Festa di San Giusto martire,
patrono di Trieste
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Quando diciamo 'martire', tutti noi pensiamo subito ad una persona uccisa ingiustamente e a causa delle sue idee. Dimentichiamo che il senso originale di questa parola è 'testimone'.
Ma per noi cristiani di cos'è testimone un martire? Ce lo dice san Paolo nella seconda lettura di oggi: dell'amore di Dio. L'amore di Dio è così grande che niente, neanche la morte, può vincerlo.
«Agli occhi degli stolti parve che morissero» dice la prima lettura. Chi ama non muore.
Ed è questo il senso dell'immagine del chicco di grano usata da Gesù. Noi ci lasciamo colpire da quel "se muore..., se non muore..." e trascuriamo tutto il resto. Quella parola, 'morire', è solo il dito che ci indica il vero nocciolo del discorso: 'produrre vita'. La gloria di Dio non sta nel morire, ma nel dare molto frutto. Perché il chicco di grano, come qualsiasi seme, anche se sembra qualcosa di secco e arido, in realtà è una bomba di vita. Perché il seme, una volta posto nel terreno, in realtà non muore, ma si trasforma. Il seme offre al germe (ma seme e germe non sono due cose diverse, sono la stessa cosa) il suo nutrimento, come una madre offre al bimbo il suo seno. E quando il seme ha dato tutto, il germe si lancia verso il basso con le radici e poi verso l'alto con la punta fragile e potentissima delle sue foglioline. Allora sì che il chicco muore, ma nel senso che la vita non gli è tolta, ma trasformata in una forma di vita più evoluta e potente, gli viene donata più vita.
Letture:
Sapienza 3, 1-9
Salmo
Romani 8, 35-39
Giovanni 12,24-26
XXXI Domenica Tempo Ordinario
In parole povere lo scriba chiede a Gesù qual'è il centro, il cuore della fede. E Gesù gli risponde che non è celebrare riti o obbedire a regole, ma semplicemente, meravigliosamente, amare.
Amare è desiderio di fare felice qualcuno, ricoprirlo di un bene che vada oltre lui, che inondi il mondo. Amare è avere un fuoco nel cuore. Al centro della fede per Gesù c'è questo fuoco, questo roveto ardente.
E quando sentiamo in noi questo fuoco, ci suscita tenerezza un Dio che dice: «Shemà, Israel». Ascoltami, cerca di volermi bene, amami perché io ti amo. Al centro dei comandamenti non c'è una ingiunzione, ma c'è questa invocazione: amami. Dio ti prega: amami!
Amami mettendoti in gioco interamente: ama con tutto il tuo cuore, con il sentimento, con il desiderio, con la volontà; ama con tutta la tua mente, con il pensiero e l'intelligenza; ama con tutta la tua forza, con le energie fisiche, psichiche, vitali.
Gesù sa che fare questo è già la guarigione dell'uomo, perché chi ama in questo modo ritrova il suo centro, l'unità di se stesso. Già Mosè lo aveva detto, nel passo che qui Gesù ricorda: «Ascolta, o Israele ... perché tu sia felice» (cfr. Dt 6,1-3).
Non c'è altra risposta al bisogno profondo di felicità dell'uomo, nessun'altra risposta al male del mondo che questa: amare.
Se amo Dio, amo ciò che egli ama, e ciò che egli ama più di ogni cosa è l'uomo. Amerò l'uomo, ne riconoscerò la bellezza, la riconoscerò sempre, sotto ogni bruttura che la possa offuscare. Ed è il secondo comandamento: «Amerai il tuo prossimo come te stesso».
Gesù non aggiunge niente alla legge antica: il primo e il secondo comandamento sono già scritti nel Libro. Eppure egli afferma che il suo è un comandamento nuovo. Dov'è la novità? È nel fatto che i due formano un'unica parola, un unico comandamento. L'averli separati è l'origine dei nostri mali.
«Amerai il tuo prossimo come te stesso». È quasi un terzo comandamento: ama te stesso, e ama l'altro come ami te. E questo vuol dire che come per te ami libertà e giustizia, così le amerai anche per il tuo prossimo. Come per te desideri amicizia e dignità, così lo vorrai anche per l'altro. Impara ad apprezzare i doni che hai ricevuto!
Se non mi stupisco della mia unicità, se non so apprezzare quello che sono davvero, allora non saprò apprezzare neppure l'unicità degli altri.
Se invece io mi amo come impronta di Dio nel mondo, allora saprò anche incantarmi davanti al mio prossimo come davanti a un'opera d'arte uscita dalle mani di Dio.
Ama e farai risplendere l'immagine di Dio dentro di te, perché amare trasforma. Uno diventa ciò che ama. Sarai simile a lui, sarai creatore di vita. Allora non avrai bisogno di sacrificare niente e nessuno sull'altare del Signore. Per piacere a Dio, dice Gesù, non devi sacrificare vita, ma generare vita.
Uccidere, disprezzare, umiliare gli altri in nome di Dio è la più grande bestemmia, è lo stesso che uccidere, disprezzare, umiliare Dio.
Amare è tenere, con tenerezza e passione, Dio e l'uomo dentro di te.
Letture:
Deuteronomio 6,2-6
Salmo 17
Ebrei 7,23-28
Marco 12,28-34