25 maggio 2023

Buon Compleanno Chiesa - 28/5/2023 - Domenica di Pentecoste

Pentecoste
Luigi Pagano (tecnica mista su carta)



Fin dall'inizio c'è una forte tentazione nella Chiesa: vedere nel mondo un nemico, vederlo tutto brutto, tutto cattivo. E a questa tentazione si cede in due maniere:
- una è asserragliarsi nel Cenacolo, cioè rinchiudersi nel proprio guscio, sentirsi una cittadella assediata e quindi pensare solo a sé stessa, alla propria sacrestia, al proprio 'cortiletto';
- l'altra di vedere il mondo come un nemico da sconfiggere, da annientare a forza di anatemi o di crociate variamente armate.
È facile dimenticarci che il mondo invece è un'umanità da amare, e da salvare amando. Troppo spesso dimentichiamo che la salvezza non si ottiene 'contro' il mondo, ma 'con' il mondo.

Gli apostoli chiusi «per timore dei Giudei» nella presunta sicurezza del Cenacolo sono la Chiesa che si chiude in sé stessa, la Chiesa autoreferenziale. Una Chiesa che per paura del peccato, chiude fuori dalla porta i peccatori. Anche quelli soltanto presunti tali.

Ma anche la seconda maniera di cadere in tentazione la Chiesa l'ha già vissuta, ad esempio quando Giacomo e Giovanni, di fronte al rifiuto di un villaggio samaritano, chiedono a Gesù: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?» (Lc 9, 54).

Mi colpisce molto l'ironia di Dio (Dio è spesso ironico con noi, Lui è serio ma non serioso, ci canzona per ridere con noi, non di noi), ironia che Lui usa per aiutarci a superare queste tentazioni.
Alla Chiesa che chiude le finestre e i portoni, che si asserraglia in sacrestia, Lui manda «un vento impetuoso» che fa volare le imposte e spalanca i portoni. Che prende gli Apostoli e li spinge fuori, sulle strade e sulle piazze.
Alla Chiesa che invoca «un fuoco dal cielo» che bruci tutti i peccatori, Lui appicca il fuoco sulle loro teste.

Dio manda lo Spirito Santo: vento che spalanca le imposte delle nostre paure e abbatte le porte delle nostre false e meschine sicurezze;
fuoco che incendia d'amore le nostre persone e le nostre vite
.

Questa è la Pentecoste, compleanno della Chiesa. Spinta dal vento dello Spirito Santo, riscaldata dal fuoco dell'amore del Padre, e rincuorata dalle parole di Gesù «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi [...] Ricevete lo Spirito Santo».
Dopo duemila anni la modalità è sempre la stessa: visto che «dell'amore del Signore è piena la terra» (Sal 33, 5) non si deve stare sulla difensiva. Il mondo non è brutto e nemmeno cattivo, non dobbiamo combatterlo, né tanto meno abbatterlo.
Dobbiamo accoglierlo nel nostro abbraccio e, con tutto il nostro affetto, affidarlo alle mani colme d'amore di Dio.


(At 2, 1-11; Sal 103; 1Cor 12,3-7.12-13; Gv 20,19-23)


18 maggio 2023

Gesù è più vicino di prima - 21/5/2023 - Ascensione del Signore

Ascensione
Salvador Dalì
(olio su tela - 1958)



In genere solo la prima lettura e il Vangelo sono collegate, mentre la seconda lettura è un po' a sé. Invece oggi mi sembra che tutte e tre le lettura siano collegate tra loro da un concetto che si può riassumere in una parola: "forza". Nella prima lettura: «Riceverete la forza dallo Spirito Santo», nella seconda lettura: «la straordinaria grandezza della sua potenza», e nel Vangelo: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra».
Forza e potenza: forza per vivere, potenza per andare senza sosta, per generare nuove nascite. Fede vuol dire entrare nel flusso di vita che alimenta senza sosta tutte il creato. Come credente so che la mia vita è attraversata da una forza più grande di me, che non verrà mai meno e che rende la vita più forte delle sue ferite.
È il flusso di vita di Cristo, che viene come forza ascensionale che porta verso una vita più luminosa, verso più consapevolezza, più amore, più libertà. E ci rende una fonte di nuove nascite per gli altri.

Capire bene l'Ascensione vuol dire capire che il Signore non è andato in una zona lontana del cielo, ma incredibilmente è più vicino di prima. Se prima era insieme con i suoi discepoli, ora è dentro di loro. Non è andato al di là delle nubi, ma al di là delle forme. È asceso nel profondo delle cose, è andato nell'intimo del creato e delle creature. Se prima era vicino, adesso è dentro, nel profondo, nell'intimo. Come ha detto Benedetto XVI: "Ascensione non è un percorso cosmico-geografico, ma è la navigazione spaziale del cuore che ti conduce dalla chiusura in te all'amore che abbraccia l'universo".
L'Ascensione non allontana Gesù, anzi. Ti dà la certezza che in tutti i giorni, in tutte le cose, Cristo è presente ed è forza di ascensione per tutto il creato. Il Signore non devi conquistarlo, non devi raggiungerlo perché è già dentro, si è dato e rimane: «Sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo ».

