06 gennaio 2025

I doni dei Magi - 6/1/2025 Epifania del Signore

 
Adorazione dei Magi
particolare di bassorilievo (1457)
opera dei maestri Antelami
via degli Orefici 47 - Genova

 
Volevo condividere questo brano sul brano del Vangelo di oggi:
 
La fede non è ciò che doni, ma quello di fronte a cui pieghi le ginocchia. Sarebbe opportuno smetterla, almeno per qualche tempo, di cianciare e ricamare sui doni dei Magi.
Loro, prima di offrire doni, hanno fatto qualcos'altro: «si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono...» (Mt 2, 11). Inutile notare che il "poi" solitamente viene dopo. Che l'apertura dei forzieri viene dopo l'apertura del cuore, è la conseguenza di qualcos'altro, è il risultato di ciò che hanno visto adorando.
In realtà, soltanto attraverso l'adorazione tu riesci ad aprire gli occhi, riconoscere l'Unico Signore, e intuire così ciò che Lui vuole da te (che, magari, non ha niente a che vedere con quello che avevi pensato di darGli).
Se ti preoccupi principalmente dell'offerta, rischi di presentarla a un idolo, e non a Dio.
Fede è questione di ginocchia, prima che di mani.
Nel vero rapporto di fede, non è importante ciò che porti tu, ma quello che vai a ricevere.
Come se il Signore dicesse: Metti giù, per favore, la tua mercanzia, lascia lì tutta quella roba preziosa a cui tieni tanto. Presentami piuttosto le mani vuote.
Mettiti ben in testa: sei invitato a ricevere, più che a portare.
I Magi sono partiti per andare a ricevere.
Sorge spontanea una domanda: nel viaggio di ritorno erano alleggeriti o carichi?
Forse le due cose insieme.

 
d. Alessandro Pronzato
"Tu solo hai parole... - vol. III - Matteo"
Ed Gribaudi (pag. 32)
 
 

 
Letture:
Isaia 60,1-6
Salmo 71
Efesini 3,2-3.5-6
Matteo 2,1-12
 
 

02 gennaio 2025

Diventare figli di Dio - 5/1/2025 II Domenica dopo Natale

 
Basilica della Natività
Betlemme

 
L'inizio del Vangelo di Giovanni è una somma di teologia, filosofia e poesia tutte di altissimo livello. Penso che solamente un mistico riesca a coglierne fino in fondo la profondità e la bellezza. A me vengono in mente solo alcuni sprazzi che vorrei condividere.
 
Il brano inizia con le parole «In principio », sono le stesse parole con cui inizia la Genesi, il primo libro della Bibbia. Sembra quasi che l'evangelista ci voglia dire che l'Incarnazione è la nuova creazione. Dio, che fa nuove tutte le cose, ci dona nuove possibilità.
Dio non accetta la distanza che abbiamo posto tra Lui e noi, non si dà pace per la nostra fuga. E allora decide di venire in mezzo a noi come uno di noi. Lo fa per starci vicino, per aiutarci a rialzarci quando cadiamo, per consolarci e asciugare le nostre lacrime quando soffriamo, per rendere sempre più piena la nostra gioia e la nostra felicità. Lo fa per darci tutta la sua forza e tutto il suo amore per mezzo del suo Spirito.
 
Perché dopo il Natale di Gesù viene il nostro natale, che Giovanni spiega così: «A quanti l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio ». C'è tutto il Vangelo in questa frase: è per questo che è venuto, è stato crocifisso ed è risorto, perché gli uomini diventino figli di Dio. Ci troviamo proiettati nel centro luminoso di tutto ciò che è accaduto e che avverrà. C'è in noi non una semplice possibilità o un diritto, ma di più, un'energia, una forza: diventare figli di Dio.
 
In tutte le Scritture e in tutte le culture, figlio è colui che si comporta come il padre, che gli assomiglia e ne perpetua i gesti. Figlio di Dio è colui che assomiglia a Dio nei pensieri, nei sentimenti, nel pane dato, nel perdono sempre regalato. Diventare figli è una concretissima strada infinita.
Il vangelo è pieno di un piccolo avverbio che ci spiega con semplicità in che modo fare questo percorso: è l'avverbio 'come'. È una parola che non sta in piedi da sola, che rimanda ad altro: siate perfetti come il Padre, siate misericordiosi come il Padre, amatevi come io vi ho amato, la tua volontà in terra come in cielo. Come Cristo, come il Padre, come il cielo.
Si apre per noi un orizzonte infinito: non essere mai misura a te stesso, misurati con Dio e con il vangelo. Non ti realizzerai mai se non provi a realizzare Cristo. E tu hai questa infinita possibilità perché Dio stesso te la dona.
 
