12 novembre 2020

Guadagnare la gioia divina - 15/11/2020 - XXXIII domenica tempo ordinario

Il ritratto del Padre che ci fa Gesù in questa parabola è quello di un uomo molto generoso, che conosce molto bene i suoi servi e si fida di loro al punto di affidargli le sue ricchezze. Per capire il valore di quanto consegnato dobbiamo tener presente che un talento era l'equivalente di circa 20 anni di uno stipendio medio del tempo!
Dobbiamo poi ricordare che servo non è schiavo. A quel tempo essere servo di un signore era una carica di un certo prestigio, quasi un titolo onorifico, in quanto era riservato a coloro che erano più vicini al padrone, coloro che erano maggiormente degni di fiducia e anche di confidenza.

E questo padrone dimostra di conoscere i suoi servi in quanto non fa parti uguali dei suoi averi, ma li affida in base alle capacità di ognuno. E poi parte. Cioè si ritrae, si fida talmente che lascia fare. E due dei servi, pieni di entusiasmo, si danno da fare, mentre uno, pieno di paura, non fa niente, si nasconde.
Penso che quel padrone abbia sofferto moltissimo per quella frase "ho avuto paura". Lui ha cercato fino dall'inizio un rapporto di fiducia e confidenza, un rapporto di amicizia e calore. E invece il servo non ha capito niente. Quella paura è quasi uno schiaffo. È un ripetersi del peccato di Adamo! (Gen 3,10)
Dio, perché questo padrone della parabola descrive proprio il Padre, avrebbe preferito un investimento sbagliato, piuttosto che questo non aver fatto niente. Un investimento sbagliato vuol dire che comunque ho avuto fiducia sul fatto che il padrone mi avrebbe capito. Vuol dire che non ho dubitato né di Lui né di me.
Dio si sente più offeso dalla paura di Lui che dai nostri errori, specie se fatti in buona fede.
Il padrone non ha avuto paura di rischiare la fiducia nel servo, il servo ha avuto paura di affidarsi alla fiducia del padrone.
Il Dio della paura è dannoso, è frutto della malizia di Satana, che sogna di far morire l'uomo. Al contrario, Dio Padre, a chi ha fiducia in Lui, assegna cifre enormi, da capogiro: «Prendi parte alla gioia del tuo padrone». Il guadagno della gioia. Ma non una gioia qualunque, bensì una gioia divina, infinita.

Un'ultima considerazione. Fin dai primi secoli si sono identificati i 'talenti' affidati come delle capacità. E lo si è fatto sino al punto che ancora oggi 'talento' è sinonimo di 'particolare capacità, abilità innata'. Ma il Vangelo non dice questo. Il Vangelo dice che il padrone dà i talenti «secondo le capacità di ciascuno». Le capacità ci sono già prima di ricevere i talenti.
E allora cosa sono, per noi qui e oggi, questi talenti, questi doni enormi che il Signore ci dà?
Ognuno di noi nasce con delle capacità, delle abilità particolari. Penso che i talenti che il Signore ci dà sono le situazioni e le persone che Lui mette ogni giorno nella nostra vita. Le mette perché possiamo usare i nostri 'talenti' per imparare ad amare sempre di più e meglio, per essere testimoni e ambasciatori del suo amore, e così fare in modo di portare avanti e far crescere il suo Regno. È questa la Sua e nostra più grande ricchezza.
Non approfittare di questa ricchezza che ci viene affidata, paralizza il regno di Dio, ci rende più soli e più tristi. Da costruttori di un regno di gioia ci fa scavatori di tombe.


(Pr 31,10-13.19-20.30-31; Sal 127; 1Ts 5,1-6; Mt 25,14-30)


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