31 marzo 2022

La salvezza è in uno sguardo - 3/4/2022 - V Domenica di Quaresima

Gesù e l'adultera (particolare)
Santa Maria del Campo - Ljubljana-Polje (Slo)
(mosaico - p. M. Rupnik s.j.)


Chi ha fatto gli esercizi ignaziani, o anche solo avuto esperienza della preghiera ignaziana, avrà ben presente il primo preambolo della preghiera: la "composizione di luogo" (E.S. 47) cioè utilizzare l'immaginazione per farsi una “icona interiore” della scena che si sta per meditare.
Proprio usando questo metodo, mi colpisce, in questo brano, una cosa che l'evangelista non dice chiaramente ma sottintende: è tutta una questione di sguardi.

Innanzi tutto lo sguardo della donna.
Il suo è uno sguardo che passa dalla paura all'incredulità, allo stupore.
Finora ha fatto esperienza di sguardi di desiderio, oppure di sguardi di condanna. E molto probabilmente in questa scena evangelica molti di quelli che tenevano le pietre in mano avevano entrambi gli sguardi, basta pensare alla storia di "Susanna e i vecchioni" (Dn 13, 1-64).
Ma adesso incontra uno sguardo che non vede in lei né un 'oggetto' di desiderio né un bersaglio per le pietre. Incontra uno sguardo che vede in lei una persona, una sorella.

Poi c'è lo sguardo degli scribi e dei farisei.
Loro vedono in questa donna solo la legge trasgredita. Al centro del loro sguardo non c'è la persona, ma la legge. Tutto, e soprattutto tutti, devono passare questo filtro. Quello che rimane fuori non ha nessuna dignità, non ha nessun diritto. Cessa di essere una persona, un fratello, una sorella, per diventare un oggetto da rifiutare, una cosa da gettare nelle immondizie.

E infine c'è lo sguardo di Gesù.
Il suo è uno sguardo creatore: chiama alla vita una persona, fa emergere il suo essere autentico, reale. Cancella il farabutto, il peccatore e chiama alla vita il santo. Lui non si ferma a quel "poco di buono" che è in noi, ma si ostina a mettere in luce il molto di buono, il meglio che c'è in ognuno di noi.
È uno sguardo rivelatore, perché ci rivela le nostre possibilità, la nostra vera dimensione: quella di figli amati da Dio.

Ha proprio ragione Simone Weil: "ciò che salva è lo sguardo". L'adultera, come Zaccheo, come Matteo-Levi e come molti altri, devono la loro salvezza ad uno sguardo.
La carità comincia dallo sguardo.

Anche noi siamo chiamati a ripulire il nostro sguardo:
- a liberarlo da ogni istinto di separazione e di discriminazione (lui mi piace, mi è simpatico, mi serve - tu no!);
- a purificarlo dalla tentazione di vedere negli altri non degli esseri umani, ma dei problemi;
- a togliergli l'indifferenza che impedisce di vedere le persone, che scivola loro addosso senza neanche accorgersi della loro presenza.
Anche noi siamo chiamati ad avere uno sguardo guidato dall'amore, pieno di attenzione e che dica: "Ti riconosco il diritto di essere quello che sei. Desidero che tu sia tutto quello che puoi essere" (Agnese Baggio)


(Is 43,16-21; Sal 125; Fil 3,8-14; Gv 8,1-11)


24 marzo 2022

Un padre che macina chilometri - 27/3/2022 - IV Domenica di Quaresima

Parabole del Padre Misericordioso
Portale cattedrale di Santo Domingo De La Calzada - Spagna
(p. M. Rupnik s.j.)



Un paio di cose mi colpiscono in questo padre, protagonista della famosissima parabola del "Padre misericordioso" (che qualcuno dice riassuma tutti i Vangeli).

Innanzi tutto il silenzio. Di fronte al figlio minore che pretende, lui non dice una parola. Ma non è un silenzio dell'indifferenza, è il silenzio dell'amore. Il padre rispetta la libertà del figlio, perché senza libertà non ci può essere amore. Quando Dio ha creato l'uomo ha accettato questo rischio perché brama il nostro amore. Noi siamo il rischio di Dio (Cornelio Fabro).
Il padre non si arrabbia: soffre. Ma sa che non può sostituirsi alla scelta del figlio. La vera paternità è discrezione, è accettare il rischio della libertà. Il padre non aiuta il figlio scegliendo per lui, dirigendo le sue scelte e la sua vita. "Il padre può aiutare il figlio solo essendo un modello" (Arturo Paoli), non imponendosi.

Un'altra cosa che colpisce sono gli innumerevoli passi che il padre fa. Quante volte sarà andato alla finestra per scrutare l'orizzonte sperando di vedere il figlio che torna! Pochi giorni fa sono andato in aeroporto a prendere mio figlio che tornava a trovarci: avrò fatto chilometri camminando su e giù davanti agli arrivi in attesa dell'aereo! Penso che l'attesa di questo padre sia stata molto più fremente della mia, perché io avevo la certezza dell'arrivo, lui solo la speranza.
E quando finalmente da lontano lo vede, il passo si fa corsa, la sofferenza si fa abbraccio, l'ansia si fa urlo di gioia, festa.