Ma Dio che cosa fa? Il Padre genera e comunica vita. Sei figlio di Dio quando solleciti negli altri le sorgenti della vita; quando ridesti luce e calore, quando generi pace, sai ridare speranza. Dio è amore; ma come è possibile anche solo assomigliargli? C'è in noi un potere, datoci a Natale, e prima ancora, addirittura "in principio", il Verbo è da sempre, sostanza di tutto il creato, segreto di ogni parola; nulla è stato fatto senza di lui, la luce è nel guscio di argilla del corpo di un neonato, la sua tenda in mezzo a noi.
 
La nascita di Gesù e la sua estrema povertà sono lo specchio di chi sei tu: poverissimo, lontanissimo da casa, irregolarissimo, inadeguatissimo.
L'Incarnazione è l'offerta che Dio ti fa, Lui il vicinissimo, l'innamoratissimo, Lui che fa pazzie per te.
La mangiatoia è la meta del viaggio per scoprire finalmente che anche tutte le tue miserie sono amate da Dio, per contemplare la sua presenza proprio là dove provi vergogna e imbarazzo.
Betlemme è il nuovo punto di partenza, ma questa volta si viaggia in due: Dio ti prende a braccetto e inizia a camminare con te. Per sempre.
 
 

 
Letture:
Siracide 24,1-4.12-16
Salmo 147
Efesini 1,3-6.15-18
Giovanni 1,1-5.9-14
 
 

26 dicembre 2024

Un amore incarnato - 29/12/2024 - Domenica della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

Icona della Sacra Famiglia (particolare)
Rosella Crespi (autorizzazione richiesta)

 
 
Che cosa dice la festa della Sacra Famiglia alla fragilità delle nostre famiglie nella società di oggi? Prima di tutto dice che il matrimonio è santo come il sacerdozio. Che la vocazione dei genitori è santa come quella di una monaca di clausura. Perché l'amore quotidiano nella casa è un tutt'uno con l'amore di Dio. Non sono due amori, ma è un unico e solo amore che "move il sole e l'altre stelle" (Paradiso, XXXIII, v. 145), che muove Adamo verso Eva, me verso gli altri, Dio verso Betlemme nel suo pellegrinaggio infinito verso di noi.
 
La santa Famiglia di Nazareth ci dice che è possibile una bontà, una santità collettiva, familiare, condivisa. Ci dice che c'è un contagio di santità nelle relazioni umane. Santità non significa essere perfetti: neanche le relazioni tra Maria Giuseppe e Gesù lo erano. C'è l'angoscia causata dal figlio adolescente, ci sono malintesi, c'è incomprensione esplicita: «ma essi non compresero le sue parole».
Santità non significa assenza di difetti, ma significa cercare i pensieri di Dio e cercare di tradurli, con i nostri limiti, con fatica e gioia, in gesti. E siccome in cima ai pensieri di Dio c'è l'amore, nella casa dove c'è amore, lì c'è Dio.
E non si tratta di amore spirituale, ma di amore vivo, incarnato, quotidiano, visibile e nello stesso tempo anche segreto. Amore che sta in una carezza, in un cibo preparato con cura, in un fiore donato senza nessun motivo, in un soprannome affettuoso, nella parola scherzosa che scioglie le tensioni, nella pazienza di ascoltare, nel desiderio di abbracciarsi.
Non ci sono due amori: l'amore di Dio e l'amore umano. C'è un unico grande progetto, un solo amore che si incarna in vari modi nella nostra vita.
 
