Una cosa che mi colpisce molto nelle letture di oggi è lo spostamento dei 'due punti' che avviene tra la prima lettura e il Vangelo, tra l'Antico Testamento e il Nuovo. Nella prima lettura il profeta Isaia scrive «Una voce grida: "Nel deserto preparate la via al Signore, ..."», mentre nel Vangelo, Marco scrive: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore».
Isaia dice a chi abita in Gerusalemme di andare nel deserto per preparare la strada al Signore che verrà per consolare il popolo, per "portare gli agnellini sul petto e condurre dolcemente le pecore madri" (Is 40, 11). Il Battista invece, dal deserto, invita tutti alla conversione per accogliere il perdono.
Dobbiamo tener presente che qui il deserto è si un luogo determinato, ma è soprattutto un simbolo. Il deserto, per il popolo ebraico, è il luogo della vicinanza, dell'intimità con Dio. È nel deserto che Yahweh ha parlato al suo popolo, nel deserto si sono celebrate le nozze tra Dio e il popolo eletto. È quindi naturale che il tempo della salvezza venga inaugurato ancora nel deserto.
Ma in special modo è nel deserto che il Signore aveva spinto Elia per confermare e rafforzare la sua vocazione (1 Re 19,1-18). Tutto questo, unito alla descrizione dello stile e delle vesti, fanno del Battista un chiaro riferimento al profeta Elia. Il profeta Elia che secondo la tradizione ebraica doveva ritornare sulla terra subito prima del Messia, è proprio Giovanni il Battista.
E Giovanni, come i veri profeti, si preoccupa di precisare che il "più forte" non è lui, ma qualcuno che viene dopo. Giovanni, come i veri profeti, crea un'attesa, invita all'attenzione sul personaggio più grande. Non concentra l'attenzione su di sé, rimanda ad un Altro.
Strano percorso quello di Giovanni: per raggiungere gli ascoltatori, fugge dalla città. Non cerca un pubblico, ma si fa cercare. E anche Gesù, prima di iniziare la sua vita pubblica, si ritirerà ne deserto. Un antico Padre del deserto ricordava che "dal momento che avrai imparato a fare a meno degli uomini, gli uomini si accorgeranno che non possono più fare ameno di te". Nel silenzio del deserto le parole e i pensieri vengono ripuliti dall'abitudine e ritrovano la loro forza e il loro splendore originari. Nel silenzio del deserto l'annuncio trova la strada per arrivare al cuore degli uomini. Nel deserto scopri la tua piccolezza, ma scopri anche che nell'estrema piccolezza, se ti lasci prendere per mano dal Signore, c'è una potenza infinita: «quando sono debole, è allora che sono forte» (2 Cor 12, 10) ci ricorda l'apostolo Paolo.
La miseria ammessa, non sarà impedimento, ma può trasformarsi in trasparenza.
La piccolezza riconosciuta, può diventare manifestazione della grandezza.
Come cristiani, e come Chiesa, solo se ci facciamo piccoli, se non annunciamo noi stessi, se ci facciamo da parte per far passare un Altro, diventiamo credibili e suscitiamo interesse.
Letture:
Isaia 40,1-5.9-11
Salmo 84
seconda lettera di san Pietro 3,8-14
Marco 1,1-8
Il 29 febbraio del 2000 ero al Burlo, in una stanza spoglia (il reparto era appena stato ristrutturato e c'erano letti e comodini, nient'altro). Il bambino aveva deciso di nascere, ma sembrava prendersi tempo. Così mi lasciarono per ore completamente sola in quella stanza, rassicurandomi sul fatto che si era ancora lontani dal parto. Si dimenticarono di me, lo dissero essi stessi in seguito.
RispondiEliminaI dolori intanto si facevano più intensi, ma mi fidavo di quanto sapevo: ci sarebbe voluto ancora tempo. Ad un certo punto dovetti accorgermi che appeso alla parete c'era un piccolo crocifisso. E da quel momento mi aggrappai semplicemente a Lui.
C'è da dire che allora non credevo. Ma in quel "deserto", in quella solitudine, in quel silenzio, eravamo io e Lui: per un tempo indefinito, tutto il tempo che occorse fino al rally in direzione sala parto, perché a un certo punto a un medico venne in mente di sbirciare in quella stanza...
Di quel tempo ho un ricordo indelebile e vaghissimo: fissavo quel capo reclinato, quel corpo che mai prima di allora mi ero soffermata a osservare...e da quello sguardo fisso nasceva un pacato dialogo: "Deve fare tanto male?" - chiesi più volte rassegnata...
Più o meno mi sembrava mi restituisse una risposta come: "Guarda quanto ho sofferto io..."
E così passò il tempo senza un lamento, in uno stato di progressivo abbandono a quel che doveva essere e non poteva non essere.
Il medico se la prese con le infermiere che non si erano accorte di quanto fossi prossima a partorire, ricordo solo i suoi insulti e la corsa in barella per raggiungere l'ascensore.
Non ero credente, ma mi restò l'evidenza che quell'oggetto appeso alla parete mi aveva dato tutta l'assistenza di cui avevo avuto bisogno.
Non ero credente, ma già il Signore aveva le idee chiare: mio figlio si sarebbe chiamato Alberto Maria.
E solo dopo nati gli altri due, Maria pure loro - e molto altro - la sbadata prendeva atto della realtà: si arrendeva all'amore di Cristo e per Cristo.
A resa avvenuta, ho trovato la pace: non ero vissuta fino a 38 anni da fragile, arrendevole, incapace di tirare fuori "la grinta" (a Trieste "sburtar") troppo buona...e bla bla; ero vissuta da aspirante cristiana. Amen!
Grazie della tua toccante testimonianza.
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