04 maggio 2023

Uno squarcio di luce nel cielo - 7/5/2023 - V Domenica di Pasqua



Il brano del Vangelo di oggi fa parte del lungo discorso di addio di Gesù raccontato da Giovanni. È quasi un testamento che Gesù lascia ai suoi discepoli, quindi anche a noi.
Gesù parla di cuore, casa, posto, luogo ... tutte parole che fanno parte del vocabolario comune, quotidiano, ma che in questo contesto assumono un significato particolare. Con esse Gesù vuole esorcizzare la paura degli Apostoli, prevenire che il "loro cuore venga turbato".
È per questo che precisa che la sua partenza non è un distacco definitivo, che non è un'assenza, che si tratta di un 'allontanamento' momentaneo, che sarà una presenza diversa, nascosta. È un 'precedere' i suoi, un andare a prendere possesso di una dimora definitiva, che diverrà un posto anche per loro.

E Gesù, soprattutto alla fine del brano, svela anche la sua meta. Non va in un posto. Va a una Persona: «Io vado al Padre». E questo punto di arrivo, questa Persona non è inaccessibile, perché anche loro, attraverso la 'via' che è il Cristo, sono incamminati verso la Casa del Padre.

E il Padre non è uno sconosciuto, hanno già avuto la possibilità di vederlo: «chi ha visto me, ha visto il Padre».
Gesù per combattere il nostro turbamento, la nostra paura di essere abbandonati, ci dona uno squarcio di luce, una feritoia attraverso la quale possiamo intravedere la Persona dov'è Gesù e dove siamo diretti anche noi. Vedere Gesù significa vedere anche il Padre. Significa vedere, anche se solo un po', la gloria della Trinità.
Penso che questo sia prima di tutto una cosa bella, molto bella. Gesù ci indica che la fede non è solo impegno, rischio, dottrina, dubbi, ecc. ecc.. La fede è prima di tutto una cosa 'bella'. È contemplare Dio non in quanto verità, e neanche in quanto si dimostra buono e misericordioso verso di noi, ma in quanto Lui si avvicina a noi per manifestare sé stesso nella bellezza del suo amore trinitario.

Dostoevskij ha affermato che "la bellezza salverà il mondo". Penso che facciamo molta fatica a sottoscrivere questa affermazione. Eppure la Bellezza è anche un attributo divino!
Nella Bibbia viene usato spesso un vocabolo relativo a Dio: kabôd, che viene normalmente tradotta con 'gloria'. Il senso però è molto più vasto, tra l'altro è lo splendore della divinità, l'irradiazione della vita stessa di Dio.
Creando il mondo dal nulla Dio ha composto una sinfonia in sei giorni e dopo il termine di ogni sua opera, "vide che era bello". Il termine ebraico usato nella Genesi infatti significa sia bello che buono.
Quindi la prima bellezza è quella divina della creazione. Offuscata, se non persa, coll'uscita dal giardino di Eden, con l'Incarnazione è riapparsa sulla terra la bellezza di Dio. Dio non si fa più 'sentire' attraverso i profeti, attraverso le parole, ma si fa vedere! Attraverso Gesù si è fatto volto, volto umano. E alla sua luce abbiamo la possibilità di contemplare l'invisibile attraverso il visibile.

Non dobbiamo considerare la bellezza come semplice ornamento, come apparenza. Cerchiamo di non dimenticare che è manifestazione dello splendore di Dio. Non chiudiamo quella feritoia aperta da Gesù, perché privi di quello sguardo non riusciremmo più ad orientarci in questo mondo, a coglierne la profonda, ma semplice, bellezza.


(At 6,1-7; Sal 32; 1Pt 2,4-9; Gv 14,1-12)


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