«Scese con loro a Nazareth e stava loro sottomesso». Gesù lascia i maestri della Legge e va con Giuseppe e Maria che sono maestri di vita. Per anni impara l'arte di essere uomo guardando i suoi genitori vivere: lei teneramente forte, mai passiva; lui padre non autoritario, che sa anche tirarsi indietro.
"Sottomesso" non indica un'obbedienza basata sul possesso o sul potere, ma 'stare sotto la custodia', l'essere custodito, attraverso la vocazione cui sono chiamati i genitori che amano e hanno, e donano, fiducia.
Le beatitudini Gesù le ha viste, vissute, imparate da loro: erano poveri, giusti, puri di cuore, miti, costruttori di pace, con viscere di misericordia per tutti. E il loro parlare era: sì, sì; no, no. Stava così bene con loro, che con Dio adotta il linguaggio di casa, e lo chiama: abbà, papà. È stato tanto amato che ha voluto estendere quelle relazioni a livello di massa e dirà: voi siete tutti fratelli.
 
C'è incomprensione tra genitori e figlio, essi non capiscono le sue parole, c'è un dolore che pesa sul cuore, eppure i tre si accettano di nuovo.
L'incomprensione non ferma tutto, ci si rimette in cammino anche se non tutto è chiaro, anche se non ho capito tutto. Si cammina anche nella sofferenza, meditando, conservando, proteggendo nel cuore, come Maria, gesti e dolori, parole e domande, finché un giorno si dipanerà un filo d'oro che tutto illuminerà e abbraccerà.
 
Per finire un'immagine: la tavola è l'altare della casa. Ogni tavola in ogni casa è un altare. Ha raccolto volti, lacrime, progetti, sorrisi, abbracci, pane, parola, perdono: altare dove è celebrato il sacramento del vivere, dove la vita celebra la sua festa.
Da questa tavola deriva l'altare della chiesa. Perché Dio preferisce la casa al tempio. Sta alla porta della mia vita e bussa (Ap 3, 20), e ha il volto delle persone che vivono con me, attorno alla mia tavola, intorno al mio altare.
I momenti di sofferenza, di fatica, di prova, possono avere esiti sorprendenti. C'è dell'oro nelle ferite della vita perché c'è Dio in quelle ferite. Il Signore risorto ci ha portato l'oro delle sue stimmate, che rende d'oro anche le ferite della nostra vita, le nostre ferite d'amore.
 
 

 
Letture:
1 Samuele 1,20-22.24-28
Salmo 83
1 Giovanni 3,1-2.21-24
Luca 2,41-52
 
 

19 dicembre 2024

Ogni nostra prima parola dovrebbe essere di benedizione - 22/12/2024 - IV Domenica di Avvento

 
Visitazione
Vetrata del Magnificat
Église de la Réconciliation - Taizé (F)

 
La nostra attesa del Natale è guidata da due donne in attesa. Due donne abitate da figli inesplicabili. Maria ed Elisabetta sono i primi profeti del Nuovo Testamento, perché la prima parola di Dio è la vita. Dio viene come vita. La vergine e la sterile, entrambe incinte in modo 'impossibile', cantano che viene nel mondo un di più, qualcosa, o meglio qualcuno che l'uomo da solo non può darsi.
 
Dio viene come gioia. Per due volte Luca ripete che il bambino salta di gioia nel grembo. In quel bambino l'umanità intera sperimenta che Dio dà gioia.
La parola 'gioia' nel Vangelo, almeno nella sua formulazione esplicita, è rara. La prima a pronunciarla è Elisabetta. È da questo balzo di gioia che ha inizio il Nuovo Testamento: da questo sorriso invisibile nell'oscurità di un grembo. Perché la gioia esca dalle pareti domestiche e divenga un messaggio universale bisogna attendere la nascita del Bambino e le parole dell'Angelo ai pastori: «Ecco, io vi annuncio una grande gioia destinata a tutto il popolo...». Poi la parola 'gioia' scompare, rimane però come un fiume sotterraneo che alimenta tutto il Vangelo. Tutti i miracoli non sono altro che una consacrazione della gioia, del nostro diritto, garantito da parte di Dio, ad esser felici anche quaggiù.
Ma per rincontrare il termine 'gioia' bisogna arrivare, con Giovanni, alla Passione, al discorso del cenacolo, dove questa parola scende sui discepoli, e su di noi, con una struggente ostinazione: «Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza sarà cambiata in gioia»; «La donna, quando partorisce, prova dolori perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino non si ricorda più dei suoi dolori, tanta è la gioia che prova»; «Ma io vi rivedrò e il vostro cuore esulterà e nessuno potrà rapirvi la vostra gioia». Ma soprattutto «Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15, 11).
E che il cristianesimo sia la religione della gioia lo ribadisce soprattutto san Paolo che, nonostante tutte le sue traversie (prigione, bastonate, naufragi, lapidazioni, e via di seguito), ci esorta con forza: «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi» (Fil 4, 4)
 
Infine Dio viene nelle relazioni, mediato da persone, da incontri, da dialoghi, da abbracci. Le mie braccia allargate sono appena l'inizio di un cerchio che un Amore più grande estenderà fin ad abbracciare tutta la terra.
 
