Banchetto di nozze (icona) |
Sinceramente facevo un po' di fatica a comprendere questa parabola per due motivi.
Il primo è che non capisco come si possa rifiutare l'invito ad un pranzo di nozze fatto da un re! Immagino che gli invitati fossero gente che già lo frequentava, per cui non avevano neanche il problema di non avere gli abiti adatti, o di non sapere neanche quali fossero.
Poi però ho notato che Gesù, come le domeniche precedenti, si sta rivolgendo «ai capi dei sacerdoti e ai farisei», cioè a gente che frequentava il tempio giornalmente e conosceva le scritture a memoria. Quindi gli invitati sono loro.
Penso che se il Signore li avesse convocati per una discussione su alcuni problemi urgenti, o per un consiglio su quali punizioni affibbiare, avrebbero mollato tutto subito e sarebbero andati di corsa. Dio invece li sorprende con un invito a nozze, una chiamata a mangiare, bere e festeggiare.
Spesso anche noi cristiani siamo così, facciamo fatica a mollare le 'cose da fare' per fare festa, anche se l'invito viene da Dio.
Gesù ci ricorda che l'ideale cristiano non è una morale opprimente, ma una beatitudine. Il cristiano non è un servo piegato sotto il giogo di un codice severo, ma una persona perdonata e liberata. L'esistenza cristiana non è una sofferenza, ma una festa.
Facciamo fatica ad accettare un dono non previsto, immeritato. Abbiamo sempre paura che nasconda un secondo fine, una fregatura. È sempre il serpente che, anche a noi come ad Eva, cerca di allontanarci dal Signore presentandoci una falsa immagine di Lui.
Il secondo motivo di difficoltà è quella persona trovata senza l'abito nuziale. I servi sono andati per strada e hanno fatto arrivare tutti, non hanno scelto chi invitare e hanno fatto entrare ricchi, poveri, straccioni, mendicanti, operai, giovani, vecchi; «cattivi e buoni» specifica il Vangelo. Non penso proprio che gli invitati abbiano avuto la possibilità di cambiarsi, ma che si siano presentati col vestito, o gli stracci, che avevano.
Quindi il «vestito nuziale» non è quello indossato sul corpo, ma è un vestito del cuore. È l'abito di un cuore che sogna la festa della vita, che desidera credere, perché credere è una festa.
Allora quella persona è il simbolo di tutti quei cristiani che non riescono a credere che il Regno sia un banchetto di nozze, ma pensano piuttosto a un tribunale, magari dell'inquisizione. E perciò si vestono come per un funerale.
Come scrive il biblista Alphonse Maillot, è il simbolo del credente "rivestito di severità, austerità, tristezza, mentre bisognerebbe indossare l'abito della gioia e della speranza. Un uomo che si fa l'idea che occorre portare la tristezza del mondo, invece di portare al mondo il sorriso di Dio".
Troppo spesso anche noi dimentichiamo che in cielo si fa festa per ogni peccatore pentito, per ogni figlio che ritorna, per ogni mendicante d'amore. Quindi per ognuno di noi.
(Letture:
Isaia 25,6-10; Salmo 22; Filippesi 4,12-14.19-20; Matteo 22,1-14)
Isaia 25,6-10; Salmo 22; Filippesi 4,12-14.19-20; Matteo 22,1-14)
Mi fa pensare al funerale cui ho partecipato sabato scorso.
RispondiEliminaAll'uscita dalla chiesa, con uno stato d'animo che percepivo come in parte inadeguato alle circostanze, e cioè con gioia e riconoscenza, ho salutato il vedovo asserendo di avere l'impressione di aver assistito non a un funerale, bensì a un'assunzione.
Incredibilmente il marito e le persone che gli erano accanto hanno inteso benissimo, all'istante, quanto intendessi dire.
Quindi avevo visto giusto: la maggioranza delle persone presenti a quella funzione era gente di autentica, solida, nitida, Fede: non c'era posto per piangere, nonostante l'acuta sofferenza dei congiunti.
In cielo era festa, ma soprattutto in terra non vibrava la protesta, solo umile accettazione della perdita.
È vero quello che dici, ma è anche lecito piangere, Gesù stesso l'ha fatto per la morte dell'amico Lazzaro.
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