Ma il padre non ha ancora finito di camminare, di dover uscire dalla casa. Per un figlio che aveva lasciato in malo modo la casa e che è ritornato, c'è l'altro che era rimasto ma che adesso non vuole rientrare.
Mentre il primo figlio pensava di dover pregare il padre per essere accolto, col secondo è il padre che deve uscire per pregarlo di prendere parte alla sua gioia.

Questo padre deve camminare prima per convincere il lontano che sta tornando che adesso deve entrare in casa con la testa alta, come un perdonato e non come un penitente, come un figlio e non come un servo. L'unica penitenza che padre gli dà è una festa con cibi abbondanti, musica e danze.
E poi deve camminare per tentare di 'convertire' il figlio fedele che rifiuta di entrare perché è convinto di essere "dentro". Alla gratuità dell'amore del padre, questo figlio preferisce la squallida burocrazia della virtù apparente.

La conversione più difficile è proprio quella dei "buoni".


(Gs 5,9-12; Sal 33; 2Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32)


17 marzo 2022

Il frutto gradito a Dio è che gli altri si sentano più amati - 20/3/2022 - III Domenica di Quaresima

alberi di ulivo



Pagina complessa quella del Vangelo odierno. Però vorrei soffermarmi sulla parabola, che risulta un po' strana, di non immediata decifrazione.

Abbiano "uno" che va a cercare frutti su un suo albero. È chiaro che questo 'tale' è Dio, Dio che viene a cercare i frutti di quel suo albero che sono io.
Però nella realtà Lui viene sempre travestito. Non sai mai né quando né sotto quali vesti verrà. I travestimenti preferiti sono quelli del poveraccio, dell'emarginato, dello straniero, del profugo, del mendicante, di quello che appartiene ad una delle troppe categorie di rifiutati da questa nostra società. Ma questi non sono i soli travestimenti, Dio ha una fantasia infinita in tutto, anche nel modo di incontrarci. E proprio per questo non possiamo pensare di chiuderci in un recinto, di alzare attorno a noi una palizzata per riservare i nostri frutti a chi noi pensiamo ne sia degno. Essere cristiani significa essere 'esposti', lasciare che ogni essere umano possa entrare nel terreno che ci è stato dato e servirsi dei nostri frutti. Tutti hanno il diritto di allungare le mani e servirsi dei frutti del nostro albero. È solo così che possiamo trasformare il deserto in terreno fertile.

E se non produciamo frutto? Ecco l'infinita pazienza di Dio, la sua misericordia: manda qualcuno che zappi il terreno, sparga concime, si prenda cura di noi. Ma i colpi di zappa sulla nostre radici, le palate di concime non certo profumato, non sono per farci star male, per punirci. Sono per darci più vita. Il Dio della vita non vuole la nostra mortificazione, vuole che muoia ciò che impoverisce la nostra vita. Non vuole i nostri sacrifici, vuole che rendiamo sacri i nostri gesti, la nostra vita. Dio vuole sempre e solo donarci più vita.

Le sole nostre privazioni gradite a Dio sono quelle di cui possono godere gli altri. Il nostro digiuno vale solo in quanto qualcuno viene saziato grazie ad esso.

Il frutto gradito al Signore è che il povero, il vecchio, l'ammalato, il bambino si sentano più amati.


(Es 3,1-8.13-15; Sal 102; 1Cor 10,1-6.10-12; Lc 13,1-9)


10 marzo 2022

Si mostra trasfigurato perché Lo riconosciamo quando sarà sfigurato - 13/3/2022 - II Domenica di Quaresima

La Trasfigurazione
Presbiterio chiesa San Nicola (Litija - Slo)
(p. M. Rupnik s.j.)


I primi annunci della Passione avevano fortemente turbato, quando non scandalizzato, gli apostoli. Ecco quindi che Gesù, per rasserenarli, si mostra loro in tutta la sua gloria. Si mostra trasfigurato in modo che lo riconoscano anche quando, tra poco, sarà sfigurato.
Il figlio di Dio ha scelto la strada dell'abbassamento, è sceso fino all'ultimissimo gradino. E il Padre ci chiede di «ascoltarlo», cioè di fare tutto quello che dice e fa, anche se ai nostri occhi è una strada difficile, totalmente fuori dai nostri gusti.
Per noi la strada per la gloria va da trionfo in trionfo
Per Gesù va da umiliazione in umiliazione.
Per noi significa ricevere sempre più.
Per Lui donarsi sempre più.