Elisabetta esclama: «Benedetta tu fra le donne! ». La prima parola è una benedizione che da Maria discende su tutte le donne di tutti i tempi.
Ogni prima parola tra gli uomini dovrebbe essere di benedizione. Dire a qualcuno: "Ti benedico!" significa vedere il bene che c'è in lui, significa avere uno sguardo senza rivalità, senza invidia. Se non imparo a benedire chi ho accanto, se non imparo a benedire la vita, non potrò mai essere felice.
 
Accogliendo Dio che viene tra di noi anch'io abiterò la vita con tutta la mia complessità, con la mia parte di Zaccaria che stenta a credere, con la mia parte di Elisabetta che sa benedire, con la mia parte di Maria che sa lodare, con la mia parte di Giovanni che sa esultare; porterò in molti modi il Signore nel mondo, aiutandolo a incarnarsi in queste nostre strade, in queste nostre case.
E anche per me, anche per te risuonerà la parola: 'Benedetto sei tu perché porti nel mondo il Signore, benedetto come Maria'.
 
 

 
Letture:
Michea 5,1-4
Salmo 79
Ebrei 10,5-10
Luca 1,39-45
 
 

12 dicembre 2024

Cambiare ciò che sta dentro il nostro cuore - 15/12/2024 - III Domenica di Avvento

Giovanni battista
(miniatura)

 
 
Il Battista gira per «tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati» (Lc 3, 3), e invita a praticare la giustizia, la carità e il rispetto per gli altri. A ben guardare non sono delle novità, sono le strade indicate già da tutta le Bibbia e ribadiscono una verità fondamentale: la strada per arrivare a Dio passa obbligatoriamente attraverso il prossimo. Disprezzare, calpestare, umiliare gli esseri umani è disprezzare, calpestare, umiliare Dio.
 
Una cosa mi colpisce: alla domanda su cosa fare, lui non dice di fare come lui, non spinge a lasciare tutto e ad inoltrarsi nel deserto. Anzi, invita tutti a rimanere al proprio posto, a continuare a fare lo stesso mestiere che stanno facendo. Solo chiede che lo facciano in maniera diversa.
Si tratta di accogliere il Signore nella vita normale, quella di tutti i giorni. Alla stragrande maggioranza degli uomini e delle donne, Dio non domanda gesti straordinari. Domanda la fedeltà nel quotidiano, nei piccoli gesti di ogni giorno.
Si tratta di andare incontro a Gesù che viene, rimanendo al proprio posto. Il cambiamento che va fatto non è nell'esteriorità ma nell'interiorità. Quello che va cambiato è ciò che sta dentro al nostro cuore.
Non abbiamo bisogno di grandi profeti, ma di tanti piccoli profeti, che, là dove sono chiamati a vivere, siano generosi di giustizia, di pace, di onestà, che sappiano dialogare con l'essenza dell'uomo.
Allora, a cominciare da te, il profumo di buono si spanderà nel mondo.
 
«Tutto il popolo era in attesa»: le indicazioni di Giovanni sono vere, ma rimangono insufficienti. Infatti il popolo aveva ancora fame di pane, di giustizia, di rispetto, di dignità.
Il popolo era in attesa perché la domanda più vera non è: «che cosa devo fare?», ma: "Chi deve venire? chi devo incontrare?". Solo chi ha il cuore pieno della gioia di Dio, chi può e sa soffrire con chi soffre, sarà in grado di cambiare le mia vita.
Chi verrà con amore? chi mi donerà gioia? chi mi renderà forte come un uomo forte?
La risposta è a Natale: un pianto di bambino, incarnazione non della sola Parola, ma soprattutto del grido d'amore di Dio. Grido che ogni giorno abbracciandomi, abbracciando ogni donna e ogni uomo, ripete: Tu mi fai felice!
 