È 'disceso' lasciando sulla terra quasi niente: un gruppetto di uomini impauriti e sfiduciati. Come sottolinea il Vangelo, gente piena di dubbi. E proprio a queste persone che dubitano ancora, ma anche a noi e alle nostre paure e infedeltà, Lui affida il mondo. Ci spinge a pensare in grande, a guardare lontano, a gettare il cuore oltre. Perché ha fiducia nell'uomo, ha fiducia in me più di quanta ne abbia io stesso; sa che posso diventare lievito, contagiare di Spirito e di vita chi mi è affidato.

E le ultime parole ci regalano il grande sogno: «Battezzate e insegnate a osservare tutto ciò che vi ho comandato».
Battezzare non significa versare un po' d'acqua sulla testa di una persona; significa immergere. Immergere ogni uomo in Dio, farlo entrare nell'abbraccio di Dio, far sì che si lasci sommergere dalla vita di Dio, da quella linfa vitale, fargli incontrare davvero il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
«Insegnate a osservare ...». Ma che cosa ha comandato Cristo, se non l'amore? Allora il suo comando diventa: immergete l'uomo in Dio e insegnategli ad amare, a lasciarsi amare, a donare amore. Tutto il Vangelo sta in questo.
Ascensione è la festa del nostro futuro, è la glorificazione di tutto l'uomo. Con tutto il mio essere, anima spirito e corpo, io muovo verso l'intero Dio. E come Gesù di Nazareth è salito nelle profondità degli uomini, così anche noi un giorno saliremo nelle profondità di Dio.
Andate, immergete e immergetevi in Dio, insegnate ad amare. Siate intermediari di quel miracolo, il più delicato, che è donare speranza, amorevolezza e forza di vita a tutte le creature, tutti i giorni, in tutti gli incontri.


(At 1, 1-11; Sal 46; Ef 1,17-23; Mt 28,16-20)


11 maggio 2023

C'è un unico comandamento - 14/5/2023 - VI Domenica di Pasqua

Amatevi gli uni gli altri



Non bisogna leggere in maniera riduttiva l'esortazione di Gesù a osservare i comandamenti. Non si tratta di leggi e regolamenti, prescrizioni e divieti. Qui significano tutti gli insegnamenti di Gesù, che lui stesso riassume in un unico comandamento: «che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13, 34)
Gesù non introduce un nuovo codice, ma un Vangelo. E questa "notizia che dona gioia" va accolta e fatta diventare ispiratrice del nostro modo di vivere, di agire. Ma in un'ottica di amore e di libertà.

Cristiano non è colui che rispetta una legge, ma chi ha accettato l'invito ad inserirsi in una comunione di vita, in una logica di amore. Cristiano è uno che sa di essere amato: «sarà amato dal Padre mio».
Fermiamoci un momento a considerare l'amore di Dio.

Innanzi tutto è un amore gratuito, immotivato. Cioè non dipende dalle nostre qualità, dai nostri comportamenti. L'unica ragione per cui Dio ci ama non risiede in noi, ma in Lui. Dio ama perché la sua natura è amare, Dio non può far altro che amare. Un amore motivato è un amore umano, un amore senza motivo è divino.
L'amore di Dio è indifferente ai valori, alle qualità delle persone. Dio ama il peccatore non a causa del suo peccato, ma nonostante il peccato, e non smette mai di amarlo. E ama i giusti non certo a motivo della loro buona condotta, delle loro buone azioni.

E questo amore immotivato è anche creativo: Dio non ama ciò che è in sé degno di amore, ma amando dona valore all'oggetto del suo amore. Dio mi ama non perché valgo qualcosa, o perché ho delle qualità o dei meriti, ma io divento 'prezioso', acquisto valore perché Lui mi ama.
L'amore non prende atto dei valori, li crea. Non li verifica, li produce. Amando conferisce valore. L'amore è creatore di valore. Non devo sforzarmi di essere amabile per ottenere il suo amore, ma è il suo amore che mi rende amabile.

L'amore di Dio è anche preferenziale, è la preferenza data ad una persona. E Dio preferisce ognuno di noi, a ognuno di noi dice "Tu sei il mio prediletto". Per Lui ciascuno di noi è un assoluto, non una minuscola parte di un tutto.

E infine l'amore non si rassegna alle rotture, alle divisioni, alla separazione. L'amore crea comunione. Chi ama compie sempre il primo passo verso l'altro, cerca di ristabilire i contatti, di diminuire, di annullare le distanze. Non aspetta che sia l'altro a venire incontro, è lui che fa il primo (ma anche il secondo, il terzo ...) passo. È sempre Dio che, dopo tutte le nostre infedeltà, prende l'iniziativa e ci viene a cercare.

