27 giugno 2024

Dio è una mano che ti prende per mano - 30/6/2024 - XIII Domenica Tempo Ordinario




Nel Vangelo di oggi Gesù ci porta in una vera e propria 'gita di istruzione' attraverso il tragitto verso la casa di Giairo.
È un viaggio che inizia male, con la notizia della morte di una bambina di dodici anni.
La vita è un viaggio bellissimo, che vale ogni passo. Ma nella vita ci sono anche le tempeste (domenica scorsa), ci sono bambini che muoiono, innocenti che soffrono,ci sono ingiustizie, sofferenze e dolore.

In tutto questo la prima parola di Gesù è: «Non temere, soltanto abbi fede!»
Ma come è possibile non temere quando la morte è entrata in casa tua, nel profondo delle tue viscere? Il contrario della paura non è il coraggio che pensi di trovare in te, è la fede. Anche se dubiti, anche se la tua fede non ha nulla di eroico, lascia che il nome del Signore riprenda a mormorare nel cuore, lascia che il suo nome salga alle labbra con una ostinazione da innamorati. Perché la fede è un atto vitale. La fede è aderire come il bambino aderisce al petto di sua madre. Avere fiducia nel Signore, come ho fiducia nella mia mamma. E il salmo lo canta così: «Io invece resto quieto e sereno: come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è in me l'anima mia» (Sal 131,2).

Quando arrivano alla casa vedono trambusto e gente che piange e grida forte. E Gesù proclama: «La bambina non è morta, ma dorme». Questo non vale solo per la bambina di Giairo, vale per tutti. Quelli che sono vissuti prima di noi, che sono andati avanti, quelli che chiamiamo 'morti', in realtà dormono in attesa del risveglio, l'ultimo risveglio che sarà sulla vita piena. La fede biblica è che Dio è il Dio dei vivi, non dei morti (cfr. Mt 22,32), e Dio nelle sue creature non ha messo un seme di morte, ma una radice di vita e di salvezza.

Gesù, entrato nella camera della bambina, manda fuori tutti gli altri e prende con sé il padre e la madre. Prima di tutto ricompone il legame degli affetti, il cerchio dell'amore che fa vivere.
Poi prende per mano la piccola. La legge diceva che toccare un morto rendeva impuri. Gesù ci insegna che dobbiamo toccare la disperazione di una persona per poterla aiutare, confortare, rialzare. E così facendo ci dona un'immagine di Dio bellissima: Dio è una mano che ti prende per mano, con dolcezza. Intreccia le sue dita con le mie, la sua vita con la mia, il suo respiro col mio, le sue forze con le mie.

E le dice: «Talità kum. Bambina, alzati!». Lui può solo aiutarla, sostenerla, ma è solo lei che può decidere di risollevarsi: alzati! E la bambina si alza e riprende a camminare. Gesù non si impone, ma si propone. Ti aiuta e sostiene senza sostituirsi a te, lavora con te, non al posto tuo.

A ciascuno di noi, qualunque sia la quantità di dolore che abbiamo dentro, la porzione di morte che ci abita, il Signore ripete: 'Talità kum'. In ognuno di noi, qualsiasi sia la nostra età, c'è una vita sempre giovane, e ad essa il Maestro ripete: "Talità kum; giovane vita, risorgi, riprendi la fede, il coraggio, la lotta, la ricerca, il dono". Riuscissimo a sentire queste parole di Gesù, dopo ogni ferita della vita, a ogni risveglio!
Là dove l'uomo si ferma, Dio continua a far ripartire, là dove la vita si addormenta, la sua parola risveglia. Per Cristo nessuno è morto per sempre: poiché sei creatura sana e senza veleno, alzati!
E ripete su ogni creatura, su ogni fiore, su ogni uomo e su ogni donna, la benedizione di quelle antiche parole: 'Talità kum; giovane vita, rivivi, risorgi, risplendi. Tu porti salvezza'.