 

 
Letture:
Sofonia 3,14-18
Isaia 12
Filippesi 4,4-7
Luca 3,10-18
 
 

05 dicembre 2024

Il cristianesimo non inizia al tempio, ma in una casa - 8/12/2024 - Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria

 
Basilica dell’Immacolata Concezione e Grotta dell'apparizione
Lourdes (Francia)

 
L'inizio del Vangelo di oggi è molto cinematografico, sembra quasi una di quelle riprese fatte col drone che tanto si usano oggi: parte dall'alto per scendere velocemente verso un villaggio, poi verso una casa, vi entra, e l'obiettivo si ferma sul volto di una ragazza comune, occupata nelle sue faccende, persa nei suoi pensieri.
'L'angelo Gabriele andò da lei'. È bello sapere che Dio ti sfiora, ti tocca nella tua vita quotidiana, nella tua casa. Lo fa nel tempo della festa come nel tempo delle lacrime; quando dici a chi ami le parole più belle che hai e quando, magari canticchiando, passi con l'aspirapolvere. Il cristianesimo non inizia al tempio, ma in una casa.
 
L'angelo propone tre parole assolute: "rallegrati", "non temere", "verrà una vita". Sono le tre parole che angeli e profeti ripetono dentro tutta la storia, dentro tutta la Scrittura. Sono parole che toccano le corde più profonde di ogni essere umano: il bisogno di felicità; la paura (che è madre della violenza e di ogni inganno); l'ansia divina di generare la vita. L'angelo ci assicura che i segni dell'avvicinarsi di Dio sono questi: si moltiplica la gioia, la paura si dissolve, risplende la vita.
 
Prima parola: 'kàire', cioè 'sii felice'. Il primo vangelo è lieta notizia. Notizia che dona gioia, qualcosa che precede ogni nostra risposta. L'angelo non dice 'fai questo o quello, ascolta, prega, vai...', ma semplicemente 'apriti alla gioia, sii felice' perché Dio è con te. Dio si avvicina e ti stringe in un abbraccio di cui quelli sulla terra sono parabole, sono nostalgia. Sii felice, tu sei amata teneramente, gratuitamente, per sempre. Il nome di Maria è 'amata per sempre'. E la sua funzione nella chiesa è di ricordare questo amore che porta gioia.
 
La seconda parola dell'angelo svela il perché della gioia: sei piena di grazia. Un termine nuovo, mai risuonato prima nella bibbia o nelle sinagoghe, letteralmente inaudito, tale da turbare Maria: sei riempita di Dio, che si è chinato su di te, si è innamorato di te, si è dato a te e tu ne trabocchi. Sei amata per sempre. Teneramente, liberamente, senza rimpianti.
Piena di grazia la chiama l'angelo, Immacolata dice il popolo cristiano. Ed è la stessa cosa. Non è piena di grazia perché ha detto '' a Dio, ma perché Dio ha detto '' a lei prima ancora della sua risposta.
E Dio lo dice anche a ciascuno di noi: ognuno pieno di grazia, tutti siamo amati come siamo, per quello che siamo; buoni e meno buoni, ognuno è amato per sempre, piccoli o grandi ognuno è riempito di cielo.
 
«Non temere Maria». Per trecentosessantasei volte nella Scrittura ritorna questa parola, quasi un invito per ogni giorno dell'anno. Non temere se Dio non prende la strada dell'evidenza, dell'efficienza, della grandezza; non temere se l'Altissimo si nasconde in un piccolo embrione umano, non temere le nuove vie di Dio, così lontane dai palazzi della città, dalle liturgie solenni del tempio. Non temere questo Dio bambino, che vivrà solo se tu lo amerai. Dio vivrà per il tuo amore. Sarà felice se tu lo farai felice.
 
L'angelo parla tre volte. Maria risponde prima con il silenzio. La prima azione di Maria è ascoltare questo angelo inatteso e sconcertante. Il primo passo per chiunque voglia entrare in un rapporto vero con Dio o con le sua creature, che siano uomini o angeli, è l'arte dell'ascolto.
 
La prima parola di Maria non è un sì, ma una domanda: «Come avverrà questo?» Sta davanti a Dio con tutta la sua dignità umana, con la sua maturità di donna, con il suo bisogno di capire. Usa l'intelligenza e solo dopo pronuncia il suo sì, che allora ha tutta la potenza di un sì libero e creativo.
 