Ma come possiamo rispondere a questo amore? Ce lo dice lo stesso Giovanni  nella sua prima lettera: «se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri» (1Gv 4, 14). L'evangelista non dice "se Dio ci ha amato, dobbiamo amare Lui", ma «dobbiamo amarci gli uni gli altri». La nostra risposta all'amore di Dio va trasferita sul prossimo. Dio mette sul proprio conto ciò che noi, per quanto riguarda l'amore, "dirottiamo" sul prossimo.
Non c'è nessuno strumento per misurare l'intensità del nostro amore per Dio.
L'unica verifica, la più impegnativa, è data dal mostro amore per il prossimo. Dire di amare Dio e poi disprezzare gli altri esseri umani, anche solo alcuni, fa di noi dei bugiardi: «Se uno dice: "Io amo Dio" e odia suo fratello, è un bugiardo» (1Gv 4, 20).

E sempre Giovanni, nella sua seconda lettera, riassume così:
«E ora prego te, o Signora, non per darti un comandamento nuovo, ma quello che abbiamo avuto da principio: che ci amiamo gli uni gli altri. Questo è l'amore: camminare secondo i suoi comandamenti. Il comandamento che avete appreso da principio è questo: camminate nell'amore» (2Gv 5-6)


(At 8,5-8.14-17; Sal 65; 1Pt 3,15-18; Gv 14,15-21)


04 maggio 2023

Uno squarcio di luce nel cielo - 7/5/2023 - V Domenica di Pasqua



Il brano del Vangelo di oggi fa parte del lungo discorso di addio di Gesù raccontato da Giovanni. È quasi un testamento che Gesù lascia ai suoi discepoli, quindi anche a noi.
Gesù parla di cuore, casa, posto, luogo ... tutte parole che fanno parte del vocabolario comune, quotidiano, ma che in questo contesto assumono un significato particolare. Con esse Gesù vuole esorcizzare la paura degli Apostoli, prevenire che il "loro cuore venga turbato".
È per questo che precisa che la sua partenza non è un distacco definitivo, che non è un'assenza, che si tratta di un 'allontanamento' momentaneo, che sarà una presenza diversa, nascosta. È un 'precedere' i suoi, un andare a prendere possesso di una dimora definitiva, che diverrà un posto anche per loro.

E Gesù, soprattutto alla fine del brano, svela anche la sua meta. Non va in un posto. Va a una Persona: «Io vado al Padre». E questo punto di arrivo, questa Persona non è inaccessibile, perché anche loro, attraverso la 'via' che è il Cristo, sono incamminati verso la Casa del Padre.

E il Padre non è uno sconosciuto, hanno già avuto la possibilità di vederlo: «chi ha visto me, ha visto il Padre».
Gesù per combattere il nostro turbamento, la nostra paura di essere abbandonati, ci dona uno squarcio di luce, una feritoia attraverso la quale possiamo intravedere la Persona dov'è Gesù e dove siamo diretti anche noi. Vedere Gesù significa vedere anche il Padre. Significa vedere, anche se solo un po', la gloria della Trinità.
Penso che questo sia prima di tutto una cosa bella, molto bella. Gesù ci indica che la fede non è solo impegno, rischio, dottrina, dubbi, ecc. ecc.. La fede è prima di tutto una cosa 'bella'. È contemplare Dio non in quanto verità, e neanche in quanto si dimostra buono e misericordioso verso di noi, ma in quanto Lui si avvicina a noi per manifestare sé stesso nella bellezza del suo amore trinitario.

Dostoevskij ha affermato che "la bellezza salverà il mondo". Penso che facciamo molta fatica a sottoscrivere questa affermazione. Eppure la Bellezza è anche un attributo divino!
Nella Bibbia viene usato spesso un vocabolo relativo a Dio: kabôd, che viene normalmente tradotta con 'gloria'. Il senso però è molto più vasto, tra l'altro è lo splendore della divinità, l'irradiazione della vita stessa di Dio.
Creando il mondo dal nulla Dio ha composto una sinfonia in sei giorni e dopo il termine di ogni sua opera, "vide che era bello". Il termine ebraico usato nella Genesi infatti significa sia bello che buono.
Quindi la prima bellezza è quella divina della creazione. Offuscata, se non persa, coll'uscita dal giardino di Eden, con l'Incarnazione è riapparsa sulla terra la bellezza di Dio. Dio non si fa più 'sentire' attraverso i profeti, attraverso le parole, ma si fa vedere! Attraverso Gesù si è fatto volto, volto umano. E alla sua luce abbiamo la possibilità di contemplare l'invisibile attraverso il visibile.

Non dobbiamo considerare la bellezza come semplice ornamento, come apparenza. Cerchiamo di non dimenticare che è manifestazione dello splendore di Dio. Non chiudiamo quella feritoia aperta da Gesù, perché privi di quello sguardo non riusciremmo più ad orientarci in questo mondo, a coglierne la profonda, ma semplice, bellezza.


(At 6,1-7; Sal 32; 1Pt 2,4-9; Gv 14,1-12)