Letture:
Sapienza 1,13-15; 2,23-24
Salmo 29
Seconda Corinzi 8,7.9.13-15
Marco 5,21-43


20 giugno 2024

Dio mi salva nella tempesta - 23/6/2024 - XII Domenica Tempo Ordinario

Gesù placa la tempesta (miniatura)
(Evangeliario di Treviri - monaco Thomas, ca. 740 d.C.)



Nella vita capitano anche le tempeste. E nella maggioranza dei casi sono senza un perché. Anche nel vangeli, Luca, Marco e Matteo raccontano di tempeste, tutte più o meno uguali, ma tutte senza un perché.

E anch'io non so perché sono capitate le tempeste di cui sono stato testimone, e neanche quelle che mi sono capitate.
Come tutti, anch'io vorrei che la navigazione della mia vita abbia sempre un cielo sereno, punti di riferimento chiari e visibili che mi indichino sempre la rotta giusta, un porto sicuro e vicino sempre a disposizione.
Ma la tempesta arriva. Però la barca, simbolo della comunità, ma anche della mia vita fragile, va avanti, resiste.
E questo non perché è cessato il vento o sono finiti i problemi, ma per il miracolo umile dei rematori che non abbandonano i remi, che sostengono ognuno la speranza e la forza dell'altro.

È questo che troppo spesso ci manca: la comunità.
Noi ci sentiamo abbandonati appena si alza il vento di una malattia, di una crisi familiare, di relazioni che scricchiolano. Ci sentiamo immersi in una storia dove Dio sembra dormire, dove Dio non interviene subito, ai primi segni della fatica, al primo morso della paura.
E allora anche noi mandiamo a Dio il grido della nostra paura e della nostra rabbia: "Non ti importa che muoio? Non ti importa che soffro?"

Gesù risponde prima di tutto con i fatti: "si destò, minacciò il vento e il mare". Dio dimostra subito che sì, a Lui importa di noi. Dio, con le sue azioni ci dice: 'mi importano i passeri del cielo e voi valete più di molti passeri; mi importano i gigli del campo e voi siete più belli di tutti i fiori del mondo'.
Ad ognuno di noi, accarezzandoci, sussurra: 'mi importi al punto che ho contato i capelli che hai in capo, al punto che ho misurato tutta la paura che porti nel cuore. E sono con te, a farmi argine al buio, ad essere luce nel riflesso più profondo delle tue lacrime'.
Nelle mie notti, Dio è con me; intreccia il suo respiro con il mio, e "non salva dalla tempesta ma nella tempesta. Non protegge dal dolore ma nel dolore. Non salva il Figlio dalla croce ma nella croce" (Dietrich Bonhoeffer).
Lui è con noi a salvarci da tutti i nostri naufragi. È qui anche prima del miracolo: è nelle braccia forti degli uomini sui remi; nella presa salda del timoniere; nelle mani che svuotano il fondo della barca.
Lui è in tutti coloro che, insieme, compiono i piccoli e semplici gesti che proteggono la vita.
È in tutte quelle persone che ti donano anche solo un istante della loro vita per esserti vicino, per cercare di portare un po' di luce nel buio della tua notte.
È in te quando doni anche un solo istante della tua vita sperando di donare un po' di luce nella notte di qualcuno.




Letture:
Giobbe 38,1.8-11
Salmo 106
Seconda Corinzi 5,14-17
Marco 4,35-41


13 giugno 2024

Dio sparge tanti piccoli semi nel nostro cuore - 16/6/2024 - XI Domenica Tempo Ordinario

Semi di senape
(foto J.C.)



Due parabole all'insegna, una della tenerezza di un germoglio, e l'altra di un minuscolo seme che genera vita e conforto per uomini e uccelli. Gesù ci parla del Padre con parole semplici, ci spiega l'infinito di Dio con parole minuscole, tratte dalla vita quotidiana delle persone che lo ascoltano. Non fa ragionamenti, ma ci apre il libro della nostra quotidianità.