E alla fine dice «Eccomi», come hanno detto profeti e patriarchi.
"Sono la serva del Signore", serva non indica niente di passivo: la serva del re è la prima dopo il re, colei che collabora, che crea insieme con il creatore.
Con la sua ultima parola rivela il nostro vero nome: "Eccomi!". La storia di Maria è anche la nostra storia. Ancora l'angelo è inviato nella tua casa e ti dice: rallegrati, sei pieno, sei piena di grazia! Dio è dentro di te e ricolma di vita la tua vita.
 
 

 
Letture:
Genesi 3,9-15.20
Salmo 97
Efesini 1,3-6.11-12
Luca 1,26-38
 
 

28 novembre 2024

Anche Dio ci aspetta - 1/12/2024 - I Domenica di Avvento

 
Immagine basata su disegno di Pallervanten da Pixabay



 
Con l'Avvento inizia il nuovo anno secondo il calendario cristiano. Senza negarne le caratteristiche di riflessione, preghiera e purificazione, sarebbe opportuno riscoprirne gli aspetti essenziali di attesa gioiosa, di speranza, di serenità.
 
Direi, però, che l'atteggiamento di fondo che deve assumere il cristiano in questo periodo sia il desiderio. Il Messia è venuto sulla terra dopo essersi fatto desiderare per secoli e anche noi, all'inizio dell'anno liturgico, entriamo in un periodo di attesa orientato verso un evento decisivo, l'arrivo di Qualcuno, e veniamo sollecitati a desiderare questa venuta.
Il paradosso dell'Avvento sta nel fatto che l'arrivo di «Colui che deve venire», pur essendo già storicamente avvenuto, ci viene però presentato dalla liturgia di queste domeniche in una proiezione futura. Sembra quasi indicare che da parte nostra l'evento non è ancora compreso, vissuto, che il Personaggio attende ancora di essere accolto, aspetta che gli si faccia spazio, che gli si presti attenzione.
 
Cristo è già nato, ma siamo noi che stentiamo ad aprirci a questa realtà. È il cristiano che è in me che deve ancora nascere, che si fa attendere, che non si decide di venire alla luce.
Inoltre non dobbiamo dimenticare che questo Personaggio importante non viene per ricevere omaggi formali, compiere una visita di cortesia per poi tornarsene da dove era venuto. Lui viene per un cambiamento radicale di mentalità, per un rovesciamento radicale delle cose. Accogliere Lui significa accettare il suo progetto totale di trasformazione che si chiama "salvezza".
 
Ma l'Avvento è proiettato al futuro non soltanto in questa chiave di qualcuno che, pur essendo già venuto, deve ancora ritornare, ma anche in una prospettiva di giudizio finale. E il brano del vangelo di Luca ci presenta proprio questo racconto del ritorno del Signore nella gloria e nella potenza. Sarà l'incontro con il Cristo giudice. Ed è anche verso questo giorno che dobbiamo guardare, è anche questa l'ora che dobbiamo attendere.
Ma facciamo attenzione che i due avvenimenti, la venuta di Cristo nella carne e il suo ritorno come giudice, sono visti nell'unica prospettiva di eventi salvifici in cui Cristo appare come liberatore. Il giorno del giudizio nel cristiano non deve generare la paura: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». Accogliere il Cristo nella sua venuta di misericordia, vuol dire essere accolti da Lui nel suo ritorno di giudizio.
Sembrerà strano, ma proprio una strofa del 'Dies Irae' può aiutarci a capire: "Ricordati, o buon Gesù, che sei venuto per me, non perdermi in quel giorno. Nel cercarmi ti sei affaticato, mi hai riscattato morendo sulla croce; tanti sforzi non siano vani». L'uomo è fatica di Dio, sofferenza di Cristo. Liberare l'uomo, salvarlo, è il lavoro, l'opera di Dio. E Dio non accetta tanto facilmente di veder vanificati i suoi sforzi.
Si tratta, in fondo di avvicinarci, con fede e speranza, al Dio che si fa vicino all'uomo nella debolezza dell'Incarnazione, accogliere il suo perdono, la sua pace, la sua liberazione. Allora il 'suo' giorno, quello in cui il Signore diventerà manifesto nella propria potenza, non ci farà paura, perché lo avremo già vissuto in ogni 'nostro' giorno. Si tratta di essere desti, presenti, lasciarci disturbare ogni giorno da Lui. Si tratta, soprattutto, di vivere il tempo come decisione, come desiderio di stare con Lui.
 
