28 aprile 2022

L'umiltà di Dio - 1/5/2022 - III Domenica di Pasqua

Cristo Risorto con Pietro (particolare)
Cappella della Casa di Pietro - Šempeter pri Gorici (SLO)
(mosaico - p. M. Rupnik s.j.)


La seconda parte del Vangelo di oggi (purtroppo esclusa se viene letta la forma breve) è fra i brani che più mi piacciono del Vangelo di Giovanni.
È uno dei dialoghi più significativi di tutta la letteratura. Tre domande come tre sono stati i rinnegamenti attorno al falò nel cortile di Caifa. E da parte di Pietro, tre dichiarazioni d'amore a guarirlo nel profondo dai tradimenti.
L'infinito amore di Gesù si incarna in una sapiente pedagogia: non rimprovera, non rinfaccia, non chiede spiegazioni o scuse. A Gesù non importa giudicare né tanto meno assolvere. A Lui interessa un'altra cosa: "Mi ami?"
Per Lui nessun uomo coincide col suo peccato.
La santità non coincide col non aver peccato, ma col rinnovare, adesso e sempre, la nostra amicizia con Gesù. Il paradiso non è popolato da santi, ma è pieno di peccatori perdonati, di gente come noi.

La cosa veramente commovente è che le tre domande sono sempre diverse (la differenza si nota soprattutto nell'originale greco). Ogni volta Gesù cambia parole, si adatta alla risposta di Pietro. Invece di fargli la predica, è Lui che ascolta con tutto sé stesso, con tutto il cuore, Pietro.

Alla prima domanda (mi ami tu più di tutti?) a ben guardare Pietro non da una risposta. Il verbo usato da Gesù, agápao, è il verbo che indica l'amore assoluto. È un verbo forte, 'esigente'. E Pietro risponde con un verbo 'umile', quello dell'amicizia, dell'affetto: "ti voglio bene".
«Pasci i miei agnelli» riprende Gesù. Tu che emergi sugli altri, ricomincia dai più piccoli, dai più deboli, dagli ultimi. È quasi un ricordo della lavanda dei piedi.

Poi c'è la seconda domanda "mi ami?" Gesù ha capito Pietro, e chiede di meno, anche se parla ancora di amore.
Pietro però, quasi non avesse capito, usa ancora il verbo più rassicurante, meno 'impegnativo'. Non osa parlare di amore, ma si aggrappa all'amicizia, all'affetto.

E infine, con la terza domanda, Gesù, che capisce la difficoltà di Pietro, si abbassa ancora. Si avvicina a questo cuore timoroso e ne accetta il limite: "davvero mi sei amico?"
Gesù si adatta al discepolo che non aveva avuto il coraggio di usare la parola 'amore'. Dio si accontenta.

Gesù dimostra il suo amore abbassando per tre volte la sua richiesta. Rallenta il suo passo per ridurlo alla nostra misura.
La misura del cuore di Pietro diventa più importante delle esigenze di Gesù. Davanti alla fatica di Pietro, Gesù si dimentica di sé. È questa l'umiltà di Dio. Solo così l'amore è vero.

E Gesù, affidando tutto il gregge al cuore timoroso di Pietro, gli dichiara: "Pietro, il tuo desiderio di amore, è già amore".
E lo stesso ripete a tutti noi.


(At 5,27-32.40-41; Sal 29; Ap 5,11-14; Gv 21,1-19)


21 aprile 2022

Io sto con Tommaso - 24/4/2022 - II Domenica di Pasqua

Il Risorto e Tommaso (Particolare)
Cappella Collegio Damasceno - Roma
(dipinto parete centrale - p. M. Rupnik s.j.)



Mi è molto simpatico Tommaso. Lo sento vicino. Tante volte anch'io faccio fatica a credere, attraverso periodi di buio, di incertezze, di aridità. Spesso arrivo, come lui, in ritardo agli appuntamenti col Signore.

Tommaso ci invita a fare una seria analisi della nostra fede.
Dobbiamo innanzi tutto chiarirci su cosa è fede e cosa non lo è. Dobbiamo avere coscienza che una cosa è essere credente, e un'altra è 'credere di credere'.
È facile credere in Dio quando le cose vanno bene, quando il cielo è sereno e gli 'affari' vanno a gonfie vele. Ma quando inizia a mancarci il terreno sotto i piedi, quando svaniscono i nostri punti di riferimento, iniziamo a brancolare nel buio, ci scontriamo con i nostri limiti e ci rendiamo conto che di fronte a certe cose siamo del tutto impotenti, dove va a finire la nostra 'incrollabile' fiducia in Dio, il nostro mettere tutto nelle sue mani e abbandonarci a Lui?

Una fede che non sia un fuoco di paglia si deve porre queste domande. L'incertezza e il dubbio possono coabitare con la fede. La debolezza e la fragilità non sono una vergogna. Tutti siamo invitati a scoprire quella parte di incredulità che c'è in noi, ad accettarla, e a farne motivo di solidarietà con i non credenti. È anche questo un modo per rendersi conto che siamo tutti fratelli.

Il Vangelo di oggi esige che tutti noi, che ci diciamo credenti, ci interroghiamo sinceramente sulle sacche di incredulità presenti in noi. Solo così possiamo passare da una fede 'detta' a una fede 'fatta': «Non chiunque mi dice: "Signore, Signore", entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli». (cfr. Mt 7, 21-23).

