"Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt. 5, 48) è l'impegnativa richiesta di Gesù. Richiesta che ci diventa particolarmente difficile quando arriviamo al problema del 'perdono'.
Pietro pensava di essere stato molto generoso concedendo di poter perdonare sette volte. Infatti per gli scribi e i dottori della legge, il massimo delle occasioni per perdonare era di quattro volte per i figli e per i fratelli, e di solo tre volte per tutti gli altri. Ma Gesù lo invita, e ci invita, a puntare più in alto. Ci invita a raggiungere la perfezione di Dio: il perdono sempre e comunque.
Perché innanzi tutto il perdono di Dio è, come dice la parola stessa, un dono. Ci viene proposto non perché ce lo meritiamo, ma solo per dono, per regalo. Anche se avessimo col Signore un debito enorme, umanamente impossibile da restituire (10.000 talenti erano pari a circa tutto il gettito delle tasse di un anno nel regno d'Israele), Dio è pronto a condonarcelo. Gli basta solo che noi impariamo da Lui. Scoprirci perdonati per imparare a perdonare.
Perché perdonare è una cosa tipica di Dio. Innanzi tutto il perdono ci rende liberi dal passato. Ci libera dal rancore, quel tarlo che scava il nostro cuore e lo rende arido. Ci libera da tutti quesi lacci del passato che ci impediscono di vivere appieno. Perché perdonare non significa dimenticare, significa non lasciare che il nostro dolore continui a condizionare la nostra vita. Perdonare significa spezzare le catene del dolore che limitano la nostra vita.
Ma significa anche aprire la nostra vita al futuro. Un futuro in cui chi ci ha fatto del male possa essere liberato dal male fatto proprio da noi.
Perché la parabola ci insegna che prima di tutto c'è il perdono di Dio nei nostri confronti. È da qui che bisogna partire, perché umanamente parlando il perdono è una follia, una debolezza. Ma se noi ci scopriamo perdonati per primi, perdonati non per i nostri meriti, ma solamente perché siamo amati, allora, e solo allora, troviamo la forza per perdonare a nostra volta. E questa forza la troviamo non in noi, ma in Dio. È Lui che ce la dona. Perdonare non è una dimostrazione di debolezza, ma una dimostrazione di forza: non mi lascio guidare dal male, dalla sofferenza, ma dalla vita, dall'amore. È la scoperta di essere stati perdonati senza alcun nostro merito che ci dona la forza di perdonare a nostra volta.
Ma di fronte a cose che proprio non riusciamo a perdonare? "Quello che non è possibile agli uomini è possibile a Dio". In ogni processo di perdono, perché il perdono è un processo a volte anche molto lungo e anche doloroso, non siamo mai soli. Dio ci accompagna, ci prende per mano sempre. E se proprio non ce la facciamo, affidiamoci a Lui e affidiamogli chi proprio non riusciamo a perdonare. Lui conosce i nostri limiti, e continua ad amarci.
E man mano che ci scopriamo perdonati e capaci di perdono, iniziamo anche a perdonare la persona forse più difficile da perdonare: noi stessi.
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