A pensarci bene, non siamo solo noi che viviamo l'Avvento. Questo è un tempo di attesa, di pazienza, di desiderio anche da parte del Signore. Anche Dio aspetta: aspetta che l'uomo si decida.
 
Un Dio che esce incontro all'uomo, annulla le distanze. È l'uomo che, purtroppo, troppo spesso rimane sulle sue posizioni.
Se vogliamo che quel giorno non ci «piombi addosso all'improvviso», è necessario accogliere, in ogni nostro 'oggi', la vicinanza di Dio.
 
 

 
Letture:
Geremia 33,14-16
Salmo 24
1 Tessalonicesi 3,12-4,2
Luca 21,25-28.34-36
 
 

21 novembre 2024

Un re che ama ostinatamente - 24/11/2024 - XXXIV Domenica Tempo Ordinario - Nostro Signore Gesù Cristo Re

Statua di Cristo incoronato
Germania meridionale
prima metà XIV sec.

 
 
Pilato e Gesù. Uno di fronte all'altro. Due concezioni del potere contrapposte si confrontano.
 
Una prima considerazione mi viene in mente: chi è più libero, Pilato o Gesù? Pilato, che a prima vita sembra libero, è circondato di legionari armati, lui dipende da ciò che teme, ha paura. Gesù, in catene, è disarmato perché non crede nella forza, ma nell'amore. È libero chi dipende da ciò che ama.
Gesù non lo vediamo mai impaurito o servile, neanche davanti a chi può decretarne la morte; è se stesso fino in fondo, perché "la verità lo rende libero" (cfr. Gv 8,32).
 
«Dunque tu sei re?», Pilato cerca di capire chi è questo Galileo che ha davanti e che non lo ha lasciato indifferente. È una caratteristica di Gesù: non lascia indifferente nessuno.
E la sua riposta: «Il mio regno non è di questo mondo» non è facile da capire. Anche noi corriamo il rischio di una interpretazione sbagliata, di pensare che il regno di Gesù è qualcosa che riguarda l'aldilà, un futuro lontano, qualcosa che non ha niente a che fare con il nostro mondo di oggi.
Ma allora perché dovremmo pregare: «Venga il tuo regno», cioè venga adesso, subito, venga in queste strade e in queste piazze? Preghiamo perché il regno di Dio interessa il nostro mondo, adesso e in questo luogo.
 
Perché il suo regno è tutta un'altra cosa dai regni umani. I regni della terra si combattono, il potere di quaggiù ha nell'anima la guerra, si nutre di violenza.
Gesù rifiuta questo potere, lui non ha mai arruolato eserciti, non è mai entrato nei palazzi dei potenti, se non da prigioniero.
«Metti via la spada» (Gv 18,11) dirà a Pietro, altrimenti la vittoria sarà sempre del più armato, del più violento, del più crudele. Gesù dice che dove si combatte, dove si fa violenza e si abusa, dove il potere, il denaro, l'io, sono aggressivi e voraci, ovunque un uomo cerca di prevaricare su un altro uomo, lì non non c'è il suo regno e lui non ci vuole aver niente a che fare. Il suo regno verrà invece con il fiorire della vita in tutte le sue forme.
Il suo regno non è di questo mondo non perché si disinteressa della storia, ma perché vuole creare una storia totalmente differente, fondata su di una logica che è all'opposto del prevalere.
La logica dei regni terreni è combattere, è vincere. La logica di Gesù è accogliere, è donare. I re di questo mondo si circondano di servi, nel regno di Gesù è il contrario, è il re che si fa servitore: «Non sono venuto per essere servito, ma per servire» (Mt 20,28). Gesù è un re che non spezza nessuno, spezza se stesso; non versa il sangue di nessuno, versa il proprio sangue; non sacrifica nessuno, ma si sacrifica lui per tutti gli esseri viventi.
 