Viviamo in momenti molto duri, la pandemia non ancora passata e la tremenda guerra alle nostre porte ci interrogano nel profondo.
Tutti i morti in solitudine e isolamento, i bambini resi orfani da un virus (*) o da una bomba, le violenze della guerra sui più deboli e indifesi, e tante altre "ingiustizie della vita" ci mettono in discussione, mettono in crisi non solo la nostra coscienza ma anche la nostra fede.
Ci rendiamo conto che non ci basta più recitare qualche preghiera imparata nella nostra giovinezza, non ci bastano più delle enunciazioni di fede puramente intellettuali.
Dobbiamo anche noi, come Tommaso, passare da una fede vissuta 'nella testa' ad un rapporto vivo con una persona, una relazione da cuore a cuore. Dobbiamo anche noi riuscire a dirgli dal profondo del nostro essere «Mio Signore e mio Dio!»


(At 5,12-16; Sal 117; Ap 1,9-11.12-13.17-19; Gv 20,19-31)


(*) I bambini di età inferiore a 17 anni che a ottobre 2021 avevano perso entrambi i genitori a causa del Covid19, in Italia erano circa 3500 e circa un milione e mezzo in tutto il mondo


14 aprile 2022

Un giorno che sconvolge tutto quanto - 17/4/2022 - Domenica di Pasqua - Risurrezione del Signore

Il Risorto (particolare dell'abside)
Chiesa del beato Claudio - Chiampo (VI)
(mosaico - p. M. Rupnik s.j.)



A Pasqua niente sta al suo posto, tutto è disordine, sconvolgimento.
Tutti rimangono frastornati. A Pasqua tutto è messo sottosopra, le pietre pesanti vengono spostate, la vita e la morte si sono rovesciate.
Anche la luce non viene dal cielo, ma dal buio di una tomba. Ci sono angeli che parlano, guardie che vengono prese di sorpresa e che vanno dai capi a trovare una giustificazione.

Ma soprattutto a Pasqua siamo costretti a prendere atto che è la debolezza che ottiene la vittoria, non la violenza. Che il perdono è molto più forte dell'odio; che quello che il mondo chiama 'fallimento' in realtà è un trionfo.
Ciò che era considerata la fine di tutte le speranze, in realtà è l'inizio di un'avventura inimmaginabile.
L'amore ha l'ultima e definitiva parola.
La morte è stata condannata ... a morte. Non è più la fine di tutto, ma è il penultimo atto, la porta verso la gioia più piena, verso la vita più vera.

Ma Pasqua è anche il giorno delle donne.
Erano presenti già sul Calvario, loro non hanno abbandonato Gesù neanche nel momento dell'umiliazione più totale. E nel giorno più importante, loro sono in movimento da prima che sorga il sole, «quando era ancora buio». E sono loro le destinatarie del primo annuncio di un fatto sconvolgente, sono loro che dovranno informare gli apostoli di una notizia inimmaginabile.

Gli uomini, da parte loro, accolgono la notizia con sufficienza, la reputano un 'vaneggiamento tipicamente femminile'. E dopo sono costretti ad arrendersi alle donne, a inseguirle.
Dobbiamo essere onesti, ammettere che in questi giorni cruciali i maschi non hanno fatto una bella figura. Nel momento culminante, fatidico, la bandiera della fede è stata salvata dalle donne.
In quella domenica, primo giorno della settimana per il calendario ebraico, la cosa più importante la sapevano le donne. Gli uomini, anche se si sono messi a correre, sono arrivati dopo, molto dopo.


(At 10,34.37-43; Sal 117; Col 3,1-4; Gv 20,1-9)


07 aprile 2022

Il vero volto di Dio - 10/4/2022 - Domenica delle Palme

Ingresso del santuario nazionale San Giovanni Paolo II
Washington (USA)


La Croce ci rivela il vero volto di Dio.
Dio non lancia fulmini e saette, ma si lascia 'fare' senza opporre resistenza. Dio si abbandona in balia degli uomini, inerme e indifeso, si consegna alla nostra malvagità, sbattuto qua e là, bersaglio degli insulti, degli sberleffi e delle violenze.
Dio umile e umiliato, senza armi né armatura, totalmente vulnerabile. L'onnipotente, in piena libertà, si annienta, rinuncia ad ogni volontà di potenza.
Si fa un Dio che tutti possono colpire, schiaffeggiare, ammazzare.

Ma la Croce rivela anche il cristiano.
Il cristiano lo si deve riconoscere dal fatto che porta la croce "insieme" al Cristo, si fa cireneo del Cristo, ma anche lascia che il Cristo si faccia cireneo per lui.
Perché la Croce non è altro che l'altra faccia dell'amore. Certo, nella croce ci sono anche sofferenze, abbandono, umiliazioni, ma è fatta soprattutto di amore, amore che niente trattiene, ma che si dona tutto, fino alla fine.
Non è la sofferenza per la sofferenza, ma è il segno di una vita donata per amore. La croce deve esprimere prima di tutto solidarietà, volontà di donarsi, capacità di 'perdere' la propria vita per l'altro. È solo curvandosi, schiacciati dalla croce, verso gli altri che possiamo rialzarci e diventare esseri umani aperti a tutti, anche a Dio.
Ma la croce deve essere anche l'unica 'arma' del cristiano. L'ingiuria. la denigrazione, la spada, il fucile o qualsiasi altra arma, usata contro un'altra persona, soprattutto se in nome di Dio, sono una bestemmia.
"La croce di Gesù non è svanita dalla terra. Non è più lui che la porta, ma siamo noi. [...] La croce di Gesù continua a restare eretta sulla terra come segno della verità divina e dello scandalo che essa costituisce per il mondo". (Ernst Käsemann)

Perché la luce della Resurrezione inizia già a splendere con la Croce, anche la Croce è luminosa. Come il Risorto farà del segno delle ferite della Croce il segno del suo amore per noi, la luce della sua gloria, così il nostro corpo resuscitato splenderà di ogni nostro atto d'amore.


(Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Lc 22,14-23,56)