. Ma anche alla samaritana apostola dei samaritani (Gv 4), alla Maddalena apostola degli apostoli (Gv 20, 17-18). E qui affida ad una povera vedova e al suo gesto nascosto il compito di trasmettere il suo messaggio essenziale. Quanto ancora è distante la Chiesa da questa considerazione delle donne!
 
 

 
Letture:
1° libro Re 17, 10-16
Salmo 145
Ebrei 9, 24-28
Marco 12, 38-44