Pilato non capisce, e allora ritorna alla domanda: «Dunque tu sei re?» e Gesù risponde: «lo sono re». Pilato ne farà il titolo della condanna, l'iscrizione da inchiodare sulla croce: «Questi è il re dei Giudei» (Gv 19,19), il re che io ho sconfitto.
Voleva umiliarlo e invece è stato profeta, perché il re è visibile proprio lì, sulla croce, con le braccia spalancate e il cuore aperto, dove dona tutto sé stesso e non prende niente, dove la vita dell'altro conta di più della tua vita, dove si muore amando ostinatamente. E per questo Dio lo farà (e ci farà) risorgere.
 
 

 
Letture:
Daniele 7,13-14
Salmo 925
Apocalisse 1,5-8
Giovanni 18,33-37
 
 

14 novembre 2024

Un Vangelo di speranza - 17/11/2024 - XXXIII Domenica Tempo Ordinario

Il Giudizio universale
(mosaico - seconda metà XII sec)
Basilica di Santa Maria Assunta di Torcello (VE)
 
 
Nonostante le apparenze, questo è un Vangelo di speranza. Se lo leggiamo con attenzione ci accorgiamo che in realtà non profetizza la fine del mondo, ma ci svela il significato del mondo, il suo volto nascosto. E lo fa per mezzo di due verità.
 
La prima verità è che il mondo è fragile. «In quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo». E non solo il sole, le stelle e tutto l'universo sono fragili, ma anche la società, la famiglia, la nostra stessa vita, sono molto fragili.
Ma la seconda verità è che anche se ogni giorno c'è un mondo che muore, ogni giorno però c'è anche un mondo che nasce. Molti punti di riferimento spariscono, vecchie cose (costumi, linguaggi, comportamenti) vanno in pezzi, ma ci sono sempre nuovi profumi e nuovi colori ad indicare «che l'estate è vicina».
La speranza da custodire ha l'immagine della prima fogliolina di fico. Dice Gesù: «Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina». Con Dio è sempre così: piccoli segni, piccole rivelazioni, teneri germogli. Non gesti eclatanti, nessun fuoco d'artificio, solo piccoli segreti tra innamorati.
 
Quanti semi devono morire perché nascano nuove piante, quante cose devono morire perché il nuovo nasca!
Un esempio può essere la famiglia. È evidente che ci sia come una disgregazione nei comportamenti rispetto al passato, ma siamo sicuri che sia tutto male? Realmente rimpiangiamo certe 'virtù domestiche' del passato, come la sottomissione, che in realtà nascondevano violenze inaudite e un'ipocrisia senza fine?
Certe scosse di primavera che smantellano ciò che deve essere cancellato sono proprio un dono dello Spirito. Sotto i venti di violenza, le prepotenze dei forti, ci sono anche delle foglioline che stanno spuntando.
 
Ma poi si tratta di ricostruire. E per ricostruire abbiamo due punti di forza.
Il primo: «Quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, il Signore è alle porte ». La nostra forza è che non siamo soli, Dio è all'opera nel mondo, la creazione non è finita, Dio è sempre all'opera, e a noi spetta assecondare la sua creazione.
Il nostro secondo punto di forza è, anche se sembra assurdo, la nostra stessa fragilità. Il Vangelo oggi la richiama sempre. Per la fragilità, l'uomo cerca degli appoggi, cerca un aiuto. Io sono tanto fragile da aver sempre bisogno dell'amore degli altri. Dio è dentro la nostra stessa fragilità, dentro la nostra ricerca di legami. Viene a noi attraverso le persone che amiamo, le persone che incontriamo. È appoggiando una fragilità sull'altra che noi sosteniamo il mondo.
 
«Le mie parole non passeranno». Gesù ci invita a dare fiducia al futuro per tre motivi: la storia ha senso, il senso della storia è positivo, questo senso è per sempre.
Un ultimo motivo di speranza viene dalla lettura del profeta Daniele. Mentre il Vangelo dice che le stelle cadono dal cielo, il profeta assicura che il cielo dell'umanità non sarà mai vuoto di stelle. Infatti, «uomini giusti e santi salgono nella casa delle luci, dove risplenderanno come stelle» (cfr. Dn 12,3).
Uomini giusti e santi, vicini e lontani, dai più nascosti angoli del mondo come dalle più affollate metropoli, salgono verso la casa della luce. Sono tutti quelli che aiutano te, me, tutto il mondo ad essere più giusto, più libero e più buono.
 
 

 
Letture:
Daniele 12,1-3
Salmo 15
Ebrei 10,11-14.18
Marco 13,24-32