Il Regno di Dio come un uomo che semina. Dio è il buon seminatore che sparge in noi e nel creato le sua energie in forma di semi. E allora il nostro compito è quello che accogliere e portare a germogliare i semi di Dio, di farci seminatori del seme di Dio. Tante volte noi domandiamo delle grazie al Signore e spesso Lui ci dona un pugno di sementi da far fiorire.
E qui succede il miracolo: alla sera vedi un bocciolo, e al mattino un fiore stupendo spande il suo profumo. Tutto senza il nostro intervento. Come dice il Vangelo, "che tu dorma o sia sveglio, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce".
Quanta pace e serenità in questo! Le sementi di Dio, le cose buone, germogliano. crescono per la loro stessa forza interna. Attraverso di noi e nonostante le nostre resistenze e i nostri limiti, Dio matura. Nel mondo e nel cuore degli uomini.

Tutte le persone che ci circondano sono il campo in cui Dio ha sparso i suoi buoni semi, nessuno ne è escluso, nessuno è vuoto. Perché Dio semina sempre, la sua è una mano viva che sparge vita. Siamo noi che pretendiamo prove, risultati.
Come genitori, come educatori, siamo spesso tentati di dire: 'ho cercato di insegnare la fede, di trasmettere buone cose, valori, ma non mi hanno seguito. Dove ho sbagliato?'
Non dobbiamo dimenticare che noi non sappiamo niente di ciò che accade nell'intimo di un'altra persona. Noi abbiamo deposto un seme, che adesso è là, deposto nel terreno, nascosto. È là anche se noi non lo vediamo.
E nessuno può sapere di quanta luce del sole, di quanta acqua piovana, di quanta 'rugiada dello Spirito' (Seconda Preghiera Eucaristica) ha bisogno quel chicco di grano per maturare. La forza è nel seme, non nel seminatore, non in noi.

La seconda parabola mostra la sproporzione tra il piccolo seme e il grande albero che ne nascerà, cioè tra le nostre piccole forze e capacità (e la nostra debolezza e incapacità) e i risultati che possiamo raggiungere.
Il piccolo seme di senape è dentro di noi, e fa crescere degli alberi, magari non maestosi, magari striminziti. Alberi che certamente non salveranno il mondo, ma come ci dice Gesù, potranno dare il nido a qualche uccellino, potranno dare riparo e conforto a qualcuno che ne aveva bisogno.

Le due parabole ci dicono che Dio ama i mezzi poveri, «ha guardato l'umiltà della sua serva» (Lc 1, 48), e che il suo Regno cresce per la segreta forza delle piccole cose buone, della bontà, della verità, della bellezza.
Tutta la nostra fiducia è in questo: Dio è all'opera nella terra con tante piccole cose, con tanti piccoli semi che sparge senza sosta nei nostri cuori.




Alberi d'ombre,
isole naufragano in vasti acquari,
inferma notte,
sulla terra che nasce:

un suono d'ali
di nuvola che s'apre
sul mio cuore:

nessuna cosa muore,
che in me non viva.

Tu mi vedi: così lieve son fatto,
così dentro alle cose
che cammino coi cieli;

che quando Tu voglia
in seme mi getti
già stanco del peso che dorme.

Salvatore Quasimodo - Seme
(da 'Oboe sommerso', 1932)



Letture:
Ezechiele 17,22-24
Salmo 91
Seconda Corinzi 5,6-10
Marco 4,26-34


06 giugno 2024

Chi fa la volontà di Dio mi è fratello, sorella e madre - 9/6/2024 - X Domenica Tempo Ordinario

Ecco mia madre e i miei fratelli!
(Foto di Tyler Nix su Unsplash)



Una cosa mi ha colpito in questo brano: come chiaramente detto all'inizio, Gesù e dentro una casa, tutti gli altri interlocutori invece sono all'esterno. È comico che chi è dentro venga accusato di essere 'fuori' da chi è all'esterno, e che proprio queste persone vogliano portarlo 'dentro' mentre se ne stanno all'aperto.
Anche questa volta, come tante altre volte, Gesù viene a scombinarci le idee, a sovvertire il senso delle nostre parole, a spostare il nostro punto di vista per donarci lo sguardo di Dio.

«Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?»
Gesù cerca di alzare il nostro sguardo, perché lui è su un altro piano. È venuto a dirci che non esistono diritti acquisiti. È venuto ad aprirci una vastità di possibilità. "Madre e fratelli e sorelle" in questa nuova famiglia non si trovano già bell'e fatti, ma tutti possono diventarlo. La parentela con Dio non è un dato anagrafico, ma una conquista. Più che un punto di partenza, è un punto di arrivo.
«Ecco mia madre!» Gesù, volgendo lo sguardo sulla folla intorno ha effettuato una specie di 'riconoscimento' ufficiale degli appartenenti alla sua nuova famiglia. Da questa nuova famiglia non sono esclusi, naturalmente, i parenti secondo la carne. Ma devono 'entrare' anche loro facendo la volontà di Dio.
Far parte della famiglia di Dio non è un diritto di nascita, ma una possibilità che dipende dal nostro agire sotto la guida dello Spirito Santo.

Il grosso rischio per quelli che si considerano parenti di Gesù per diritto di nascita è di avanzare dei diritti su di lui, una specie di monopolio-tutela. E considerano coloro che 'stanno con lui' come abusivi.
Quando Gesù esce fuori, verso gli altri, i cosiddetti 'suoi' si affrettano a riprenderselo, perché senza di lui non si sentono sicuri. Hanno bisogno di lui per dare una patente di onorabilità alla casa. Cristo non può non essere con loro, pensano. Anche se loro sono lontanissimi da lui.
Peggio dei nemici sono coloro che pretendono di 'annettersi' Cristo.

Eppure tutta la vita di Gesù si è svolta fuori. Nasce fuori dal paese, addirittura dalla casa. Si lascia trovare dai magi, gente venuta da fuori. Va in esilio fuori dalla sua patria. E anche a morire andrà fuori dalla città. E quando qualcuno è sicuro di trovarlo nel sepolcro, dove l'hanno «posto» (Gv 20, 15), lui è già fuori, altrove.
Senza voler forzare troppo le cose, possiamo dire che è più facile dire dove non lo troviamo, che dove possiamo trovarlo. Ecco, non lo troviamo sicuramente dove ci aspetteremmo che fosse. Non lo troviamo, soprattutto, dove pretendiamo di metterlo noi.

Così pure occorre stare attenti a non decidere troppo frettolosamente chi è dentro e chi è fuori. Dentro e fuori, sovente, sono categorie che vengono fissate in base a luoghi che abbiamo costruito noi. Ma le cose non sono così semplici e comode.
Con Gesù il dentro e il fuori non sono relativi ad un 'dove', ma ad una persona, a Lui.
Soltanto dopo aver accertato dove è Lui, è possibile stabilire chi è dentro e chi è fuori.





Se sapessimo guardare la vita con gli occhi di Dio,
vedremmo che nulla è profano nel mondo,
ma che, al contrario, tutto ha parte
nella costruzione del suo Regno.
Così, avere fede
non è solamente alzare gli occhi per contemplare Dio,
ma è guardare la terra con gli occhi di Cristo.

Se avessimo permesso allo Spirito
di penetrare il nostro essere,
se avessimo a sufficienza
purificato il nostro sguardo
il mondo non sarebbe più per noi un ostacolo,
ma un invito costante a lavorare per il Padre,
perché in Gesù venga il suo Regno sulla terra come nel cielo.

Aumenta la nostra fede
per guardare e "vedere" la vita.
Apri i nostri occhi Signore! Amen.

Michel Quoist



Letture:
Genesi 3,9-15
Salmo 129
Seconda Corinzi 4,13-5,1
Marco 3,20-35