Gli apostoli scelti da Gesù come testimoni sono gli stessi che chiamerà in disparte nell'orto degli ulivi la sera del giovedì santo. Mi colpisce come in entrambe le occasioni siano oppressi dal sonno.
E quando Pietro si sveglia dimostra proprio di non aver capito niente. Per lui quanto accaduto è come un segnale di riposo quasi definitivo, e non invece un segnale di partenza, un invito a camminare sulle orme di Gesù. Sembra che voglia ripararsi da quanto preannunciato da Gesù, e cerchi, con la costruzione delle tende, di prolungare quella luce rassicurante che ha appena visto.
È curioso questo bisogno, che non è solo di Pietro ma anche di tanti di noi, di costruire una casa a Dio. Facciamo fatica ad accettare che sia disceso sulla terra proprio per abitare la nostra casa. Ci riesce difficile pensare che Lui vorrebbe installarsi a casa nostra, nella nostra vita, al centro di tutti i nostri affari quotidiani.
Dio non ha bisogno di metri quadrati, di edifici. Lui vuole altro. Il nostro cuore è la casa che preferisce. L'ospitalità che chiede è quella domestica. Con l'Incarnazione ha scelto di abitare nella nostra realtà di tutti i giorni, nella tenda della nostra banalità quotidiana.

Restare con Dio sulla cima del monte può essere molto bello. Ma Lui ridiscende subito. Ti riporta tra la gente, sulle nostre strade piene di traffico, di persone che spingono, urlano e ti pestano i piedi.
E in mezzo a tutta questa nostra confusione, si ferma un momento, ti guarda negli occhi e ti dice:
"È bello per me essere qui... Se vuoi entro nella tua tenda"
E Lui, al contrario di noi, sa quello che dice.


(Gen 15,5-12.17-18; Sal 26; Fil 3,17- 4,1; Lc 9,28-36)


03 marzo 2022

Tentazioni di tutti noi - 6/3/2022 - I Domenica di Quaresima

Gesù tentato nel deserto
Cripta chiesa di S. Giovanni Rotondo
(mosaico - p. M. Rupnik s.j.)


Una cosa che in genere trascuriamo in un quadro, ma che invece è importante, è la cornice. Certamente una cornice non trasforma una crosta in un capolavoro o viceversa, ma una giusta cornice esalta le bellezza di un quadro (come può mortificarlo se non è adatta).
E nel 'quadro' che ci presenta il Vangelo di questa prima domenica di Quaresima (le Tentazioni), la cornice, cioè il deserto, non poteva essere più azzeccata.

Il deserto è il luogo biblico della precarietà, della provvisorietà. È dove la realtà viene spogliata dall'apparenza e ridotta all'essenziale, all'indispensabile. Nel deserto ci si trova di fronte ad un cielo sconfinato, alla sabbia e a sé stessi. Niente altro.
Nel deserto si è costretti al faccia a faccia con sé stessi. Ed è proprio questo faccia a faccia con sé stessi che prelude al faccia a faccia con Dio.
Il deserto diventa così il luogo dell'incontro con Dio. La sua presenza è certa anche se rimane nascosta, segreta.
Ma proprio perché luogo dell'incontro con Dio è anche il luogo della liberazione. Nel deserto inizia la liberazione. Si deve imparare a essere liberi dalle nostre certezze, dalle nostre sicurezze abituali, dai nostri piccoli comfort. Bisogna imparare ad accontentarsi esclusivamente di Dio. In fondo la prova del deserto è quella della fede.
Ma grazie alla presenza dell'Unico Necessario, il deserto diventa terra feconda, può fiorire, il silenzio diventa messaggio, la solitudine crea comunione.

E poi c'è il 'quadro' delle Tentazioni.
Ma cosa sono, in concreto, le Tentazioni? Sono il tentativo di Satana di far deviare Gesù dalla strada della fedeltà a Dio, che passa per la debolezza, il nascondimento, l'umiliazione, e termina con la croce.
Satana propone e Gesù tre scorciatoie:
- quella della facile popolarità, ottenuta riducendo la salvezza a solo fattore economico;
- quella del potere, del dominio sugli altri;
- quella del successo spettacolare, cioè l'uso della fede e della religione per i propri interessi particolari.

Ma Gesù rifiuta di limitare la speranza dell'uomo al pane o ai beni materiali. Lui cerca di fargli scoprire e sentire anche un'altra fame.
Rifiuta la suggestione del dominio, dei condizionamenti vari sull'uomo e sceglie la strada della pazienza, della libertà, dell'amore. E accetta anche il rischio del rifiuto.
Rifiuta di sbalordire e meravigliare, ma decide di portare la croce.

Sono le tentazioni di tutti noi quando ci viene da porre alla base della nostra speranza la fiducia nei poteri di questo mondo. Sono tentazioni con cui dobbiamo confrontarci anche noi. Scelte che anche noi dobbiamo fare ogni giorno, e soprattutto dobbiamo ricordacene quando nel Padre Nostro diciamo «Sia fatta la tua volontà»


(Dt 26,4-10; Sal 90; Rm 10,8-13; Lc 4,1-13)