29 marzo 2015

DOMENICA DELLE PALME

Andare a scuola di fede da un uomo. Non si capisce bene quale sia il suo mestiere. Per Luca è un “malfattore”, per Matteo e Marco un “ladro” o “predone”. Per la tradizione “brigante e assassino”. Comunque sia è senz'altro un poco di buono, uno da evitare ad ogni costo.

Qui c’è la prima curiosità. Stando ai Vangeli, durante la sua esistenza, Gesù non ha mai avuto l’occasione di incontrare dei briganti. Invece adesso, nel giro di poche ore, ha a che fare con tre di loro. Prima Barabba, il bandito che ha preso il suo posto nella libertà, e poi, sulla croce, è in compagnia di altri due.

Ma in fondo cosa può insegnarci quest’individuo, condannato giustamente per sua stessa ammissione, a morte? Il ladrone ha saputo scoprire Dio sotto le apparenze di uno giustiziato in mezzo a due ladroni. Riconosce Cristo come Re non nel momento del trionfo, dei miracoli, delle folle osannanti, ma nel momento della disfatta, quando le sue truppe (poco) fedeli sono sparite, quando è nudo, con una corona di spine, quando è esposto a tutti i colpi, compresi quelli del sarcasmo, quando è inchiodato su un trono infamante. Lo riconosce quando è “sfigurato”, non quando è “trasfigurato”.

Può essere facile seguire il Gesù dei miracoli, il Gesù acclamato dalle folle. Molto più arduo seguire il Gesù che non si difende, che si lascia processare e deridere, che si lascia inchiodare su di una croce. È difficile accettare la sua strada di “abbassamento”.

Il ladrone ci ricorda che il paradosso cristiano fondamentale è questo: puntare sulla vittoria, anzi, essere sicuri della vittoria schierandosi dalla parte di questo Re che, secondo le valutazioni umane, è irrimediabilmente perdente. Dobbiamo imparare ad essere dei perdenti, ma non dei perduti.

Qualcuno lo chiama “il contrabbandiere del Paradiso”, dice che ha “rubato” il Paradiso. Insomma, che il Paradiso gli è stato “donato”. Ma chi può “meritarsi” il Paradiso? La salvezza è dono, non merito. È grazia, nient’altro che grazia, e non merito dell’uomo. Neanche i Padri del deserto, gli uomini delle penitenze più dure, hanno pagato il prezzo del Paradiso.

Qualcuno, anzi tanti, dice che è comodo: tutta una vita di bagordi, e poi cinque minuti … e si è in Paradiso. Sembrano quasi molto invidiosi. Sembra che gli siano rimaste sullo stomaco le virtù che sono costretti a praticare. Ma questo, in fondo, vuol dire ritenere che il peccato, la lontananza dal Padre, sia fonte di felicità. Dobbiamo renderci conto che l’ubbidienza alla legge di Dio è motivo di gioia, che il fare la volontà del Padre è festa (anche se rimane una cosa costosa). Se no, la nostra fedeltà è una fedeltà da schiavi, in vista del salario finale, non da figli. La virtù è gioia, è libertà, non prestazione onerosa.

Ma in fondo anche Gesù gli deve essere grato. Lui che era venuto a cercare ciò che era perduto, che era il medico venuto per i malati, ha avuto la possibilità di guarire il moribondo quando glielo avevano impedito inchiodandogli le mani. Ha potuto presentarsi al Padre e dire: “Missione compiuta”. Ha presentato al Padre il primo suddito reclutato in un mondo di delinquenti comuni.

E qui abbiamo la seconda curiosità. È l’unico santo canonizzato direttamente da Gesù, eppure per lui non c’è posto nel calendario liturgico. Non si sa neanche il nome. Per i genitori della Madonna si sono accettati i vangeli apocrifi, per lui no. Che sia perché, in fondo, ognuno ci deve mettere il proprio, di nome, su quella croce di fianco a quella di Gesù?

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