Con l'Avvento inizia il nuovo anno secondo il calendario cristiano. Senza negarne le caratteristiche di riflessione, preghiera e purificazione, sarebbe opportuno riscoprirne gli aspetti essenziali di attesa gioiosa, di speranza, di serenità.
Direi, però, che l'atteggiamento di fondo che deve assumere il cristiano in questo periodo sia il desiderio. Il Messia è venuto sulla terra dopo essersi fatto desiderare per secoli e anche noi, all'inizio dell'anno liturgico, entriamo in un periodo di attesa orientato verso un evento decisivo, l'arrivo di Qualcuno, e veniamo sollecitati a desiderare questa venuta.
Il paradosso dell'Avvento sta nel fatto che l'arrivo di «Colui che deve venire», pur essendo già storicamente avvenuto, ci viene però presentato dalla liturgia di queste domeniche in una proiezione futura. Sembra quasi indicare che da parte nostra l'evento non è ancora compreso, vissuto, che il Personaggio attende ancora di essere accolto, aspetta che gli si faccia spazio, che gli si presti attenzione.
Cristo è già nato, ma siamo noi che stentiamo ad aprirci a questa realtà. È il cristiano che è in me che deve ancora nascere, che si fa attendere, che non si decide di venire alla luce.
Inoltre non dobbiamo dimenticare che questo Personaggio importante non viene per ricevere omaggi formali, compiere una visita di cortesia per poi tornarsene da dove era venuto. Lui viene per un cambiamento radicale di mentalità, per un rovesciamento radicale delle cose. Accogliere Lui significa accettare il suo progetto totale di trasformazione che si chiama "salvezza".
Ma l'Avvento è proiettato al futuro non soltanto in questa chiave di qualcuno che, pur essendo già venuto, deve ancora ritornare, ma anche in una prospettiva di giudizio finale. E il brano del vangelo di Luca ci presenta proprio questo racconto del ritorno del Signore nella gloria e nella potenza. Sarà l'incontro con il Cristo giudice. Ed è anche verso questo giorno che dobbiamo guardare, è anche questa l'ora che dobbiamo attendere.
Ma facciamo attenzione che i due avvenimenti, la venuta di Cristo nella carne e il suo ritorno come giudice, sono visti nell'unica prospettiva di eventi salvifici in cui Cristo appare come liberatore. Il giorno del giudizio nel cristiano non deve generare la paura: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». Accogliere il Cristo nella sua venuta di misericordia, vuol dire essere accolti da Lui nel suo ritorno di giudizio.
Sembrerà strano, ma proprio una strofa del 'Dies Irae' può aiutarci a capire: "Ricordati, o buon Gesù, che sei venuto per me, non perdermi in quel giorno. Nel cercarmi ti sei affaticato, mi hai riscattato morendo sulla croce; tanti sforzi non siano vani». L'uomo è fatica di Dio, sofferenza di Cristo. Liberare l'uomo, salvarlo, è il lavoro, l'opera di Dio. E Dio non accetta tanto facilmente di veder vanificati i suoi sforzi.
Si tratta, in fondo di avvicinarci, con fede e speranza, al Dio che si fa vicino all'uomo nella debolezza dell'Incarnazione, accogliere il suo perdono, la sua pace, la sua liberazione. Allora il 'suo' giorno, quello in cui il Signore diventerà manifesto nella propria potenza, non ci farà paura, perché lo avremo già vissuto in ogni 'nostro' giorno. Si tratta di essere desti, presenti, lasciarci disturbare ogni giorno da Lui. Si tratta, soprattutto, di vivere il tempo come decisione, come desiderio di stare con Lui.
A pensarci bene, non siamo solo noi che viviamo l'Avvento. Questo è un tempo di attesa, di pazienza, di desiderio anche da parte del Signore. Anche Dio aspetta: aspetta che l'uomo si decida.
Un Dio che esce incontro all'uomo, annulla le distanze. È l'uomo che, purtroppo, troppo spesso rimane sulle sue posizioni.
Se vogliamo che quel giorno non ci «piombi addosso all'improvviso», è necessario accogliere, in ogni nostro 'oggi', la vicinanza di Dio.
Letture:
Geremia 33,14-16
Salmo 24
1 Tessalonicesi 3,12-4,2
Luca 21,25-28.34-36
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